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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Libero - La Nazione Rassegna Stampa
20.11.2015 L'Europa impari da Israele la lotta al terrorismo islamico
Daniel Pipes intervistato da Andrea Morigi, David Meghnagi da Cristiano Bendin

Testata:Libero - La Nazione
Autore: Andrea Morigi - Cristiano Bendin
Titolo: «Pipes: 'Una crisi che condurrà la Ue al collasso' - 'L'Europa sulle orme di Israele si abituerà ai metal detector'»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 20/11/2015, a pag. 1-4, con il titolo "Pipes: 'Una crisi che condurrà la Ue al collasso", l'intervista di Andrea Morigi a Daniel Pipes; dalla NAZIONE/CARLINO/GIORNO, a pag. 5, con il titolo "L'Europa sulle orme di Israele si abituerà ai metal detector", l'intervista di Cristiano Bendin a David Meghnagi.

Ecco gli articoli:

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Andrea Morigi

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Daniel Pipes

Da Philadelphia, negli Stati Uniti, il presidente del Middle East Forum, Daniel Pipes, può guardare dalla giusta distanza il jihad che si è scatenato da questa parte dell'Oceano Atlantico. Perciò riesce a vedere il reale impatto sociale del terrorismo. In un colloquio con Libero, spiega che i massacri degli ultimi giorni, a suo parere, avranno un impatto limitato. I recenti attacchi a Parigi hanno svelato che la strategia dell'Isis è colpire l'Europa. Almeno un membro del commando era entrato attraverso la Grecia e la Turchia, ha finto di essere un profugo e ha ottenuto lo status di rifugiato.

Pensa che la responsabilità ricada sulla politica europea sull'immigrazione? «Non c'è più nessuna politica europea. I trattati di Dublino e di Schengen sono entrambi falliti e non sono stati sostituiti da nulla. Gli ungheresi hanno provato a seguirne le regole ed è stato detto loro di non farlo. L'Unione europea ha urgente necessità di ritrovare sia un'autentica politica sia il denaro necessario per rimediare all'altissima vulnerabilità dei propri confini terrestri e marini».

Alcuni politici e capi di governo temono che la conseguenza dei bombardamenti in Siria scatenerà un esodo di terroristi in tutta l'Europa. Ma come si deve rispondere alla violenza? «Non riesco a vedere come bombardare la Siria possa risolvere la catastrofe dell'immigrazione clandestina che l'Europa sta affrontando. È una risposta emotivamente soddisfacente, ma quasi inutile».

Lei ha scritto che il divario fra l'opinione pubblica e le élite governative in Europa sta allargandosi per effetto della violenza del terrorismo. Quale sarà la conseguenza? «Ci sono stati 27mila attacchi collegabili all'islam dall'11 settembre 2001 e un enorme aumento dell'immigrazione illegale dal Medio Oriente che recentemente hanno inasprito i sentimenti di vulnerabilità e di paura. Ed è una strada a senso unico, perché non si è mai sentito nessuno affermare: "Una volta ero preoccupato dell'islamismo radicale, ma ora non lo sono più". Sono condizioni che hanno contribuito a creare preoccupazione sull'islam e i temi connessi, dalla costruzione di minareti all'infibulazione femminile. I sondaggi d'opinione indicano che gli elettori europei condividono in una percentuale del 60-70% queste preoccupazioni. I populisti come Geert Wilders nei Paesi Bassi e partiti come i Democratici svedesi stanno guadagnando consensi. Quando invece si tratta dell'establishment - i politici, la polizia, la stampa, gli intellettuali - la violenza ha un effetto contrario. Chi ha la responsabilità di interpretare gli attacchi vive in una bolla di negazione pubblica (quel che dicono privatamente è un'altra questione) nella quale si sentono obbligati a fingere che l'islam non abbia un ruolo nella violenza, in parte per la preoccupazione che riconoscerlo potrebbe causare ulteriori problemi. Il divario che va allargandosi fra il modo di vedere degli strati popolari e dei professionisti significa che si finirà per non fare nulla, che la situazione peggiorerà e infine che si assisterà a una crisi che condurrà al collasso».

ll nostro quotidiano - Libero - ha titolato, dopo gli eccidi di Parigi, definendo i terroristi come «Bastardi islamici». Siamo stati attaccati come gente che rifiuta il dialogo e promuove la violenza. Siamo colpevoli di incitamento all'odio, secondo lei? «Non so cosa sia l'incitamento all'odio; ma raccomanderei un titolo come «Islamisti bastardi», perché specifica che si tratta di alcuni musulmani, non di tutti».

Una distinzione condivisibile. Ma in italiano «islamista» significa studioso dell'islam. Non si poteva usare quel termine.

NAZIONE/CARLINO/GIORNO - Cristiano Bendin: "L'Europa sulle orme di Israele si abituerà ai metal detector"

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David Meghnagi

«DOPO gli ultimi attacchi terroristici, nulla in Europa sarà come prima. E dovremo ripensare la nostra vita e le nostre abitudini. Sarà una transizione lunga ma nella gestione di questa fase Israele, che da sempre è un laboratorio, può esserci di grande aiuto». Ne è convinto David Meghnagi, studioso e docente di psicologia clinica all'Università Roma Tre, già delegato per l'Italia presso la Conferenza dell'Osce contro l'antisemitismo.

In che modo Israele può aiutare l'Europa e gli europei nella gestione della paura e del trauma da attacchi terroristici? «Israele è la dimostrazione che anche nelle situazioni più tragiche, la Shoah lo è stata in modo estremo, si può reagire positivamente, scegliendo la vita e il bene proprio e altrui. Avendo dovuto fronteggiare gli attacchi della Lega Araba sin dal 1948, Israele è un laboratorio per la gestione e l'elaborazione dei traumi collettivi e individuali, avendo saputo creare, pur nelle difficoltà, un tessuto di legami sociali volto a contenere l'angoscia e a dare senso alla vita».

Valori forti che in Europa sembrano smarriti... «È vero, ma si deve costruire una visione positiva del futuro imperniata sui valori della libertà ma anche del principio di responsabilità verso le generazioni che verranno. L'Europa dei prossimi anni dovrà affrontare i problemi che Israele affronta da decenni».

Sì ma Europa e Israele sono due entità molto diverse. «Vero, ma le dimensioni più grandi dell'Europa sono un grande vantaggio. Facendo sua la lezione israeliana, l'Europa si potrebbe attrezzare meglio di fronte a pericoli su cui per lungo tempo ha preferito chiudere gli occhi».

Come si fa a gestire un processo così difficile? «Sul piano della prevenzione bisogna rafforzare l'intelligence. Sul piano dei valori rifondare il concetto di dovere e responsabilità. La costruzione di valori condivisi, che non sono solo benessere e divertirsi bensì il futuro dei nostri figli, il rispetto delle regole, i diritti e i doveri, la costruzione di una solida rete di sicurezza».

Dovremo abituarci a controlli pervasivi e metal detector? «Sì ma rispettando il diritto, l'habeas corpus, non per distruggere qualcuno ma per salvare i nostri figli. Un cambio di abitudini sarà necessario così come dovremo ripensare la nostra vita».

Ma i governi Ue sono pronti? «Purtroppo no. Il silenzio con cui l'Europa ha assistito alle stragi di yazidi, cristiani ed ebrei indica l'incapacità di capire che quella realtà preannunciava quello che sarebbe accaduto dopo. Per non parlare dell'atteggiamento giustificazionista che c'è nella retorica sulle cause del terrorismo, indicandole nella povertà, nella mancanza di prospettive per il futuro e nelle colpe del colonialismo».

Invece non è così? «L'Europa non riesce a capire che il terrorismo è il prodotto di una visione del mondo non di un disagio sociale. Esso è la traduzione della visione nichilista che, dall'interno del mondo islamico, sta provocando catastrofi per le popolazioni arabe e islamiche. Stiamo assistendo a un collasso sistemico che viene da lontano e che per lungo tempo non si è visto o non si è voluto vedere per colpa della narrativa terzomondista che ha focalizzato su Israele e Palestina l'insieme dei problemi che non sono mai stati risolti dalla prima guerra mondiale in poi. E che oggi vengono a galla tutti insieme, essendo venuta meno la divisione del mondo in blocchi».

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