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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.11.2015 Guerra a Parigi: ecco il terrore islamico
Analisi di Maurizio Molinari, Pierluigi Battista, commento di Domenico Quirico

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Domenico Quirico - Pierluigi Battista
Titolo: «Il nuovo fronte della guerra all'Isis - Operazione militare nel cuore dell'Europa - I segnali rimasti inascoltati»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/11/2015, a pag. 1-24, con il titolo "Il nuovo fronte della guerra all'Isis", l'analisi di Maurizio Molinari; a pag. 1, con il titolo "Operazione militare nel cuore dell'Europa", il commento di Domenico Quirico; dal CORRIERE della SERA, a pag. 1-6, con il titolo "I segnali rimasti inascoltati", l'analisi di Pierluigi Battista.

Ecco gli articoli:

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13 novembre 2015: guerra a Parigi

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Il nuovo fronte della guerra all'Isis"

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Maurizio Molinari

L’attacco dei terroristi a Parigi testimonia che l’Europa è un fronte della guerra che si combatte in Siria ed Iraq contro i gruppi jihadisti. Gli attacchi multipli nella notte al grido di «Allah u-Akbar», in più locali pubblici, con la somma fra kamikaze, bombe, sparatorie e cattura di ostaggi fanno assomigliare Parigi a Bombay, colpita il 29 novembre 2008 – anche allora dopo il tramonto – da 12 diversi attentati messi a segno da jihadisti con gli zainetti sulle spalle. Allora le indagini portarono a Lashkar-e-Taiba, uno dei più feroci gruppi pakistani affiliati ad Al Qaeda, ora tocca agli investigatori francesi ricostruire identità e origine dei terroristi ma possono esserci pochi dubbi sul fatto che la sanguinosa era della jihad è arrivata in Europa. Nei novemila chilometri che separano Tangeri da Peshawar è presente una galassia di gruppi, organizzazioni, cellule e tribù rivali fra loro, ma accomunate dal predicare la jihad come forma di dominio sul prossimo, identificando nell’Europa un proprio campo di battaglia.

Dove andare a fare strage di infedeli per perseguire i propri obiettivi, ideologici e militari, di egemonia. E’ da questa galassia che arrivano i killer di Parigi, al termine di una giornata che era iniziata con le notizie da Raqqa, in Siria, per l’attacco dei droni Usa contro l’auto su cui viaggiava «Jihadi John», il brutale boia del Califfato. La sua probabile eliminazione rientra in un’offensiva concentrica contro lo Stato Islamico che vede protagonista l’Occidente come la Russia. La coalizione guidata dal presidente Barack Obama bersaglia i leader jihadisti, rovescia bombe sui suoi pozzi di petrolio, sostiene i peshmerga curdi che riconquistano Sinjar e le truppe irachene che attaccano Ramadi. Sul fronte opposto le forze di Mosca martellano le posizioni dei ribelli jihadisti con centinaia di raid al giorno e iniziano a cogliere dei successi, come avvenuto a Nord di Aleppo con la cattura di un’importante base militare. La morsa fra l’offensiva della Casa Bianca e quella del Cremlino sta mettendo per la prima volta in difficoltà i jihadisti di Abu Bakr al-Baghdadi che nelle ultime due settimane hanno reagito rispolverando l’arma che sanno usare con maggiore efficacia: il terrorismo.

Due sabati fa nel Sinai l’obiettivo è stato un aereo di linea russo decollato da Sharm el-Sheik, abbattuto con 224 persone a bordo da una bomba posizionata nella stiva da un infiltrato di «Wilayat Sinai», la Provincia del Sinai del Califfato. Giovedì notte è toccato a Beirut, dove due kamikaze si sono fatti saltare in aria a 5 minuti di distanza nel quartiere roccaforte di Hezbollah, uccidendo almeno 43 persone. Ed ora, Parigi trasformata in un campo di battaglia. E’ impossibile non andare con la mente al messaggio audio di Ayman al-Zawahiri, il successore di Osama bin Laden, che a metà ottobre si è rivolto al rivale Abu Bakr al-Baghdadi proponendo l’«urgente unione dei jihadisti» per attaccare «Occidente, Russia, Hezbollah e alawiti che combattono contro di noi in Siria e altrove». In competizione per la guida della jihad sunnita, al-Zawahiri e al-Baghdadi sono accomunati dalla volontà di portare la morte ai loro nemici come da numerosi jihadisti che passano da un gruppo all’altro. Già in occasione della strage di «Charlie Hebdo», sempre a Parigi, cellule dei due gruppi di fatto cooperarono nel mettere a segno attacchi diversi ed a ben vedere anche in Siria i rivali Jabhat al-Nusra e Isis di fatto hanno gli stessi nemici.

In attesa di conoscere i primi elementi raccolti dagli investigatori a Parigi è già possibile prevedere che il summit del G20 in programma domani in Turchia per affrontare la guerra in Siria dovrà occuparsi di un conflitto su due fronti: il secondo è quello dell’Europa.

La STAMPA - Domenico Quirico: "Operazione militare nel cuore dell'Europa"

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Domenico Quirico

Un’operazione militare nel cuore dell’Europa, pianificata, eseguita con sincronia, efficacia, implacabile connessione di ogni addendo: la risposta dell’Islamismo totalitario e militarizzato alla guerra asimmetrica di un occidente cauto e renitente, droni, bombardamenti, ascari locali coraggiosi ma inefficienti, si è dispiegato con beffarda e feroce rovesciamento: portare la guerra tradizionale sul terreno del nemico. Non più i cani sciolti del fanatismo, assassini in cerca di visibilità e martirio, il terrorismo fai da te che pure ci sembrava pericoloso perché anonimo, opaco, imprevedibile. Questa volta squadre di forze speciali, che ricalcano i metodi e l’efficacia delle truppe su cui si posa la incerta fiducia di noi infedeli. E la consueta scelta simbolica: il teatro lo stadio i luoghi della nostra inesistente normalità.

Con l’elemento che segna una terribile differenza: gli assalitori di Parigi avevano messo in conto un unico finale, un’unica conclusione: la morte, loro e delle loro vittime. Uccidere e morire, la totalità della morte come unica ideologia. Questo è jihadismo nella sua terribile forza, ogni orrore diventa possibile.

CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista: "I segnali rimasti inascoltati"

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Pierluigi Battista

Pensavamo di cavarcela con una passeggiata di un milione di persone sui boulevard di Parigi, nel gennaio scorso, dopo la carneficina del Charlie Hebdo. Tutti insieme, tutti «Je suis Charlie» e dopo dimenticare, rimuovere, scusarsi: «Se la sono andata a cercare». Poi è successo a Copenaghen, quando un convegno sulla libertà d’espressione è stato attaccato da un commando armato, e abbiamo fatto finta di niente.     Avevamo fatto finta di niente anche in Canada, quando ad essere assediato è stato il Parlamento. Ma il Canada era lontano, anche l’Australia era lontana. Anche l’Isis sembrava lontanissimo. E in Italia, cosa poteva accadere, mica che un ebreo sarebbe stato accoltellato a Milano all’uscita di un ristorante kosher, kosher come il supermercato dove, subito dopo la strage del settimanale che aveva osato pubblicare le vignette su Maometto, un altro massacro ha colpito gli ebrei francesi. E adesso l’apocalisse di ieri sera, di stanotte.

Davvero era così imprevedibile? Davvero chi diceva che l’Europa stava diventando un campo di battaglia esagerava, fomentava la guerra di religione, seguiva le orme di Michel Houellebecq che pure è costretto a vivere blindato perché l’islamismo fondamentalista non gli perdona «Sottomissione»? L’Europa è al centro di questa guerra. E chi la conduce, spargendo sangue lutti e paura, non è un semplice terrorista, ma un combattente di una guerra santa che non conosce confini, così come lo Stato islamico non conosce i confini e le frontiere dei vecchi Stati, dall’Iraq alla Siria, disegnati con il crollo dell’Impero ottomano. Nel giorno della possibile, annunciata morte di Jihadi John, l’esercito dei combattenti fondamentalisti e integralisti che vogliono schiacciare il mondo peccaminoso e satanico degli infedeli fa dell’Europa un bersaglio oramai stabile. Parigi è l’epicentro.

La Francia è il terreno molle dell’attacco. Qui hanno assaltato le sinagoghe e le scuole ebraiche. Qui reclutano i militanti dello Jihad globale. E contano sulla solidarietà molle e volubile del mondo nei confronti delle vittime. Solo dopo pochi mesi dal massacro di Parigi, in America un nutrito gruppo di scrittori molto alla moda, capeggiati da Joyce Carol Oates, ha protestato per l’assegnazione di un premio nel nome della libertà d’espressione alla testata di «Charlie Hebdo». Hanno detto che con quelle vignette avevano offeso la religione islamica. Magari non meritavano la morte, ma una sanzione per l’abuso della loro libertà doveva pur esserci. C’è da stupirsi se poi i vignettisti superstiti hanno dichiarato che mai e poi mai avrebbero disegnato altre vignette sull’Islam? C’è da stupirsi se, dopo aver scoperto che ragazzi inglesi erano andati a ingrossare l’esercito dell’Isis, nei musei di Londra hanno prudentemente nascosto quadri che raffiguravano, e non in modo offensivo, immagini del Profeta?

Abbiamo fatto tutti finta di non vedere. Hanno decapitato un dirigente industriale davanti a uno stabilimento di Lione e hanno lasciato la testa lì, per terrorizzare, come hanno fatto con il povero archeologo che custodiva con cura i tesori di Palmira. Facemmo finta di niente quando in Olanda ammazzarono il regista Theo Van Gogh, il regista di un cortometraggio intitolato «Submission» come il romanzo di Houellebecq, prima sparandogli e poi colpendolo ritualmente con un coltello, con un foglio in cui si diceva che questo era il destino di chi avesse avuto la temerarietà di criticare l’oppressione della donna nei Paesi islamici.

C’è bisogno di ricordare che nessun festival cinematografico ha voluto proiettare il cortometraggio di Van Gogh? Ci spaventiamo a morte per le bandiere nere del califfato che sventolano nella Libia oramai frantumata, un tratto di mare di distanza dalle coste italiane. Ma speriamo sempre che quello che accade nel cuore dell’Europa, sino alla catastrofe ultima di Parigi, non sia già il segno di un allargamento illimitato del conflitto. Speriamo sempre che la guerra non oltrepassi la soglia del pericolo. Speriamo che la distanza fisica non venga annullata dall’internazionale del terrore. Non capiamo perché sono presi a bersaglio simboli ebraici, esseri umani ebrei, luoghi di culto ebraici.

Perché stentiamo a capire che l’«ebreo» è il nemico numero uno che secondo la visione dei fondamentalisti deturpa la purezza della terra sacra dell’Islam. E anche i simboli cristiani vanno colpiti. E le sale dove si tengono concerti, perché la musica è peccaminosa. E anche gli stadi, perché si permette alle donne di assistere alle gare senza velo. Non è una supposizione: è quello che dicono. Lo dicono in Francia, in Gran Bretagna, in Danimarca dove è partito il tumulto per le vignette su Maometto e dove un vignettista è stato raggiunto in casa da un gruppo di assalitori armati d’ascia. E quanta solidarietà aveva ricevuto Salman Rushdie quando il regime degli ayatollah decretò una fatwa ai suoi danni consentendo agli zelanti fedeli sparsi per il mondo di uccidere lo scrittore blasfemo, il bestemmiatore da punire senza pietà? Si poteva capire. Bastava non far finta di niente. Bastava capire perché vogliono colpire Londra, Amsterdam, Parigi. E Milano davanti a una pizzeria kosher.

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