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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
19.05.2015 Lo Stato Islamico avanza verso Damasco, milizie sciite in rotta
Due servizi di Maurizio Molinari, analisi di Gilles Kepel

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Maurizio Molinari - Gilles Kepel
Titolo: «L'Isis minaccia Baghdad, in campo le milizie sciite - Reclute fantasma, odi settari: buttati 60 miliardi in dieci anni - La conquista di Damasco è il vero nodo della partita»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/05/2015, a pag. 13, con i titoli "L'Isis minaccia Baghdad, in campo le milizie sciite" e "Reclute fantasma, odi settari: buttati 60 miliardi in dieci anni", due servizi di Maurizio Molinari; dalla REPUBBLICA, a apg. 17, con il titolo "La conquista di Damasco è il vero nodo della partita", l'analisi di Gilles Kepel.

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Maurizio Molinari:  "L'Isis minaccia Baghdad, in campo le milizie sciite"


Maurizio Molinari e il suo recente libro "Il Califfato del terrore"

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Combattimenti a Ramadi

La caduta di Ramadi consente al Califfo di minacciare Baghdad e per evitare il peggio il governo iracheno affida il tentativo di riconquista della città alle milizie sciite addestrate dall’Iran.

Lo Stato Islamico (Isis) sfrutta la vittoria di Ramadi per indicare nella capitale il nuovo obiettivo. Il metodo è un messaggio audio del Califfo, Abu Bakr al-Baghdadi, che esaltando le «vittorie nell’Anbar» preannuncia la liberazione di «Baghdad e Kerbala» ovvero la città santa sciita. È uno show di forza - forse confezionato con brani recenti - per umiliare il governo di Haider Al-Abadi aprendo la campagna militare per Baghdad.

L’appello del premier
Al-Abadi percepisce la minaccia diretta e ordina alle milizie sciite di ammassarsi davanti a Ramadi per riconquistarla. È una mossa che smentisce la tattica seguita finora: affidare la guerra a Isis alle truppe regolari per non spingere i sunniti verso il nemico. Era stato il Pentagono a chiederlo, dopo le violenze di Tikrit, la città sunnita che le milizie sciite a fine marzo hanno strappato a Isis per poi lanciarsi in esecuzioni e saccheggi simili a quelli del Califfato. Ma Al-Abadi deve rimediare allo smacco e apre la base al-Habbaniyah ai miliziani filo-iraniani.

Addestrati dai pasdaran
I primi contingenti ad arrivare sono i reparti scelti di Hadi al-Ameri, il leader del gruppo paramilitare «Badr» che ha fondato le milizie popolari «Hashed al-Shaabi» e addestrato le unità scelte «Kataeb Hezbollah». Ai suoi ordini ha decine di migliaia di uomini, armati dall’Iran, addestrati dalla Forza Al Qods dei pasdaran e dimostratisi gli unici, in Iraq, a saper battere lo Stato islamico. «Avrebbero dovuto ascoltarmi prima» tuona Al-Ameri, ricordando che «non ci hanno voluto qui e ora ci chiamano». Al-Ameri si scaglia contro i leader sunniti dell’Anbar «colpevoli della perdita di Ramadi» e fa capire che, ripresa la città, si occuperà di loro. Jaafar al-Hussein di «Kataeb Hezbollah» assicura che «entro 18 ore i nostri saranno ad al-Habbaniyah» e l’offensiva potrà iniziare. «Ripuliremo Ramadi da quei bastardi» preannuncia Al-Ameri.

Sostegno iraniano
Nelle stesse ore il ministro della Difesa di Teheran, Hossein Dehghan, sbarca a Baghdad promettendo di «accettare ogni richiesta di aiuto contro Isis». Ali Akbar Velayati, consigliere della Guida Suprema Ali Khamenei, aggiunge: «Faremo di tutto per l’Iraq». Ciò significa che Teheran è pronta anche a usare gli aerei.

Corpi nelle strade
Dentro Ramadi intanto Isis si prepara alla battaglia dando la caccia a spie e sostenitori sunniti di Baghdad. Testimoni locali parlano di almeno 500 morti e 8000 profughi con strade disseminate di cadaveri, esecuzioni pubbliche e cattura di leader tribali filo-governativi. Ma c’è anche chi teme gli sciiti alle porte. Abu Ammar, titolare di uno spaccio, dice all’Ap: «Fra Isis e sciiti non c’è differenza, sono due facce della stessa medaglia, comunque andrà verremo uccisi o dovremo fuggire». A conferma della ritrovata energia militare di Isis, i jihadisti lanciano una pioggia di razzi sulla città archeologica siriana abbandonata il giorno prima, uccidendo almeno 5 persone a Palmira e colpendo i giardini del museo che ospitano tesori millenari.

Gli Usa in difficoltà
Il Pentagono ammette lo smacco di Ramadi e il Segretario di Stato John Kerry assicura che «sarà riconquistata» ma il ricorso di Al-Abadi alle milizie sciite viola gli accordi con Obama e pone la coalizione in difficoltà perché il comando di Tampa finora non ha voluto usare i jet per sostenere i filo-iraniani.

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Reclute fantasma, odi settari: buttati 60 miliardi in dieci anni "

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Soldati dell'esercito iracheno

Costruite da americani e britannici con un spesa di 25 miliardi dollari in dieci anni, che diventano 60 miliardi considerando anche la costruzione di infrastrutture, le forze armate irachene si sono sciolte come neve al sole nel giugno del 2014 davanti all’offensiva dei jihadisti di Isis che portò alla cattura di Mosul. Ed ora sono tornate a fuggire a Ramadi, davanti all’avanzata degli stessi avversari.

Per comprendere come sia possibile l’implosione di un esercito di 193 mila uomini e 500 mila riservisti, sostenuto ogni anno da un bilancio di 17 miliardi di dollari di cui 1,3 forniti dagli Stati Uniti bisogna partire dagli effettivi. Il portavoce del ministero dell’Interno di Baghdad, Sabah Hadum, afferma che «rispetto a 193 mila soldati sulla carta noi paghiamo 135 mila stipendi» ma in almeno 50 mila casi si tratta di «militari fittizi» ovvero nomi inventati da politici, comandanti e leader locali per riscuotere entrate mensili.

Ciò significa che, nel migliore dei casi, i soldati di cui dispone il capo di stato maggiore, Khurshid Rasheed, sono circa 85 mila. Ma il loro livello di addestramento è stato giudicato «incredibilmente basso» dagli istruttori dei Marines che il Pentagono ha inviato nel 2014 per tentare di creare delle unità anti-terrorismo.

Il motivo è duplice. Primo: dal completamento del ritiro delle truppe Usa, nel dicembre 2011, gli iracheni non hanno dedicato risorse all’addestramento dei militari come alla manutenzione degli ingenti depositi di armamenti lasciati da americani e britannici. Secondo: le forze armate sono indebolite da tensioni settarie perché dominano gli sciiti a scapito dei sunniti che si sentono discriminati dai comandi.

Segnato dalle defezioni e dalla corruzione, con armamenti spesso difettosi e carente di motivazioni collettive, l’esercito iracheno ha delegato la difesa del Kurdistan ai peshmerga ed ha bisogno del sostegno delle milizie popolari sciite per combattere contro Isis.

LA REPUBBLICA - Gilles Kepel: "La conquista di Damasco è il vero nodo della partita"

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Gilles Kepel

La rapida offensiva delle diverse componenti dell’opposizione sunnita siriana, rivali fra loro, ai danni del regime di Bashar al-Assad, apre la prospettive di far cadere Damasco prima della fine di giugno, data entro la quale dovrebbe concludersi il negoziato nucleare fra Iran e Occidente. La caduta di Assad - o almeno la conquista della sua capitale – sarebbe un disastro per l’Iran: Damasco è per Teheran un alleato fondamentale e un pilastro della sua sicurezza, considerando che il legame con Hezbollah gli permette di fare pressione su Israele. Conquistare Damasco sarebbe una vittoria militare, politica e psicologica per gli stati del Golfo guidati dall’Arabia Saudita che vivono nell’angoscia di un Iran capace di dominare il Golfo Persico contro i loro interessi.

Nella capitale diverse cose confermano che il regime è stanco: il sanguinoso regolamento di conti fra i capi della sicurezza - alcuni morti assassinati, altri imprigionati - la dice lunga sulla crisi all’apice del governo. In questo contesto il peso dell’Iran, che oggi a Damasco ha un’importanza straordinaria, scontenta molti ufficiali siriani, che si sentono governati da una potenza straniera.

Il problema è capire, se la città cade, chi sarà il vincitore: se l’Is o la nuova “Armata della Conquista”, Jaish al-Fatah, raggruppamento islamista finanziato e armato da Arabia Saudita, Turchia e Qatar, che raccoglie anche Fratelli musulmani e il braccio siriano di Al Qaeda, il fronte al-Nusra. I tre si sono impegnati a sorvolare sulle loro rivalità reciproche e sostenere questa nuova coalizione perché vorrebbero essere più veloci dell’Is.

Nella dottrina islamica e nell’escatologia la caduta di Damasco è infatti equiparata a una virtù apocalittica. I musulmani pii sono infatti convinti che permetterà all’Islam di conquistare il mondo. Per lo Stato Islamico rappresenta un beneficio politico enorme che lo trasformerebbe nel principale rivale dell’Arabia Saudita nel dominio del mondo sunnita.

Lo Stato Islamico nel frattempo ha lanciato un’offensiva su Palmira: da cui sta per essere respinto dall’esercito di Assad. Vittoria che a Damasco potrebbe costare: ha infatti sguarnito il fronte Nord permettendo all’“Armata della Conquista” di guadagnare altri territori, fino a minacciare la costa siriana dove risiedono gli alauiti, setta sciita cui appartengono la maggior parte dei dirigenti del regime. In questo contesto è chiaro che l’Iran metterà tutte le sue forze nella battaglia per impedire la caduta di Damasco: bisognerà dunque attendersi un terribile aumento della violenza che andrà avanti fin quando il rapporto di forza fra clan sunnita sostenuto dall’Arabia Saudita e quello sciita sostenuto dall’Iran riusciranno a stabilizzarsi in Medio Oriente.

Stando così la questione non si capisce come le grandi potenze – Stati Uniti, Europa, Russia - possano disinteressarsi di questo annunciato parossismo della violenza, che rischia di estendersi a tutta la regione e minacciare il mercato del gas e del petrolio. La palla oggi si trova a Washington, Bruxelles, Mosca, lì dove ciascuno di questi paesi rifiuta d’impegnare truppe in Medio Oriente.

La difficoltà è dunque reintegrare l’Iran nella comunità internazionale senza alienarsi l’Arabia saudita e i suoi alleati sunniti. E non può accadere senza che ci siano garanzie credibili, fornite dall’Occidente e da Mosca, a Teheran e a Riad, impegnate fino alla firma dell’accordo fra l’Iran e i 5+1 in un rilancio continuo. Ancora una volta vittime saranno le popolazioni civili siriane che rischiano di andare nuovamente ad ingrossare il numero dei rifugiati disperati che cercano in ogni modo di raggiungere l’Europa attraverso Lampedusa.

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