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Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/05/2015, a pag. 8, con il titolo "Il generale Haftar bombarda una nave turca 'amica di Isis' ", la cronaca di Francesco Battistini; dalla STAMPA, a pag. 4, con il titolo "La partita di Erdogan per tornare arbitro del Medio Oriente", l'analisi di Marta Ottaviani. Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini: "Il generale Haftar bombarda una nave turca'amica di Isis' "
Proprio adesso. Mentre l’Onu si chiede come fermare i barconi degli scafisti, ecco il generale Haftar rispondere come sa: bombardando le navi di chi aiuta, dice lui, gl’islamisti. Il capo militare di Tobruk l’aveva ripetuto solo qualche giorno fa — «abbiamo le prove che la Turchia arma le milizie di Tripoli» —, domenica sera ha cercato di dimostrarne la flagranza. Cannonate dalla costa sul cargo turco Tuna-1, che batteva bandiera delle Isole Cook, veniva dalla Spagna e portava diversi container: di razzi destinati al Califfato di Derna, è sicuro Haftar; «mattoni di cartongesso» per i cantieri di Tobruk, garantisce Ankara. La nave ha fatto appena in tempo a lanciare un Sos, raccolto da greci, maltesi e francesi. Dopo dieci minuti, racconta il comandante Unal Balici, sono piovute le bombe di due attacchi aerei: ucciso il terzo ufficiale, feriti i marinai turchi, georgiani, azeri e parte della stiva che fumava ancora ieri sera, quando la Tuna-1 navigava verso il porto egeo di Fethiye scortata dalle motovedette turche. Sono bombe che imbarazzano un po’ tutti. E certo non rendono più semplice l’azione Ue per frenare i barconi dei migranti. Per ora la reazione di Ankara è insolitamente contenuta, considerata la propaganda politica che di solito soffia su incendi simili: ci si limita a una protesta formale e a «maledire chi ha realizzato l’attacco spregevole», evitando di fare nomi; ci si rivolge all’Onu e all’Organizzazione marittima internazionale, minacciando azioni legali di risarcimento. Il governo di Tobruk — che è riconosciuto dalla comunità internazionale e in febbraio ha interrotto ogni rapporto con Turchia, Qatar, Sudan e quanti appoggino la Fratellanza musulmana di Tripoli — si giustifica così: «La nave era in acque costiere a 10 miglia da Derna e ha proseguito, nonostante i colpi d’avvertimento». «La rotta era Tobruk — replicano i turchi — e comunque stavamo ancora a 13 miglia, in acque internazionali». In gennaio, le bombe erano toccate a una petroliera greca che Haftar pensava trafficasse oro nero di contrabbando. Due settimane fa invece, a sorpresa, una cisterna maltese era riuscita a entrare addirittura nella rada di Derna, città che il generale tiene sotto assedio da mesi, senza che venisse sparato un solo colpo: è possibile che il precedente abbia indotto pure i turchi a provarci. La guerra civile libica sta diventando sempre più una guerra anche navale. Dai migranti alle armi, tutto è usato: il nuovo premier tripolino Al Gweil chiede aiuto all’Ue nella lotta agli scafisti, «perché siamo noi a controllare l’85 per cento della Libia e abbiamo bisogno di sostegno reale, non di chiacchiere, contro il ricercato Haftar»; da Tobruk, spinti dall’Egitto, avvertono come non si possano lasciare 1.770 km di coste libiche agl’islamisti «che hanno spodestato il governo legittimamente eletto, tollerando l’Isis a Derna». L’Onu aprirà un’inchiesta internazionale, per quel che serve. Un obbiettivo, il bombardamento dei turchi l’ha già raggiunto: in Libia non sbarca più nessuno. Che non sbarchino dalla Libia, è tutta un’altra faccenda. LA STAMPA - Marta Ottaviani: "La partita di Erdogan per tornare arbitro del Medio Oriente"
Un Paese che sta giocando su troppi tavoli e che, anche nella crisi libica, sta dimostrando tutta la sua ambiguità, con i rischi che ne conseguono. La Turchia, membro della Nato e da sempre ritenuto una cerniera naturale fra Oriente e Occidente è una delle poche nazioni che sostiene il governo islamico di Tripoli. Un sostegno che, secondo molti analisti, non è dettato solo da motivazioni ideologiche, ma anche di convenienza. Dal 2009 la Turchia ha avviato una politica estera sempre meno aderente a quella degli Stati Uniti e dell’Unione europea, all’insegna, solo teorica, del buon vicinato con i Paesi che un tempo facevano parte dell’Impero Ottomano, motivo per cui si è parlato spesso di neo ottomanesimo turco. La Libia è stato proprio uno di quei Paesi, insieme con la Siria, dove la posizione della Mezzaluna si è smarcata con maggiore decisione da quella della comunità internazionale. Per inviare la propria opinione ai quotidiani, telefonare: lettere@corriere.it lettere@lastampa.it |
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