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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
24.02.2015 Libia: lo Stato Islamico minaccia l'Italia, un intervento contro il terrore non può attendere
Cronaca di Giordano Stabile, analisi di Carlo Panella

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Giordano Stabile - Carlo Panella
Titolo: «Isis, nuove minacce all'Italia: 'Vi colpiranno i lupi solitari' - Perché Putin è centrale per la Libia»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/02/2015, a pag. 16, con il titolo "Isis, nuove minacce all'Italia: 'Vi colpiranno i lupi solitari' ", la cronaca di Giordano Stabile; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Perché Putin è centrale per la Libia", l'analisi di Carlo Panella.

Ecco gli articoli:


Stato Islamico: "colpiremo l'Italia!"

LA STAMPA - Giordano Stabile: "Isis, nuove minacce all'Italia: 'Vi colpiranno i lupi solitari' "


Giordano Stabile

Messaggi in italiano diretti all’Italia. Con la crisi libica in piena evoluzione il nostro Paese è diventato il bersaglio privilegiato, almeno nella propaganda su Internet, dello Stato islamico (Isis). Un fenomeno del tutto nuovo, cominciato circa un mese fa e che ieri ha toccato un nuovo apice di minacce, in un messaggio nella nostra lingua: «L’Italia non partecipi alla guerra contro lo Stato islamico» per evitare che il Mediterraneo sia «colorato dal sangue dei suoi cittadini». E incita i «lupi solitari» a colpire, sul modello dei fratelli Kouachi, i killer di Charlie Hebdo.

Il messaggio, comparso su un account Twitter simpatizzante dell’Isis, è stato verificato ieri dal sito di intelligence Site. E si inserisce, secondo fonti dei Servizi e dell’antiterrorismo italiane in una «campagna di guerra psicologica» contro il nostro Paese. L’evocazione dei «lupi solitari», poi, è un pericolo «imprevedibile»: il jihadista fai-da-te che si muove da solo o in un piccolissimi gruppi, come a Parigi e a Copenaghen. L’attenzione delle forze dell’ordine, dopo il nuovo messaggio, è «ai massimi livelli», pur in assenza di notizie su specifici progetti di attacco.
Il messaggio di minacce ha avuto un percorso tortuoso sul Web, che descrive la lotta sempre più accesa fra propaganda jihadista e anti-propaganda. Migliaia di account Twitter vengono chiusi dall’antiterrorismo occidentale ogni giorno e riaperti sotto nuove spoglie. Il documento originale «Lupi solitari» ha cominciato a circolare l’8 febbraio, firmato da un certo Hamil al Bushra. Poi è uscito in versione raccorciata e più dirompente.
Da un account di Roma
«Al Bushra - spiega Marco Arnaboldi, islamologo, consulente dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) - era ben conosciuto e attivo su vari account, poi chiusi». La versione «breve» di ieri è stata invece postata dall’account da Isis-technical, probabilmente gestito da «una donna che abita a Roma, che si firma dalla Wilaya Roma, cioè “la provincia” di Roma», continua Arnaboldi. Il messaggio originale era in arabo ed è stato poi tradotto, «con errori ma non attraverso traduttori online», cioè da qualcuno che conosce sia l’arabo che l’italiano. Impossibile stabilire se l’ordine di colpire, almeno su Internet, sia arrivato dalle gerarchie dell’Isis. Ma di certo queste stanno sollecitando i militanti nei confronti dell’Italia, soprattutto da quando il precipitare della crisi libica ha dato l’opportunità agli islamisti di aprire un «secondo fronte».
Sulla Libia l’Italia guida l’iniziativa diplomatica sotto l’egida dell’Onu, le trattative a Ginevra per una composizione fra le due fazioni in lotta, quella del governo islamico di Omar al Hasi a Tripoli e quello del governo laico di Abdullah al Thani basato a Tobruk. Un fronte unito, se realizzato, potrebbe debellare l’Isis. L’iniziativa ha fra i protagonisti il nostro ambasciatore a Tripoli Giuseppe Buccino Grimaldi, ricevuto ieri dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

IL FOGLIO - Carlo Panella: "Perché Putin è centrale per la Libia"


Carlo Panella

Roma. Matteo Renzi progetta una specie di “patto del Nazareno” su scala internazionale e si prepara a offrire a Vladimir Putin l’appoggio dell’Italia per un suo ruolo di mediazione tra Turchia ed Egitto nella crisi libica. Questo è il significato dell’annuncio della mano tesa a Putin sul contrasto allo Stato islamico pronunciato dal premier italiano domenica nella trasmissione di Lucia Annunziata: è una mossa spiazzante, ovviamente preceduta dalla precondizione “formale” dell’attenuazione del protagonismo della Russia in Ucraina. Questa strategia potrebbe – il condizionale è d’obbligo – segnare una svolta nella crisi libica.

Questa prima, grande iniziativa dell’Italia sulla scena internazionale è stata elaborata mettendo a fuoco le risposte ad alcune questioni cruciali. La prima: perché Putin? La risposta è semplice: perché l’America di Barack Obama latita dal quadrante mediterraneo; perché né il presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi, né il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, hanno motivi di rispetto nei confronti di Washington; perché ha dimostrato di sbagliare tutto in medio oriente, da anni. Ma senza una forte presenza di una potenza, è impossibile una sistemazione del contenzioso libico. Ed è sotto gli occhi di tutti che l’Europa se ne guarda bene. La seconda domanda è: perché è necessaria una mediazione sulla Libia tra Egitto e Turchia?

La risposta, come nel racconto di E. A. Poe, è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno – a partire dalle letargiche Nazioni Unite – la vede. Ankara e il Cairo da un anno in qua si fanno la guerra per interposte milizie sul terreno della Libia per una partita che va ben al di là di quel quadrante. Erdogan intende esercitare la leadership planetaria, punto di riferimento assoluto, di una Fratellanza musulmana che ha subìto clamorosi rovesci, ma che è ancora ben radicata dal Marocco all’Indonesia. E il governo di Misurata è ora l’unico in cui la Fratellanza è di fatto egemone. Specularmente, al Sisi intende “spianare” la Fratellanza in Libia, per sbriciolarla ovunque sia possibile nella umma, col non indifferente aiuto dell’Arabia Saudita. Il contenzioso libico specifico, pur molto importante per l’Egitto, fa da sfondo a una inedita guerra interna al mondo sunnita pro o contro la Fratellanza e il suo peso in una ventina di paesi musulmani. La terza domanda è tanto semplice quanto senza risposta: perché mai i libici si sparano tra di loro? L’unico straccio di motivo storico è la tradizionale concorrenza tra Cirenaica e Tripolitania, ammorbata da tensioni con le minoranze etniche dei Toubou (i berberi) e dei Tuareg.

Ma in realtà, questa guerra civile non ha senso e ragione, se non nella isteria di potere e nella cecità politica di una miriade di piccoli leader, di signori della guerra, di trafficanti, che hanno sbriciolato il ruolo di controllo politico del territorio svolto dalle tribù. Oggi le strategie del governo di Misurata dipendono in larga misura dall’importante peso del neo fiduciario di Erdogan in Libia (dopo il raffreddamento dei legami col Qatar): Abdelhakim Belhadj, ex miliziano di al Qaida, ex primo comandante militare di Tripoli, ex rappresentante del Qatar in Libia, attuale leader del partito al Watan, asse portante del governo di Tripoli e terminale libico di Ankara. Sul fronte opposto, è evidente il ruolo di condizionamento diretto dell’Egitto sul governo di Tobruk. Ne è simbolo concreto il generale Khalifa al Haftar (che non potrebbe sparare un colpo senza l’appoggio militare e finanziario dell’Egitto e degli Emirati), che ha il potere che gli deriva dal comando dell’unica forza militare che si contrappone alla forza militare sinora soverchiante del governo di Tripoli.

Ma né Belhadj, né Haftar, né soprattutto i governi cui fanno riferimento possono essere obbligati a un accordo, senza una forte pressione ultimativa su di loro da parte di Ankara e del Cairo. L’accordo è indispensabile per poter condurre poi un contrasto efficace allo Stato islamico, sia sul fronte della “bomba” del traffico dei clandestini sia della messa in sicurezza delle forniture energetiche all’Italia. Dunque invitare Putin a essere parte della lotta contro il Califfato, come ha annunciato Renzi, comporta che Putin si “guadagni” questo ruolo, riuscendo a portare Turchia ed Egitto a imporre una tregua di due anni ai loro terminali libici. Renzi vuole verificare – col suo prossimo viaggio a Mosca – se questo ruolo di mediazione potrà essere svolto. Certa è l’influenza di Putin su al Sisi, alleato politico militare più della Russia che degli Stati Uniti. Più incerta è la possibilità del presidente russo di influire su Erdogan: Turchia e Russia sono opposte sul dossier siriano (e iraniano), ma hanno un radicale interesse alla collaborazione su quello strategico dell’energia e delle pipeline sul gas e soprattutto della penetrazione negli immensi mercati asiatici degli “stan”.

Certissimo però è l’odio reciproco, a livello personale, dei due presidenti. Queste difficoltà di manovra sono chiare a Renzi, che offre alla Russia di Putin una preziosa chance di entrare alla grande nel “grande gioco” del Mediterraneo, svincolandosi dalla scomoda posizione di “rogue state” svolto nella crisi ucraina. Renzi ha ben chiaro quanto possa interessare a Putin rientrare con la Lukoil nel businnes del petrolio libico – businnes che può essere oggetto di nuove spartizioni, visto che a oggi è quasi azzerato e che, pur di riattivarlo, si può ben pagare (Eni inclusa) qualche prezzo. Non sfugge a Palazzo Chigi che il rientro di Putin sulla scena internazionale non più come paria ucraino, ma come determinante player in Libia, può spaventare e irritare Stati Uniti ed Europa. In tal caso però, l’unica reazione che Washington, Londra e Parigi possono mettere in atto è di farsi carico – e con forza – della crisi che hanno aperto con incoscienza nel 2011. L’opzione è ben vista da un’Italia che oggi si mostra pronta – quasi – a tutto, pur di difendere i suoi interessi nazionali.

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