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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Libero - Il Foglio Rassegna Stampa
11.12.2014 La Cia combatte il terrorismo, Onu e Ong no
Analisi di Francesco Borgonovo e del Foglio

Testata:Libero - Il Foglio
Autore: Francesco Borgonovo
Titolo: «L'Isis: vendetta contro la Cia. E trova alleati: l'Onu e le ong - La ribellione della Cia»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 11/12/2014, a pag. 1-15, con il titolo "L'Isis: vendetta contro la Cia. E trova alleati: l'Onu e le ong", l'analisi di Francesco Borgonovo; dal FOGLIO, a pag. I, l'analisi "La ribellione della Cia"

LIBERO - Francesco Borgonovo: "L'Isis: vendetta contro la Cia. E trova alleati: l'Onu e le ong"


Francesco Borgonovo

«Non pensiate che l’Is non abbia visto i report sulle torture. Allah ci usi come frecce per colpire le teste di questi crociati e apostati ». Lo scrive su Twitter Harroon Ar- Rasheed. Invece Shami Witness dichiara, testuale: «Preferirei essere decapitato che farmi infilare nel culo delle flebo di cibo da questi infedeli senzadio froci e sodomiti. Essere decapitato è cento volte più umano, più dignitoso di quello che questi sporchi pezzi di merda fanno ai musulmani». Israfil Yilmaz utilizza un linguaggio più raffinato: «Ci chiamano barbari? Ci chiamano retrogradi? Ci chiamano mostri? Schiaffeggiatevi, leggete alcuni dei report sulle torture della Cia e svegliatevi». Aspettavate la risposta jihadista alle torture della Cia? Eccola qua. Si riassume in una parola: vendetta. I social network traboccano di dichiarazioni di questo genere. Molte delle quali attribuibili a persone che realmente hanno a che fare col terrorismo islamico. Certo, su Twitter e simili girano anche parecchi millantatori. Ma non importa: è tutto grasso che va a insaporire il brodo in cui galleggiano beati l’Is (già noto come Isis) e i cugini di al-Qaeda.Dopo tutto la rete è probabilmente il loro principale strumento di propaganda, il megafono che permette di guadagnare nuovi simpatizzanti e, nella migliore delle ipotesi, aspiranti combattenti della jihad. Le seicento pagine (su, pare, novemila raccolte) diffuse martedì dalla commissione del Senato presieduta da Dianne Feinstein hanno prodotto una reazione ampiamente prevista nel mondo islamico radicale. Ed è proprio uno deinumerosi tweet citati dal portale di Intelligence Site a fornire un sintetico quadro della situazione. Scrive infatti tale Ukht in Black: «Quel report sulla tortura non è nulla di nuovo, tutti noi sapevano che i maiali torturano i musulmani da lungo tempo. La questione è: che cosa faranno i musulmani? Sbraiteranno su Twitter e smetteranno dopo tre giorni oppure si vendicheranno sugli spregevoli infedeli che torturano anche le sorelle? (...) Fratelli e sorelle, vendicatevi del serpente americano!». Vero:nei report sul comportamento della Cia non c’è molto di nuovo. Che il waterboarding fosse praticato già si sapeva. E, più in generale, che i metodi utilizzati nei confronti dei sospetti di terrorismo non fossero proprio da garantisti era probabilmente noto anche ai pargoli. Dunque la pubblicazione dell’inchiesta non fa altro che fomentare la rabbia islamista. Da un lato fornirà ad al-Qaeda e all’Is argomentazioni convincenti sul piano ideologico. Potranno agevolmente sostenere che l’Occidente non è meno barbaro di loro. Dopo tutto, sono gli stessi occidentali a vergognarsi e a provare raccapriccio per ciò che è stato commesso a Guantanamo e altrove. Come ha scritto Guido Olimpio, i metodi della Cia con «l’operativo Abu Zubaydah sono stati tali da far piangere uno degli agenti ».

Non solo: ieri è arrivata la carica dei cuori teneri, quelli caduti dal pero, quasi pensassero che la guerra al terrorismo si conducesse facendo il solletico ai miliziani. Ben Emmerson, relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani e la lotta al terrorismo, ha fatto sapere che «gli Stati Uniti sono obbligati dalla legge a portare i responsabili di fronte alla legge». E ha aggiunto: «Gli individui responsabili di questo complotto criminale devono essere portati davanti alla giustizia e fronteggiare pene commensurate alla gravità dei loro crimini». Steven Hawkins, direttore esecutivo di Amnesty Usa, ha dichiarato che «chi ha torturato e chi ha autorizzato a farlo deve essere messo sotto inchiesta». Sono richieste che hanno dei fondamenti, certo. C’è un solo problema: agli islamisti non basterà la giustizia americana. Il processo - per direttissima e concondanna a morte assicurata - vorranno farlo loro per primi. E non avendo a disposizione i carcerieri di Guantanamo, lo faranno ai primi infedeli che capiteranno fra le loro grinfie. In particolare, lo faranno agli ostaggi. Come facciamo a saperlo? Perché lo hanno già fatto. L’Is e certe frange di al-Qaeda agiscono come una sorta di specchio oscuro dell’Occidente. Quando furono diffuse le immagini raccapriccianti scattate nel carcere di Abu Ghraib, con gli americani immortalati mentre umiliavano e torturavano i reclusi, la replica arrivò da al-Zarqawi, la guida di al-Qaeda in Iraq. Il decapitatore, l’uomo che più di Bin Laden ispira i tagliagole dell’Is. Era il 2004: i jihadisti filmarono la decapitazione dell’ostaggio Nick Berg. Il quale, per la prima volta in un video islamista, indossava una tuta arancione. Come quelle che portavano i presunti terroristi detenuti di Guantanamo. Il riferimento era evidente. Poco dopo fu ucciso l’inglese Kenneth Bigley: anche lui vestito di arancione e supplicante pietà. IlCaliffato abbiglia le sue vittime allo stesso modo. Non solo: come risulta da un’inchiesta condotta da Rukmini Callimachi per il New York Times, prima di essere sgozzati gli ostaggi sono stati sottoposti a torture del tutto simili a quelle imputate alla Cia. Nel report della Feinstein si cita un terrorista lasciato incatenato a un muro per due settimane? Ecco come fu trattato James Foley: «“Si vedevano le cicatrici sulle sue caviglie”, ha raccontato il 19enne Jeojoen Bontnick, un belga convertito all’islam che nell’estate 2013 passò tre settimane nella stessa cella di Foley. “Mi disse che gli avevano incatenato i piedi a una sbarra e che avevano appeso la sbarra al soffitto, lasciandolo a testa in giù». Sia Foley che altri ostaggi furono sottoposti a waterboarding, proprio come toccò alla mente dell’11 settembre, Khaled Sheikh Mohammed,che secondo il report subì il supplizio 183 volte. Se hanno fatto questo prima del report, pensate che cosa potranno fare poi. Anche grazie ai democratici Usa e a qualche buon’anima dell’Onu che pensa che il waterboarding sia un metodo per lavarsi la coscienza.

IL FOGLIO: "La ribellione della Cia"


Osama Bin Laden

Il Wall Street Journal ieri ha ospitato un articolo redatto dagli ex direttori della Cia George Tenet, Porter Goss e Michael Hayden (generale dell’aeronautica in pensione) e dai vicedirettori della Cia John McLaughlin, Albert Calland (ammiraglio della marina in pensione) e Stephen Kappes. E’ la risposta al report della commissione Intelligence del Senato americano sull’operato della Cia negli anni post 11 settembre che è stato pubblicato martedì e che denuncia un abuso di potere da parte dell’Agenzia dell’intelligence nelle tecniche di interrogatorio, dice che la Cia non ha informato correttamente il Congresso e che tutte le tecniche “brutali” utilizzate non sono state efficaci: cioè l’intelligence ottenuta non è stata utile nella guerra al terrorismo. I leader che hanno guidato la Cia confutano le tesi del report e dicono fin dalla premessa che il documento “è stato redatto soltanto dalla maggioranza democratica della commissione” e che si tratta “di un’opportunità mancata per presentare uno studio serio ed equilibrato su una questione politica di grande importanza”. La commissione ha fornito invece “uno studio partisan costellato di errori di fatto e di interpretazione, essenzialmente un attacco di parte all’Agenzia che più ha fatto per proteggere l’America dopo gli attacchi dell’11 settembre”. In nessun modo, scrivono gli uomini della Cia, vogliamo sostenere che “abbiamo operato perfettamente, specialmente nell’emergenza e nelle circostanze spesso caotiche che ci siamo trovati di fronte dopo gli attacchi dell’11 settembre. Come in tutte le guerre, ci sono cose che senza ombra di dubbio non dovevano accadere”. Per questo, dicono, “quando ne siamo venuti a conoscenza, abbiamo fatto istanza presso l’ispettore generale della Cia o al dipartimento di Giustizia e abbiamo cercato di correggerci”. Il paese, scrivono, e anche la Cia “avrebbero tratto beneficio da uno studio più bilanciato di questi programmi e di un corrispondente set di raccomandazioni”. Ma il report della commissione del Senato non è niente di tutto ciò, “non propone nemmeno una raccomandazione”. I capi della Cia che scrivono sul Wall Street Journal dicono che la loro opinione è condivisa sia dalla Cia sia dalla minoranza repubblicana presente nella commissione Intelligence che sta infatti pubblicando report di dissenso rispetto a quello votato. Che cosa c’è di sbagliato allora nel documento del Senato? I leader della Cia proseguono per punti. “Primo, il report sostiene che il programma di interrogatori della Cia è stato inefficace nel produrre intelligence in grado di aiutarci a distruggere, catturare o uccidere terroristi, ma questa conclusione è inaccurata. Il programma è stato prezioso sotto tre punti di vista: ha portato alla cattura di operativi senior di al Qaida, rimuovendoli così dal campo di battaglia; ha portato alla distruzione di plot terroristici e ha impedito attacchi di massa, salvando le vite degli americani e dei nostri alleati; ha contribuito a farci avere moltissime informazioni sull’organizzazione di al Qaida e su come fare ad attaccarla e a renderla meno forte”. A questo punto i capi della Cia entrano nel dettaglio e parlano del caso di Abu Zubaydah, un operativo senior di al Qaida, e di Khalid Sheikh Mohammed, noto come KSM, che è il “mastermind” dell’11 settembre: “Siamo convinti – scrivono – che entrambi non avrebbero parlato se non ci fosse stato il programma di interrogatori”. Le informazioni fornite da al Zubaydah attraverso gli interrogatori hanno portato alla cattura nel 2002 di Ramzi bin al Shibh, socio di KSM. Le informazioni ottenute da Zubaydah e al Shibh ci hanno portati a KSM. Poi KSM ci ha portati a Riduan Isamuddin, noto come Hambali, capo di al Qaida nell’Asia dell’est e organizzatore dell’attentato a Bali nel 2002, nel quale morirono 200 persone. La rimozione di questi capi di al Qaida ha salvato migliaia di vite in quanto stavano lavorando ad altri attentati: anche KSM, sottolineano i leader della Cia, stava organizzando altri attacchi multipli quando è stato catturato. I capi della Cia continuano la loro spiegazione su come i programmi di interrogatorio sono stati utili per evitare che ci fossero altri attacchi. “Senza rivelare a KSM che Hambali era stato catturato, abbiamo chiesto a KSM che cosa sarebbe accaduto se Hambali non fosse più stato in grado di svolgere il suo lavoro. Così KSM ci ha parlato del fratello di Hambali, Rusman Gunawan. Abbiamo poi trovato Gunawan e le informazioni che ci ha dato lui ci hanno permesso di abbattere la cellula che aveva costruito, 17 uomini nel sud est asiatico, pronti per la ‘second wave’, una serie di attacchi in stile 11 settembre sulla costa ovest dell’America, compreso l’utilizzo di aerei per colpire palazzi. Se questi attacchi ci fossero stati, si sarebbe ripetuto l’orrore dell’11 settembre”. Una volta che questi terroristi hanno incominciato a rispondere alle domande, sia Abu Zubaydah sia KSM sono diventati fonti preziose per comprendere l’organizzazione di al Qaida. “Siamo tornati molte volte da loro per avere informazioni interne al gruppo. Più di un quarto delle quasi 1.700 note a piè di pagina del molto autorevole report della commissione 11 settembre del 2004 e una parte significativa dell’intelligence che sta alla base del National Estimate su al Qaida del 2007 proviene dai detenuti interrogati, in particolare da Zubaydah e KSM”. Anche su Osama bin Laden il report della commissione Intelligence del Senato sbaglia, sostengono i leader della Cia. “Non c’è alcun dubbio che le informazioni fornite da tutti i detenuti sotto la custodia della Cia, quelli sottoposti al programma di interrogatori e quelli no, sono state essenziali per prendere Bin Laden. La Cia non si sarebbe mai concentrata su quell’individuo che è poi risultato essere il postino personale di Bin Laden se non ci fossero stati gli interrogatori”. Proprio quel che è stato detto in quegli interrogatori durissimi hanno permesso alla Cia di mettere il postino in cima alla lista dei “lead” che avrebbero poi portato a Bin Laden. Anzi: “Un detenuto in particolare, sottoposto al programma di interrogatori, ha fornito le informazioni specifiche sul postino”. In più, KSM e Abu Faraj al Libi, entrambi soggetti a interrogatori, mentirono sul postino in un momento in cui entrambi stavano dando risposte su molti altri argomenti: “Siccome molti altri detenuti stavano legando il postino a KSM e Abu Faraj, loro cercavano di nascondere la sua fondamentale importanza”. Per cui la conclusione secondo i leader della Cia è chiara: “Il programma di interrogatorio ha costituito una parte essenziale delle fondamenta da cui è partita la missione della Cia e dell’esercito per la cattura di Bin Laden”. Il secondo problema che i capi della Cia riscontrano sul report del Senato è la denuncia di un abuso di potere da parte dell’Agenzia, cioè il fatto che gli interrogatori fossero andati oltre a quanto stabilito dal dipartimento della Giustizia. Anche qui: “That claim is wrong”. Il ministro della Giustizia di Obama, Eric Holder, ha nominato un procuratore esperto, John Durham, per investigare il programma di interrogatori nel 2009. Durham ha cercato di capire se negli interrogatori della Cia erano state usate tecniche non autorizzate, e se sì, se queste tecniche costituivano una violazione degli statuti criminali degli Stati Uniti. In un comunicato stampa, il ministro della Giustizia ha detto che Durham “ha esaminato ogni possibile coinvolgimento della Cia rispetto agli interrogatori e alla detenzione di 101 prigionieri che erano in custodia degli Stati Uniti” dopo gli attacchi dell’11 settembre. L’inchiesta si è conclusa nel 2012 e, scrivono i leader della Cia, “è stata un’inchiesta professionale ed esaustiva e ha stabilito che non erano state commesse alcune offese perseguibili”. In terzo luogo, il report del Senato sostiene che la Cia ha mentito al dipartimento di Giustizia, alla Casa Bianca, al Congresso e al popolo americano e anche questo è “del tutto errato”. Gran parte dei ragionamenti su questo tema si basa sul fatto che il programma di interrogatori non è considerato efficace, “un’argomentazione che non si basa sui fatti”. Il quarto punto, secondo i capi della Cia, è “un elemento essenziale per capire il programma” di cui il report si è totalmente dimenticato: “Il contesto. Il programma di detenzioni e interrogatori è stato pensato dopo l’assassinio di quasi tremila persone l’11 settembre”. In quel periodo, scrivono, “sembrava che ci fosse una ‘bomba a orologeria’ ogni singolo giorno: avevamo prove che al Qaida stesse programmando una seconda ondata di attacchi contro l’America; avevamo notizie del fatto che Bin Laden si fosse incontrato con scienziati nucleari pachistani e volesse armi nucleari; avevamo report su armi nucleari infiltrate a New York; avevamo prove del fatto che al Qaida stesse cercando di produrre antrace. In quest’atmosfera, il tempo era essenziale e la Cia sentiva una grande responsabilità nel fare in modo che attacchi come quello dell’11 settembre non avvenissero mai più”. Non c’era la possibilità di discutere con assassini brutali “che non esitavano a decapitare degli innocenti” e “avevano ricevuto un addestramento anti interrogatorio molto efficace nei campi di al Qaida”. Ma questi assassini “erano in possesso di informazioni che avrebbero potuto distruggere piani terroristici e salvare vite americane”. I capi della Cia ammettono che allora l’Agenzia non era pronta a mettere in atto il programma di interrogatori: “Il report della commissione del Senato dice che la Cia a quel punto aveva scarsa esperienza nella cattura, detenzione o nelle tecniche di interrogatorio dei terroristi. E’ vero. Ma eravamo stati incaricati dal presidente di fare queste cose in una situazione di emergenza – in un momento in cui non c’era tregua dalla minaccia e non c’era il lusso di prendere tempo prima di agire. La nostra speranza è che nessuno debba mai affrontare questa situazione di nuovo”. Un altro fatto che la commissione del Senato ha praticamente ignorato, inoltre, è che “la Cia non agiva da sola nella gestione del programma di interrogatori”. L’Agenzia ha cercato il sostegno e l’approvazione di tutti gli organi di vigilanza, e il programma di interrogatori era approvato dall’Amministrazione e considerato legale: “Nel corso del processo, ci sono stati colloqui con il consigliere per la Sicurezza nazionale, con il viceconsigliere per la Sicurezza nazionale, con il consigliere giuridico della Casa Bianca e con il dipartimento di Giustizia. Il presidente ha approvato il programma. Il procuratore generale lo ha giudicato legale”. La collaborazione è stata massima, ma non sempre l’Agenzia ha ottenuto il sostegno e la guida di cui avrebbe avuto bisogno: “La Cia è andata dal procuratore generale per un giudizio legale quattro volte – e l’Agenzia ha fermato il programma due volte per assicurarsi che il dipartimento di Giustizia lo ritenesse ancora in linea con la policy, la legge e gli obblighi diplomatici dell’America. La Cia ha cercato sostegno e conferme del programma da policymaker di alto grado dell’Amministrazione almeno quattro volte. Noi contavamo sulle loro linee guida e sui loro giudizi legali. Non ne abbiamo ricevuto nessuno. La Cia ha trasmesso ogni accusa di abusi all’ispettore generale confermato dal Senato e al dipartimento di Giustizia. L’alta dirigenza della Cia ha inviato circa 20 casi al dipartimento di Giustizia, e funzionari in carica del dipartimento hanno deciso che solo uno di quei casi – non legato al programma formale di interrogatori – meritava un’incriminazione. Questa persona è stata condannata alla prigione”. L’azione della Cia è stata approvata anche dal Congresso, dicono i capi dell’Agenzia. Inizialmente, “su richiesta del presidente”, “i briefing erano ristretti alla cosiddetta Gang of Eight dei maggiori leader del Congresso – una limitazione permessa dalla legislazione per le operazioni sotto copertura. I briefing erano dettagliati ed espliciti e hanno suscitato reazioni che variavano dall’approvazione alla non contrarietà. I briefing non hanno risparmiato nessun elemento”. E al contrario di quanto avviene oggi, l’opinione dei legislatori non era affatto scandalizzata: “In un briefing alla commissione Intelligence del Senato dopo la cattura di KSM nel 2003, i membri della commissione misero in chiaro che volevano che la Cia fosse estremamente aggressiva al fine di apprendere cosa KSM sapesse dei nuovi piani. Un senatore si sporse in avanti e disse con forza: ‘Avete tutte le autorizzazioni di cui avete bisogno per fare quello che dovete fare?’”. A partire dal settembre del 2006, dicono i capi della Cia, l’Amministrazione ha deciso di informare del programma di interrogatori tutta la commissione Intelligence. Era l’occasione per instaurare un dialogo serio con le commissioni di vigilanza, ma “le commissioni hanno perso la possibilità di aiutare a plasmare il programma – non riuscirono a trovare il consenso. Il settore esecutivo è stato lasciato a procedere da solo, limitandosi a mantenere informate le commissioni”, ma di tutto questo il report non parla. Una delle cose più difficili da comprendere, inoltre, è perché la commissione non abbia mai interrogato molte persone dentro la Cia che si occupavano del caso, come per esempio gli stessi capi dell’agenzia: “Lo staff ha evitato di intervistare ciascuno di noi che siamo stati coinvolti nella creazione o nella gestione del programma, ed è la prima volta che quello che dovrebbe essere uno studio completo di una commissione selezionata dal Senato sull’Intelligence è gestito in questo modo. La scusa data dai senatori della maggioranza democratica è che gli ufficiali della Cia erano sotto indagine da parte del dipartimento della Giustizia e dunque non potevano essere disponibili. Questa è una sciocchezza. Le indagini di cui si parla sono state completate nel 2011 e 2012 e sono state fatte solo su certi funzionari. La commissione non si è mai rivolta ai sei ex direttori e vicedirettori della Cia, che avrebbero tutti potuto aggiungere verità di prima mano allo studio. Eppure dalla stampa si legge che lo staff della commissione ha ritenuto opportuno sentire almeno un avvocato di uno dei terroristi di Guantanamo”. La conclusione dei capi dell’Agenzia è che “i membri dello staff della commissione non volevano il rischio di avere a che fare con dati che non confermavano le loro tesi. Questa è un’altra delle ragioni per cui lo studio è così sbagliato. Quello che è successo nella preparazione del report è evidente: lo staff ha manipolato i risultati in via preliminare affinché lo studio desse certe risposte, soprattutto riguardo alla questione dell’efficacia degli interrogatori nel produrre intelligence che hanno aiutato a catturare terroristi. I membri dello staff dunque hanno selezionato quello che volevano in sei milioni di pagine di documenti, ignorando alcuni dati e sottolineandone altri, per costruire la loro accusa contro l’efficacia del programma”. Questo significa politicizzare l’operato dell’Agenzia e il giudizio su di essa. Per i capi della Cia, le conseguenze di questo comportamento saranno gravi, e aumenteranno il “pericolo per il popolo americano e per i nostri alleati: molti ufficiali della Cia saranno preoccupati che essere coinvolti in azioni politicamente delicate, benché legalmente approvate, possa diventare motivo di controllo politicamente motivato e censura da parte di una futura Amministrazione. I partner dell’intelligence straniera avranno ancora meno fiducia nel fatto che Washington, già danneggiata dai leak, sarà in grado di proteggere la loro collaborazione dal controllo pubblico. Ridurranno la cooperazione con gli Stati Uniti. I terroristi, avendo ottenuto ora il più grande rifugio (nel medio oriente e in nord Africa) e la più grande serie di successi un decennio, avranno un altro strumento utile per il reclutamento”. La Cia, dicono i suoi ex leader, non è contraria a una vigilanza esterna, anzi: ne ha spesso tratto beneficio, “quando il lavoro di vigilanza funziona bene, è bilanciato, è critico in modo costruttivo e discreto – e offre buoni consigli”. Ma “il report della commissione Intelligence del Senato è irrispettoso di questi standard. E’ giusto chiedersi se il programma di interrogatori era una scelta giusta, ma la commissione non si fa mai la più difficile delle domande”. I leader della Cia si chiedono che cosa avrebbero fatto al posto loro “quelli che amano le scelte semplici di oggi”, e immaginano che non sarebbero stati per niente a loro agio. “Davanti ai problemi del dopo 11 settembre, gli ufficiali della Cia sapevano che molti avrebbero messo in discussione le loro decisioni”, continuano, “ma credevano anche che sarebbero stati moralmente responsabili per la morte di loro concittadini se non fossero riusciti a ottenere informazioni che avrebbero potuto fermare i prossimi attacchi. Tra il 1998 e il 2001, la leadership di al Qaida in Asia del sud ha attaccato due ambasciate nell’Africa dell’est, una nave da guerra americana nel porto di Aden, Yemen, e il territorio americano – il più mortifero singolo attacco contro gli Stati Uniti nella storia del paese. La leadership di al Qaida non è riuscita a fare un altro attacco all’America nei 13 anni successivi, benché volesse farlo. Le pratiche e i programmi aggressivi di controterrorismo della Cia hanno il merito di questo successo”.

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