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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
01.10.2014 Decapitate 3 donne: l'esodo e la strenua lotta dei curdi contro l'Isis
Cronaca e analisi di Kiran Nazish, Enrico Franceschini

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Kiran Nazish - Enrico Franceschini
Titolo: «Fra i combattenti curdi allo stremo: 'Aiutateci o l'Isis ci annienterà' - Ancora orrore in Iraq: decapitate tre curde, l'Isis è vicino a Baghdad»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/10/2014, a pag. 11, con il titolo "Fra i combattenti curdi allo stremo: 'Aiutateci o l'Isis ci annienterà' ", il reportage di Kiran Nazish; da REPUBBLICA, a pag. 14, con il titolo "Ancora orrore in Iraq: decapitate tre curde, l'Isis è vicino a Baghdad", la cronaca di Enrico Franceschini.


Profughi curdi

LA STAMPA - Kiran Nazish: "Fra i combattenti curdi allo stremo: 'Aiutateci o l'Isis ci annienterà' "


Kiran Nazish

I miliziani dell’Isis sono entrati nei sobborghi di Kobani, la città siriana al confine con la Turchia, simbolo della resistenza curda contro l’avanzata inesorabile della più feroce espressione dell’islamismo. Con le bandiere nere oramai a tre chilometri dal centro, l’angoscia cresce nelle file dei guerriglieri curdi, come fra i compagni appena al di là del confine, nella cittadina turca di Suruc.
«Non credo che ci metteranno molto a prendere Kobani - dice sconsolato Maimoona Ali, un attivista dei diritti umani, fuggito dalla Siria e ora rifugiato a Suruc -. Lunedì ho saputo che la mia casa è stata distrutta dai bombardamenti. Non potremo mai tornarci a vivere. Ma almeno faremo del nostro meglio per combattere il Daish». È così che chiamano nei Paesi arabi l’Isis. E fratelli e cugini di Ali si stanno battendo contro i miliziani in questo momento.
Ma i curdi siriani e turchi non sono gli unici preoccupati per l’avanzata dell’Isis, per nulla rallentata dai raid della coalizione arabo-occidentale che martella le sue postazioni in Iraq e in Siria, anche vicino a Kobani. Forse il più preoccupato è il premier turco Recep Tayyip Erdogan. L’intervento di Ankara in territorio siriano è sempre più vicino. Sul confine sono già posizionati 15 carri armati, e secondo il quotidiano «Zaman» almeno «10 mila uomini». Oggi il parlamento voterà la richiesta del governo di un via libera alle operazione, che prevede «tutte le opzioni disponibili», compresa l’invasione di terra per creare una zona cuscinetto profonda 30 km.
La caduta di Kobani (Ain al Arab, in arabo) porterebbe a diretto contatto gli islamisti con le truppe turche. I guerriglieri curdi non reggono più. Negli ospedali di Suruc è un continuo affluire di feriti. Due ambulanze stazionano al posto di confine, per soccorrerli subito, mentre dalle colline attorno a Kobani si intensifica il rimbombo dell’artiglieria dell’Isis che martella le postazioni curde dentro la città.
Solo la scorsa settimana lo Stato islamico del Califfo Abu Bakr al Baghdadi ha preso 60 villaggi nei dintorni di Kobani, una zona densamente popolata. Oltre 200 mila persone sono fuggite, le loro case e loro fattorie saccheggiate. «Stanno arrivando centinaia di combattenti dalla Turchia per sostenerci - racconta un guerrigliero ferito, appena portato alla frontiera -. Ma ci stiamo indebolendo. Non abbiamo armi adeguate contro il Daish. Loro hanno cannoni più potenti».
Nelle cittadine turche lungo il confine, la battaglia in corso dall’altra parte si vede chiaramente. «I combattimenti diventano più duri dopo il tramonto», raccontano gli abitanti: «Il rumore dei proiettili e delle bombe è così forte che non possiamo dormire. L’altra notte sono andati avanti fino alle due. I miei bambini sono terrorizzati», spiega una papà, Ali Taulin.
Nei giorni scorsi l’Isis è avanzato in maniera impressionante. «Non c’è nessun aiuto internazionale, né da parte del governo turco. Siamo soli in questa battaglia», denuncia Ashraf Mehmoud, un combattente del Ypg, la più importante formazione politica e militare curda in Siria. Mehmoud ha combattuto senza sosta per una settimana, poi ha passato il confine per portare in salvo la madre e la sorella in Turchia.
Mehmoud non ha ancora visto effetti sull’Isis da parte dei raid internazionali. Il Centcom americano ha comunicato ieri che numerose missioni sono state condotte proprio sul confine turco-siriano, per indebolire l’artiglieria degli islamisti, anche se non ha specificato le località colpite.
I profughi di Kobani, appena arrivati dalla città sotto assedio, raccontano di non aver assistito a nessun raid. «Perché gli americani colpiscono il Daish a Raqqa, o in altre città dove si sono insediati e non qui, dove ci stanno massacrando?», si lamentano. «Al mondo non importa nulla di noi, dell’innocente popolo di Kobani, delle nostre case, delle nostre vite - insiste il combattente Mehmoud -: dovete capire che gli uomini del Daish oggi prendono le nostre case, domani prenderanno le case di qualcun altro. Non si fermeranno mai se non li combattiamo tutti insieme».
Ma non è sicuro che una raffica di raid siano sufficienti a fermare gli islamisti. Che ieri hanno mostrato per la terza volta in un video l’ostaggio britannico John Cantlie, sempre vestito con la tuta arancione, proprio per fargli dire che i bombardamenti decisi da Obama sono «inutili per conquistare e controllare il territorio». Come dire, l’Occidente non ci fa paura. Mentre per terrorizzare la popolazione curda l’Isis ha decapito tre combattenti donne, prigioniere, assieme a un loro compagno.
Ma la battaglia di Kobani, comunque vada a finire, ha già innescato un’ulteriore crisi umanitaria. Con le ultime ondate verso la Turchia il numero di profughi fuggiti dalla guerra civile in Siria ha raggiunto i tre milioni, come ha comunicato Selin Unar dell’agenzia Onu Unhrc. Molti hanno trovato solo ricoveri di fortuna, come Shamsha Mehmoud, una donna di 84 anni, che vive ora in una moschea di Suruc. «È un’umiliazione. Abbiamo diritto a un campo attrezzato. Non voglio vedere i miei nipoti crescere così».

LA REPUBBLICA - Enrico Franceschini: "Ancora orrore in Iraq: decapitate tre curde, l'Isis è vicino a Baghdad"


Enrico Franceschini

Cadono altre vittime sotto la scure dello Stato Islamico: stavolta quattro prigionieri curdi, fra cui tre donne. La prima volta che gli estremisti del Califfato decapitano ostaggi di sesso femminile e non limitano a sgozzarle: poi hanno esposto le loro teste in pubblico, a Jarablus, dove le avevano catturate insieme al loro compagno, come per far sapere che non avranno pietà degli avversari, uomini o donne che siano, da dovunque provengano. Un ulteriore monito all’America e ai suoi alleati arriva per bocca di John Cantlie, uno degli ostaggi occidentali in mano all’Is, di cui è stato diffuso un nuovo video messaggio: «Con i bombardamenti non vincerete», dice il giornalista inglese rapito due anni fa in Siria, «le bombe non vi faranno guadagnare terreno». Un avvertimento che sembra trovare conferma sul campo militare, se è vero che l’esercito islamico, secondo fonti dell’intelligence citate dal quotidiano Independent di Londra, sarebbe a meno di 10 chilometri dalla periferia di Bagdad, un’ora dal centro della capitale. Mentre l’esercito iracheno continua dunque a perdere terreno, il presidente Obama rischia di perdere la faccia: accusato dai suoi stessi servizi segreti di essere stato informato già a fine 2013 sulla crescente minaccia rappresentata dall’Is, ma di essere rimasto indifferente perché aveva «altre priorità», rivela il New York Times. Nei giorni scorsi il presidente americano aveva accusato i servizi segreti di avere sottovalutato il pericolo dell’Is e dunque di non averlo informato per tempo. Ora viene clamorosamente contraddetto: «Qualcuno tra noi ha cercato di insistere, ma la Casa Bianca non ci ha prestato attenzione», racconta una fonte della Cia al quotidiano newyorchese.
«Con i raid non guadagnerete terreno e il conflitto non renderà l’Occidente più sicuro», afferma Cantlie nel terzo messaggio messo sul web, una sorta di serial dell’orrore, in cui il prigioniero inglese, sempre vestito d’arancione come i detenuti islamici di Guantanamo, diffonde il suo punto di vista sulla guerra o piuttosto, verosimilmente, il punto di vista dei rapitori da cui dipende la sua vita.
«I bombardamenti dal cielo distruggono bersagli specifici ma non servono a molto in termini di conquista e mantenimento di una presenza sul terreno, che richiedono invece truppe», osserva l’ostaggio, citando come nel video precedente lo spettro del Vietnam e notando che «quei pasticcioni dell’esercito iracheno» non sono in grado di resistere all’Is. Le armi fornite all’Iraq dagli occidentali, conclude, finiscono rapidamente in mano alle forze islamiche.
Propaganda? Sicuramente, ma con qualche conferma sul terreno, se è vero che l’Is si avvicina a Bagdad e ha conquistato la roccaforte di Albu Aytha, a nord di Ramadi, quasi senza sparare un colpo: un battaglione di soldati iracheni, apparentemente a corto di rifornimenti e di cibo, è scappato non appena ha visto arrivare l’esercito islamico. I raid aerei continuano, secondo una ong siriana quelli americani avrebbero fatto 233 morti (tra cui 22 civili) in una settimana e ieri anche i Tornado della Raf hanno sganciato i primi missili sull’Iraq, ma soltanto i peshmerga curdi, appoggiati da armi pesanti irachene, sono riusciti a riconquistare tre villaggi in una vasta offensiva.
Intanto Barbara Henning, moglie di David, un altro ostaggio inglese, implora l’Is in un appello televisivo a liberare il marito: «Era in Siria per aiutare i musulmani, se volete essere considerati uno Stato agite con la clemenza di uno stato e lasciatelo andare». Il timore di tutti è che sarà presto decapitato, come due americani, un inglese e ora anche le tre donne curde.
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