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La Stampa-Corriere della Sera-Libero Rassegna Stampa
05.10.2014 Guerra all'Isis: i commenti 'qualcuno, stolto, dice che questi sono finti musulmani' scrive Domenico Quirico
di Domenico Quirico, Bernard-Henry Lévy, Carlo Panella

Testata:La Stampa-Corriere della Sera-Libero
Autore: Domenico Quirico, Bernard-Henry Lévy, Carlo Panella
Titolo: «Negli occhi delle vittime le mie false esecuzioni-Le ingiuste critiche ai moderati dell'islam-Gli ostaggi sono già condannati, inutile promettere di liberarli»

Guerra all'Isis: riprendiamo oggi 05/10/2014, i commenti dalla STAMPA, CORRIERE della SERA, LIBERO.
Se in Italia esistesse un Premio Pulizer per il migliore articolo, vorremmo proporre questo di Domenico Quirico, che riesce a trasmetterci ciò che si prova nelle mani del proprio carnefice. Lo dedichiamo a Bernard-Henry Lévy, in modo particolare la frase di Quirico che abbiamo ripreso nel titolo di questa pagina "qualcuno, stolto, dice che questi sono finti musulmani".

Ecco gli articoli:

La Stampa-Domenico Quirico: " Negli occhi delle vittime le mie false esecuzioni "

Domenico Quirico

Ma perché, Dio mio, queste vittime non gridano, non inveiscono contro il loro boia vestito di nero, non invocano per l'ultima volta, seppure inutilmente, pieta dal coltello che gli agitano davanti? Nell'orrore delle esecuzioni degli ostaggi occidentali mancano i gesticolamenti, le urla. E' un orrore stranamente asettico, tranquillo, rassegnato. Vorresti vedere la ribellione, la vera ribellione scoppiare sul viso umano: e invece non è espressa, non dallo sguardo, fisso e come velato, né dalla bocca; persino la testa, invece di piegarsi, o sollevarsi fieramente o disperatamente, pende sulla spalla, sembra piuttosto piegarsi sotto un invisibile fardello. Sembra che nei sacrificati del Califfo il brusco impeto della volontà, il suo incendio lasci il corpo inerte, impassibile, sfinito da un troppo grande sperpero dell'essere. Perché? Forse non avrei una risposta, o mi accontenterei di quella, in fondo banale, pratica, di chi sospetta il ripetersi di molte false esecuzioni: strategia subdola per ottenere nel video di quella vera, l'ultima, la scenografica sopportazione della vittima. Mi accontenterei se non avessi provato, in luoghi non lontani da quelli in cui si consuma la Ingiustizia spettacolare e diabolicamente comunicativa del califfato di Mosul, l'esperienza di una falsa esecuzione, di una doppia falsa esecuzione. Non saprei nulla di quell'impeto silenzioso, che sembra irresistibile, di quel grande slancio di tutto l'essere verso il Male, fatto persona nel soldato del Jihad, la guerra Santa, che ti sta davanti, della preda verso il carnefice: di questa libertà, naturalezza del Male, odio, vergogna. Di come quello che è l'atto finale della vita, per fortuna finto o purtroppo vero, diventa per te quasi bello, di una bellezza che non è di questo mondo né dell'altro, la bellezza di un mondo più antico, prima del peccato forse. Prima del peccato degli Angeli. Provo a raccontare, soprattutto a me stesso, quei secondi. La pistola è lì alla tempia, il coltello nella mano del boia. Tutto è stato detto: morirai. Fino a un attimo prima volevi ancora leccare la vita come zucchero, plasmarla ancora, affilarla, amarla insomma come si cerca la parola, l'immagine definitiva. Invece, non lo sai, ma la discesa è iniziata dal giorno in cui hai capito che non sarai più liberato. Ma non sapremo mai quando questo è accaduto ad esempio per il giornalista americano Foley, prigioniero da due anni: due anni! Il boia pronuncia la sentenza e lancia altre minacce. Ripeti dentro di te quelle sillabe. Al contrario di Foley e dei suoi sciagurati compagni avevo il mio assassino davanti, a pochi centimetri, il viso sul viso, gli occhi negli occhi, mentre risuonavano quelle sillabe insensate. La figura dell'uomo che ti ucciderà, con la sua bocca aperta a quel balbettio infame, si confonde con mille altre figure che hai veduto, con uomini che hanno sfiorato la tua vita, di cui hai sofferto, con tutta l'umanità informe e uguale che si assomiglia e riempie il mondo. Fu, è un senso lacerante, una nausea di tutto, e dell'uomo. E allora che ti senti assolutamente solo in un mondo intento a tutt'altro, un mondo contento di essere vivo, di dormire, di amare, di guardare come tu non potrai più. Sei allora, per la folgorazione di un istante, senza più memoria, senza possibilità di ricordarti altro. Se non di questa coscienza sepolta nel corpo che non sarà più tuo. Invocare, fuggire, ribellarti e tutto il resto è roba per gente con l'avvenire davanti. Rassegnati: dice una voce che ghiaccia il cuore. Perché l'uomo che ti sta davanti, che hai imparato a conoscere durante tutto il tempo della tua prigionia (Haji era il soprannome del mio, ovvero il saggio, colui che ha fatto il Pellegrinaggio, e qualcuno, stolto, dice che questi sono finti musulmani), giorno dopo giorno, è diventato per te Dio. Perché, come Lui, ti ha completamente nelle sue mani, ti pub amministrare la vertigine della sofferenza fino alla morte o la gioia incommensurabile di un atto di amore fino alla liberazione. E insieme giustizia e ingiustizia assoluta, senza punizione e senza rimorso. Calcolare le proprie possibilità, a che serve? Contro Dio non si gioca. Ecco: siamo faccia a faccia , io e Lui, Lui e loro. Tutto il resto è svanito, non ti resta che abbandonarti. Non di amarlo, come brancolano gli inventori della inesistente «Sindrome di Stoccolma». Abbandonarti. Che ragione c'è di urlare, invocare, scuotersi? II tuo Dio con il pugnale è davanti a te. Io e lui. Sei come un uomo che si è arrampicato di corsa su una china vertiginosa, apre gli occhi, si ferma abbagliato, non è più in grado di salire o di scendere. E così che il principio della calma entra in te. Non so se Foley e le altre vittime hanno pregato, non conosco le loro biografie così a fondo, laddove entra il silenzio e l'ombra di Dio. Ma non è la preghiera nel senso che i cristiani frivoli danno a questa parola. Una bestia disgraziata, quale tu sei, imprigionata in una campana senza aria, può fare tutti i movimenti della respirazione, ma che serve? Poi, all'improvviso, l'aria irrompe di nuovo nei tuoi bronchi, le arterie tremano al colpo del sangue che riprende a fluire, sei come una nave al fragore delle vele che si gonfiano. Il tuo Dio è davanti a te con il pugnale pronto. Ora sì, puoi morire.

Corriere della Sera-Bernard-Henry Lévy: " Le ingiuste critiche ai moderati dell'islam "

Ci chiediamo se BHL conosce il Corano.

 Bernard-Henry Lévy

E' il dibattito più assurdo del momento. Riassumiamo. Sono sempre più numerose le autorità spirituali che finalmente si decidono a condannare — dal Cairo a Riad e Giakarta — i crimini di un islamismo verso cui finora erano state molto indulgenti. A Londra nasce un movimento in cui migliaia di persone gridano, su internet, il loro rifiuto di accettare che gli omicidi, le decapitazioni in serie, gli appelli alla guerra santa lanciati dall'Iraq siano perpetrati in loro nome. Il movimento si estende in Francia dove l'imam di Drancy, Hassen Chalghoumi, poi il rettore della Grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, trovano le parole per dire l'orrore che ispira loro l'assassinio, sulle montagne della Kabilia, di Hervé Gourdel e invitano i fedeli a scendere in piazza per esprimere, anch'essi, il loro disgusto. Ed ecco un manipolo di persone dalla mente limitata che, invece di felicitarsi per questo segnale di unità nazionale di fronte al peggio e invece, soprattutto, di ammirare il coraggio dei manifestanti consapevoli che, agli occhi dello Stato Islamico, il fatto di sventolare il ritratto di uno «sporco francese» fa di loro dei traditori, degli apostati e degli assassinati in potenza, trovano da dire soltanto una cosa: «Che sono manipolati... obbligati a scusarsi di un misfatto che è loro estraneo... che quella gente, manifestando la propria fratellanza, in realtà ha soltanto obbedito a un ordine e confermato il sospetto di cui era oggetto...». Sorvoliamo sul disprezzo. Sorvoliamo sul fatto che esistono ancora editorialisti «di sinistra» che vedono i loro concittadini di origine araba, berbera e, in ogni caso, musulmana, come eterne vittime, oggetti della Storia e mai soggetti, incapaci di produrre un discorso proprio, alienati. Ia verità è che l'Islam stesso, l'Islam invocato dagli assassini di Mosul non meno di quello degli imam di Lione o di Parigi, l'Islam di cui l'Isis è — lo si voglia o meno — Io stendardo sanguinoso, è diventato un luogo di dibattito, anzi, un campo di battaglia. E di questa battagliai musulmani sono i primi arbitri. Islam contro Islam. Guerra di appropriazione attorno ai nomi dell'Islam. Lotta ideologica, interna quindi all'Islam, fra chi ritiene che jihad, per esempio, sia un comandamento spirituale e chi una chiamata all'omicidio e alla guerra santa. Prendiamo in considerazione uno qualsiasi dei giovani invitati da predicatori improvvisati a raggiungere il migliaio di loro concittadini già partiti per la Siria e l'Iraq. Immaginiamolo tentato dal gruppo che si vuole fondere con il jihadismo, che egli vede formarsi nella propria città o sulle pagine Facebook e ripetono che essere musulmani significa dare la caccia agli ebrei, ai cristiani, agli yazidi e agli sciiti. Ebbene, è di importanza capitale che egli ascolti da veri imam che il Corano non è questo. È decisivo che abbia davanti a sé l'immagine di altri gruppi che testimonino che l'Islam è una religione di fratellanza e di pace. È essenziale che all'idea di Islam predicata dalla nuova setta di assassini si opponga un'altra idea, sostenuta da voci più potenti, forti di tale potenza, atte a screditare i sostenitori della prima idea. Dire questo non significa offendere i musulmani, ma onorarli. Non significa non fidarsi, è credere nelle loro forze vive e nella loro capacità di difendere la Repubblica. Non significa fare «comunitarismo», ma fare, o rifare, politica: la vera politica, che traccia linee di demarcazione all'interno delle formazioni ideologiche al cul proposito i nostri maestri ci insegnavano che si ha sempre ragione nel farvi passare il filo che separa i due eterni partiti dell'inumanità e del vivere insieme. È l'occasione, adesso, di esaminare la malattia dell'islam di cui parla da vent'anni Abdelwahab Meddeb. Le tragedie a catena, il grande ciclone planetario dove volteggiano alcune fra le parole dell'islam: forse tutto questo sarà, per coloro che tengono a tali parole come alla loro fede più intima, il punto di partenza di una lunga e bella marcia al termine della quale la terza religione del Libro si libererà, anch'essa, della parte oscura di sé. Ci auguriamo che i musulmani di Francia non perdano questa occasione. E che gli irresponsabili che li invitano a restare a casa non li facciano desistere alla vigilia della lotta che essi attendono da lungo tempo. Siamo tutti sulla stessa barca. Ma loro sono in prima linea: bisogna che vincano. (traduzione di Daniela Maggioni)

Libero-Carlo Panella: " Gli ostaggi sono già condannati, inutile promettere di liberarli "

 

Carlo Panella

Inutile sperare di liberare gli ostaggi delCaliffo nero. Inutile trattare. Inutile anche minacciare roboanti punizioni come fanno ad ogni atroce sgozzamento Obama e Cameron.Nessuno salverà la vita dell’americano Peter Kassig e dell’inglese John Cantile, già apparsi negli orridi trailers dei tagliagole come vittime designate. Deciderà la più rivoltante regia televisiva di tutti i tempi quando e con quale pretesto saranno sgozzati. Abu Bakr al Baghdadi ha innovato nell’orrore anche questa oscena pratica. Ha superato in infamia persino al Qaeda. E non era facile. La terribile realtà è che Alan Henning, come i quattro ostaggi prima di lui (James Foley, Steven Sotloff, David Haines in Siria e Pierre Gordel in Algeria) sono stati sgozzati a favor di telecamera non solo e non tanto per farci orrore, quanto per celebrare un orrido rito religioso che punta a fare proseliti, a convincere altri musulmani in terra d’Islam e in Europa ad arruolarsi nelle sue milizie. E funziona. Questo dobbiamo capire se vogliamo combattere questi infami. Ogni volta che“Johnny il jihadista" strazia la gola di un ostaggio, decine, centinaia, decine di migliaia di musulmani esultano. E molti si arruolano nelle milizie del Califfato. Giorni fa, in uno stadio di Rabat, in Marocco, a mille miglia dalla Mesopotamia, un settore della tifoseria ha inscenato una “ola” inneggiando al jihad del Califfo. Nei quartier iEsenyurt, Bagciler e Fatihdi Istanbul il Califfato nero è di casa, fa propaganda, proselitismo, vende souvenir per strada. Ed è coperto dall’omertà degli abitanti. Questo è il contesto. Mai era successo che si rapisse un ostaggio solo per sgozzarlo. Ma questo è stato fatto giorni fa in Algeria a danno del povero Pierre Gourdel, ad opera di uno sconosciuto gruppo islamista che si è così dotato di credenziali per poter essere riconosciuto dal lontano Califfato, acquistando così prestigio nella sua zona d’azione. Abu Bakr al Baghdadi, insomma,ha innovato anche nella millenaria pratica della presa d’ostaggi. In peggio, naturalmente. L’Italia sinora è stata risparmiata, i nostri ostaggi in Siria, padre Dall’Oglio, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo non sono stati minacciati pubblicamente di morte. Nessuno li ha esibiti come prede. Non perché il nostro Paese non partecipa ai raid contro il Califfo. Ma perché non sono nelle sue mani. Il nostro governo, giustamente, è riservatissimo,ma ha fatto trapelare la certezza che i nostri tre ostaggi sono nelle mani di altre organizzazioni, non meno feroci, ma intenzionate a ricavarne un consistente riscatto.E siccome tutti i governi italiani hanno sempre pagato, anche se l’hanno sempre negato (in realtà si "triangola" con organizzazioni umanitari e non italiane, poi rimborsate) si spera che anche questa volta la trattativa vada a buon fine. Si spera, non di più. Perché ogni settimana che passa aumenta il rischio che i tre ostaggi vengano venduti o passati al Califfato. Magari - Dio non voglia - in attesa che anche l’Italia partecipi più attivamente alla guerra, per agire di conseguenza. In questa vicenda tristissima, peraltro ,è emerso un dato gravissimo: i Servizi Segreti occidentali non hanno nessun infiltrato, nessuna idea di come muoversi contro il Califfato. Ad agosto la Delta Force americana ha organizzato un imponente blitz in una raffineria del nord della Siria per tentare di liberare Foley. Blitz riuscitissimo dal punto di vista militare, solo che Foley non era nel sito “espugnato”. Le informazioni dei Servizi americani erano delle bufale. Da settimane, ugualmente, le “teste di cuoio” inglesi sono scatenate per organizzare un blitz per salvare la vita di Henning e di Cantile. Ma brancolano nel buio, non riescono a penetrare nell’organizzazione del Califfato che risulta impermeabile. Sia perché nessuno ha sinora tentato di penetrarla, per una demenziale sottovalutazione americana e inglese della sua pericolosità. Sia perché il Califfato è strutturato secondo le più complesse regole militari clandestine,apprese dai militari iracheni e siriani che sono confluiti nelle sue fila.

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