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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.11.2015 Il jihad africano: stesso nemico, stessa guerra
Analisi di Maurizio Molinari, Guido Olimpio

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Guido Olimpio
Titolo: «Il fronte africano della jihad dove i nemici sono i cristiani - La guerra santa a sud del Sahara»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/11/2015, a pag. 5, con il titolo "Il fronte africano della jihad dove i nemici sono i cristiani", l'analisi di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, a pag. 5, con il titolo "La guerra santa a sud del Sahara", l'analisi di Guido Olimpio.

Ecco gli articoli:

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Mokhtar Belmokhtar

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Il fronte africano della jihad dove i nemici sono i cristiani"

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Maurizio Molinari

Cattura di ostaggi stranieri, assalto a un simbolo della presenza occidentale e selezione dei cristiani incapaci di pronunciare la «Shahada», la professione di fede islamica: sull’attacco al Radisson Blu di Bamako, in Mali, ci sono le impronte dei salafiti del Sahel, protagonisti del fronte africano della Jihad contro la Francia.

«Most Wanted»
Resta da appurare se il mandante sia l’imprendibile Mokhtar Belmokthar o il suo colonnello ribelle Adnan Abu Walid al Sahrawi. La rivalità fra i due leader del «Mourabitoun» (Le sentinelle) nasce da quanto avvenuto a metà maggio quando Al Sahrawi ha scelto di giurare fedeltà al Califfo dello Stato Islamico (Isis), Abu Bakr al-Baghdadi, con un gesto di rottura rispetto a Belmokthar, cresciuto dentro «Al Qaeda nel Maghreb Islamico», protagonista nel 2012 del tentativo di Al Qaeda di creare un mini-Stato jihadista nel Nord del Mali, autore nel gennaio 2013 della cattura di 800 ostaggi stranieri nell’impianto di gas algerino «In Amenas» e ancora legato ad Ayman al-Zawahiri, successore di Osama bin Laden, pur avendo creato una propria costellazione jihadista: fondando due anni fa «Al Mourabitoun» dalla confluenza fra i fedelissimi del «Battaglione al-Mulathamun» (Coloro che firmano con il sangue) e il Movimento per l’unione dei jihadisti in Africa Occidentale. Belmokhtar, 43 anni, è il terrorista «Most Wanted» del Maghreb: più volte Parigi e Washington hanno creduto di averlo eliminato - anche con i droni - e lui è sempre puntualmente ricomparso dal nulla fino a meritarsi dagli 007 di Parigi il soprannome «L’imprendibile».

Duello interno
La fama di ferocia e abilità fa gola al Califfo che negli ultimi 18 mesi ha tentato di reclutarlo in ogni modo: i siti jihadisti hanno descritto scambi di messaggi somiglianti a una sorta di corteggiamento ma Belmokhtar ha finora sempre evitato l’adesione a Isis e nei servizi di intelligence occidentali c’è chi ritiene che dietro la difesa a oltranza della propria indipendenza d’azione ci sia il timore di perdere il controllo di traffici illegali nel Sahara - dalle armi alla droga, dalle sigarette agli esseri umani - che gli rendono milioni di dollari al mese con cui paga gli stipendi a volontari arabi e tribù tuareg. È tale resistenza alle offerte del Califfo che ha generato lo strappo di Al Sahrawi, consentendo a Isis di insediarsi in Mali, ovvero un teatro di operazioni fra il Nord della Nigeria, dove opera Boko Haram divenuto parte dello Stato Islamico, e il Maghreb dei gruppi salafiti algerini, tunisini e libici a lui fedeli.

Galassia di sigle
Attorno al duello tutto interno ai «Mourabitoun» ruota una galassia di gruppi jihadisti che continua a operare nel Nord del Mali e ha nei difensori della fede di «Ansar Dine» l’espressione più organizzata. Per tutti costoro la Francia di François Hollande è il nemico da battere perché fu l’Eliseo, nel gennaio 2013, a guidare l’intervento militare che spazzò via la possibilità di creare l’enclave jihadista attorno a Kidal e Gao. E da allora è la Francia ad addestrare le unità anti-terrorismo di una dozzina di nazioni dell’Africa Occidentale impegnate a fronteggiare soprattutto Boko Haram. In totale i soldati di Parigi in questo scacchiere sono 3000. Ecco perché Patrick Maisonnave, ambasciatore francese in Israele, descrive il suo Paese «in prima linea contro i jihadisti su due fronti, in Siria-Iraq e nell’Africa Occidentale». Se con il massacro di Parigi Isis ha voluto rispondere ai raid aerei contro Raqqa e Mosul, con l’assalto di Bamako i «Mourabitoun» attestano che lo scontro terrestre in Mali con legionari e parà resta aperto.

Su ogni fronte l’offensiva anti-francese ha caratteristiche proprie: in Siria-Iraq il Califfo imputa agli «infedeli» l’alleanza con gli «apostati» perché in Medio Oriente il suo primo nemico sono gli sciiti mentre i terroristi del Radisson Blu hanno usato la recitazione della «Shahada» come un’arma perché in Africa Occidentale i nemici da umiliare ed eliminare sono anzitutto i cristiani.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio: "La guerra santa a sud del Sahara"

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Guido Olimpio

Si formano e si dividono, ma convergono su un modus operandi univoco: attacchi a bersagli facili, alto numero di vittime, uso di commando, tecniche di guerriglia mescolate al terrorismo indiscriminato. E questo a prescindere dalle sigle. II jihadismo a sud della linea del Sahel innalza i vessilli di Al Qaeda, dello Stato Islamico e di milizie locali. Ci sono tutti, nessuno escluso, con legami non sempre solidi con le rispettive case madri, spesso in concorrenza. C'è la gara a chi massacra di più.

La crisi in Mali è il quadro che racchiude tutti i colori. La rivolta tuareg è stata dirottata dalla componente islamista di Ansar Dine, guidata dall'opportunista Iyad Ag Ghali. Come altri, ha sfruttato il collasso libico per trasformare il suo movimento in un mini esercito, ha saldato rapporti con Al Qaeda nella terra del Maghreb (Aqim), poi ha virato verso i concorrenti dell'Isis. Odia la Francia, non perdona la presenza sulla porta d'Africa dei 3 mila soldati inviati da Parigi, con avamposti che evocano l'epopea della Legione. Non sono diverse le ragioni di Aqim. Organizzazione storica della regione, ha vissuto una stagione difficile, alcune «brigate» si sono ribellate al vertice. Ansar, al Ghuraba, il GSPC hanno dichiarato fedeltà al Califfo.

Non lo ha fatto Mokhtar Belmokhtar, carismatico, ambizioso, leader del Murabitun, anche se alcuni dei suoi sono passati con l'Isis. L'imprendibile, il guercio, il trafficante-terrorista, dato per morto in un raid Usa in giugno, è ancora lì, con il kalashnikov in mano. Belmokhtar ha rivendicato l'assalto all'hotel di Bamako insieme ad Al Qaeda, una risposta al Califfato: anche noi siamo capaci. Ripetizione di altri attacchi come la presa d'ostaggi a In Amenas (in Algeria), condotta da militanti africani e volontari d'origine canadese.

Nel sud del Paese è invece attivo il Fronte di liberazione di Macina del predicatore salafita Amadou Kufa. Piccola ma agguerrita dimostrazione di un sentiero che si allunga. L'insieme di queste fazioni non può competere con la macchina da sterminio di Boko Haram, in Nigeria, Camerun, Ciad. Un recente rapporto ha sostenuto che gli estremisti hanno assassinato nel 2014 più persone dello Stato Islamico, quasi 7 mila vittime per firmare con il sangue la fedeltà ad al Baghdadi. Impiegano le kamikaze, spesso bambine mandate a morire in coppia; annientano villaggi; hanno ancora in mano centinaia di ragazze. Hanno patito qualche sconfitta, non sufficiente però a fermare gli eccidi. U

n percorso non dissimile dagli Shebab somali. Rimasti con Al Qaeda (a parte defezioni minori), si comportano come i loro «colleghi» e rivali. Micidiali le loro incursioni in Kenya, gli agguati alla forza africana, azioni suicide a volte condotte da kamikaze cresciuti in America ed Europa. Come dimenticare il massacro al centro commerciale di Nairobi e quello nell'università di Garissa? Tutto questo è avvenuto nonostante esercito del Kenya e americani li abbiano martellati in modo aperto e con missioni coperte. II Pentagono ha riprodotto nel continente lo schema della guerra leggera. Aerei spia, droni, unità scelte in appoggio agli eserciti locali, una miriade di basi. Un contenimento che guarda a sud ma deve badare anche al nord. II caos libico ha favorito il jihadismo: qui si incontrano, acquistano mitragliatrici e granate, stipulano alleanze. Punto di fusione tra problemi endemici, rivalità di clan, crimini d'ogni tipo, dal racket dei clandestini a quello droga-armi. Focolaio perenne accanto a quello in Egitto che, per storia e posizione, è connesso alla violenza mediorientale. Basta una mappa per capire come il fronte africano sia troppo ampio specie quando ti sorprendono a Parigi, Ankara e Beirut.

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