domenica 19 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
08.05.2013 Siria: Assad continua indisturbato i massacri con l'appoggio dell'Iran
cronaca di Maurizio Caprara, commento di Tatiana Bouturline, Editoriale del Foglio

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Maurizio Caprara - Tatiana Boutourline - Editoriale
Titolo: «Kerry: 'Sulla Siria vertice internazionale' - Sulla Siria, Teheran fa il verso a Obama con il 'piano Suleimani' - Non aspettiamo una nuova Srebrenica»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/05/2013, a pag. 20, l'articolo di Maurizio Caprara dal titolo " Kerry: «Sulla Siria vertice internazionale» ". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo di Tatiana Boutourline dal titolo " Sulla Siria, Teheran fa il verso a Obama con il “piano Suleimani” ", a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Non aspettiamo una nuova Srebrenica ".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Maurizio Caprara : " Kerry: «Sulla Siria vertice internazionale» "


Maurizio Caprara               John Kerry


Domenico Quirico

ROMA — Dopo circa due anni, due mesi e un numero di morti stimato tra 70 e 80 mila da quando Bashar Assad cominciò a far sparare su proteste pacifiche contro il suo regime, gli Stati Uniti hanno ottenuto dalla Russia un impegno a preparare entro fine maggio una conferenza internazionale sulla pace da ripristinare in Siria. È presto per dire se ciò significherà il cambio di stagione in meglio tra Casa Bianca e Cremlino che non riuscì fino in fondo durante il primo mandato da presidente di Barack Obama, tuttavia non era scontata la disponibilità a non rendere perenni le distanze su Damasco che il segretario di Stato americano John Kerry è parso ieri aver ottenuto a Mosca prima di mettersi in viaggio oggi per Roma.
«Abbiamo concordato che Russia e Usa incoraggeranno entrambi, il governo siriano e i gruppi dell'opposizione, a trovare una soluzione politica», ha spiegato ai giornalisti il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov parlando della conferenza in cantiere. Con l'arrivo a Roma di Kerry, ricevuto ieri anche da Vladimir Putin, la guerra civile in Siria acquisterà un ruolo meno marginale del solito anche nell'agenda del governo italiano. Domani sarà uno degli argomenti principali che il presidente del Consiglio Enrico Letta e il ministro degli Esteri Emma Bonino affronteranno con il rappresentante dell'amministrazione Obama.
Convincere la Russia a superare le resistenze verso misure internazionali contro la dittatura di Damasco, utile al Cremlino dall'epoca dell'appoggio sovietico al padre di Bashar, Hafez Assad, era ed è una priorità di Washington. Per gli Usa che si pongono il problema di come ridurre il potenziale bellico di Bashar, tuttavia, gli alleati europei mantengono un peso. L'Italia deve mettere a punto la posizione da tenere sull'embargo per la fornitura di armi alla Siria in una riunione del Consiglio Affari esteri dell'Unione Europea prevista a fine mese. Le decisioni adottate finora dalla Ue contro Assad limitano la possibilità di armare i ribelli oltre che il presidente. La Gran Bretagna e la Francia hanno insistito per togliere l'embargo e dare mezzi agli insorti. La Germania ha frenato. L'Italia si è tenuta su una linea intermedia affermando anche che occorre evitare la tragedia umanitaria in corso. Ritoccare l'orientamento può influire sulle scelte europee. Ieri Kerry ha sostenuto che se la conferenza di pace prenderà corpo il suo Paese può evitare di armare gli insorti. Un gesto di riguardo verso Mosca. Occorre vedere se le prossime settimane lo confermeranno.
«Non ritengo esistano soluzioni militari possibili in Siria, almeno nell'immediato», aveva dichiarato ieri mattina Emma Bonino a Londra. «Ma spingere per una soluzione politica significa anche fare in modo che le forze sul terreno siano in qualche modo più equilibrate», aveva aggiunto augurandosi «una posizione omogenea non soltanto del governo italiano, ma anche dell'Europa».
A oltre una settimana dal 29 aprile, giorno nel quale La Stampa ha reso pubblico di non aver notizie da venti giorni sul proprio inviato in Siria Domenico Quirico, il ministro degli Esteri italiano ha pronunciato poi una constatazione non rassicurante. «Che non sia successo niente, che non ci siano state reazioni, nessun segnale dopo che la questione è stata resa pubblica, non è un segnale positivo», ha detto Emma Bonino.

Il FOGLIO - Tatiana Boutourline : "Sulla Siria, Teheran fa il verso a Obama con il “piano Suleimani” "


Tatiana Boutourline   Mahmoud Ahmadinejad

Milano. Teheran fa il verso a Washington e ribadisce che l’uso di armi chimiche è la sua linea rossa e suggerisce di indagare sugli insorti, chiama i “fratelli arabi” a reagire agli strike israeliani e l’Onu a condannare il governo di Gerusalemme. Così mentre ogni giorno si allunga la conta dei morti siriani e sale la temperatura della guerra fredda con Israele – ieri quattro peacekeeper dell’Onu sono stati “rapiti” o “detenuti” sul Golan dai ribelli siriani – a Teheran si ragiona a freddo. In visita in Giordania a pochi giorni dal viaggio di re Abdullah II a Washington, e di quello del ministro degli Esteri giordano a Roma dove incontrerà il segretario di stato americano John Kerry, il capo della diplomazia iraniana Ali Akbar Salehi ha invitato il regime di Damasco a dialogare con l’opposizione allo scopo di formare un governo di transizione. Ad Amman l’inviato iraniano ha lanciato l’esca: l’Iran potrebbe fare molto per uscire dallo stallo internazionale sulla Siria se fosse riconosciuto il suo ruolo regionale. Egitto e Turchia hanno acconsentito a discutere del futuro di Damasco con Teheran, ma l’Arabia Saudita ha rifiutato di partecipare agli incontri del cosiddetto quartetto a causa della presenza iraniana. Un’ostilità strategica condivisa dai partner del Golfo e dagli Stati Uniti, consci che se Teheran gioca la carta diplomatica da una parte, dall’altra non ha certo abbandonato la sua pericolosa partita sul “fronte della resistenza”. Dopo gli strike israeliani il generale Reza Pourdastan, capo delle Forze armate, ha ribadito la posizione ufficiale iraniana: Teheran aiuterà Damasco ad addestrare l’esercito siriano se Damasco lo chiederà, ma l’Iran “non avrà alcun coinvolgimento attivo nelle operazioni”. Il generale insomma ha minimizzato. Ma l’altra faccia della medaglia, quella cara all’ayatollah Ali Khamenei, è stata illustrata con chiarezza a febbraio. L’hojatoleslam Mehdi Taeb, direttore di un think tank, “La base strategica di Ammar”, vicino alla Guida suprema, ha detto in un incontro con un gruppo di bassiji: “La Siria è la 35esima provincia iraniana”, una provincia dal valore strategico incommensurabile. “Se perdiamo la Siria – ha aggiunto – non potremo tenerci Teheran”. Per difendere la 35esima provincia iraniana, stando a un report di Shimon Shapira del Jerusalem Center for Public Affairs, Teheran s’è affidato ancora una volta a Ghassem Suleimani. A metà aprile durante una visita del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah a Teheran, il misterioso deus ex machina di al Quds avrebbe condiviso con l’alleato il suo piano operativo per la Siria. La strategia prevede la formazione di una forza di 150 mila uomini da integrare nell’esercito siriano, la maggioranza dei combattenti proviene da Iran e Iraq e dai ranghi della milizia libanese, dai paesi del Golfo e dal Pakistan. Significativo è un dispaccio del 6 maggio dell’AP che documenta il ritorno a Bassora della salma di Diaa Mutashar al Issawi, un combattente iracheno, uno dei tanti che da mesi scivolano in Siria per combattere contro i sunniti. Consegnato sul confine con l’Iran a Shalamcha, in un feretro simile a quelli con cui venivano rimpatriati i morti della guerra Iran-Iraq da uomini mascherati che inveivano con i fotografi per non essere ripresi, il corpo di al Issawi è stato portato in parata per le strade di Bassora mentre il corteo funebre piangeva il suo “martirio felice” in difesa dei sepolcri sciiti offesi dai terroristi siriani (le stesse parole che ricorrono sulle labbra dei dirigenti iraniani e di Nasrallah). Secondo Aram Nerguizian, analista del Center for Strategic and International Studies di Washington, gli sciiti iracheni e libanesi costituiscono una retroguardia importante per Assad, e il coordinamento da parte di Teheran è sempre più consistente.

Il FOGLIO - Editoriale : " Non aspettiamo una nuova Srebrenica "

Quando si parla di Siria, la parola massacro è spesso tra virgolette, la parola genocidio è quasi impronunciata, comunque impronunciabile: a domanda diretta, lo scorso giorno, il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha glissato, tergiversato, in Siria è tutto “brutale e atroce”, ma i termini da utilizzare per definire più di 70 mila morti sono affare delle Nazioni Unite, “li lascio a loro”. Barack Obama è già alle prese con altri termini, in effetti, con quella maledetta “linea rossa” fissata quasi per sbaglio e ora lì, testimone di una non strategia, di una non visione, di una misera indifferenza. Ma ben prima della “red line” c’è lo sterminio del popolo siriano a opera del suo dittatore, Bashar el Assad. L’Onu sta già chiacchierando in modo scomposto sulle armi chimiche – ci sono? chi le ha usate? – ma pare non intervenire con la stessa prontezza sulle violazioni di diritti umani. Però le stragi ci sono, a ripetizione, tutti i giorni, a tutte le ore, e anzi, secondo le ricostruzioni sul campo, gli attacchi dal cielo vengono utilizzati per coprire gli attacchi con le armi chimiche – atrocità doppia. Gli ultimi resoconti riguardano al Bayda e Baniyas, cittadine sul mar Mediterraneo tra Latakia (feudo degli alawiti) e Tartous (porto gestito dai russi), dove gli uomini del regime hanno fatto una strage. Famiglie radunate, messe in fila, senza scarpe, con le magliette sulla testa. Fucilazioni e pire con i cadaveri. Ancora più drammatici sono i dettagli: ci sono corpi accatastati nell’angolo di una via, si vede un corpicino con una camicetta rossa, una bambina che avrà cinque anni, buttata lì sopra ai suoi famigliari uccisi come lei. Poco più in là c’è una gamba di un bambino, il resto del corpo non si vede. L’alibi più ripetuto in Siria è che la situazione sul campo è così confusa che non si sa più chi fa cosa, chi usa il gas sarin, chi attacca, chi è peggio, insomma, tra Assad e i qaidisti che hanno sfigurato la ribellione siriana al regime. Ma l’alibi non regge di fronte a queste immagini – non reggeva nemmeno prima, ma con il tempo la credibilità dell’occidente non migliora – perché ci si può abituare ai distinguo dei tanti esperti che invitano alla cautela, ma non – non più, almeno – alle notizie sui massacri e sulle stragi, che sono ormai migliaia, in tutta la Siria. Il paragone con Srebrenica non è azzardato: allora ci fu un eccidio con ottomila morti e servì a risvegliare le coscienze occidentali fino a quel punto molto indignate ma molto fredde nei confronti delle pulizie etniche in Bosnia. Non c’è bisogno di aspettare uno squarcio così, non c’è bisogno di fare quel che dice il ministro della Difesa britannico, senza quasi accorgersi della brutalità delle sue parole, quando sostiene che sarà necessario attendere un altro attacco chimico per avere prove concrete. La realtà siriana, nella sua sostanza, è chiara da tempo: Assad sta sterminando il suo popolo.

Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera e Foglio, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@corriere.it
lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT