domenica 19 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.05.2013 Siria: qual è la linea rossa che Assad non doveva superare ?
Commenti di Daniele Raineri, Massimo Gaggi

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Daniele Raineri - Massimo Gaggi
Titolo: «Il 'lato libanese' della Siria è la zona di guerra tra Hezbollah e ribelli - E la linea rossa si sposta più avanti»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 01/05/2013, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Il “lato libanese” della Siria è la zona di guerra tra Hezbollah e ribelli". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Massimo Gaggi dal titolo " E la linea rossa si sposta più avanti ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Daniele Raineri : "  Il “lato libanese” della Siria è la zona di guerra tra Hezbollah e ribelli"


Daniele Raineri, Hassan Nasrallah con Bashar al Assad e Mahmoud Ahmadinejad

Roma. L’inviato della Stampa, Domenico Quirico, è entrato in Siria dal confine libanese proprio mentre in quell’area si apriva un nuovo fronte di guerra tra i ribelli e il movimento sciita libanese Hezbollah, alleato storico del presidente Bashar el Assad. Da venti giorni non arrivano notizie del coraggioso giornalista e per questo motivo oggi c’è un fiocco giallo sulla testata del Foglio – in solidarietà con la redazione della Stampa. Quirico, che viaggiava assieme a Pierre Piccinin (un belga già sequestrato l’anno scorso dal regime ad Aleppo e poi rilasciato dopo una settimana) è finito nel mezzo dell’offensiva che Damasco ha affidato alla milizia libanese e ad altri gruppi irregolari locali per riprendere il controllo della zona attorno alla città di Qusair, 35 chilometri a sud di Homs. L’identità dei sequestratori non è conosciuta. A dicembre un giornalista americano, Richard Engel, è stato sequestrato da un gruppo pro governo intenzionato a consegnarlo a Hezbollah “in una base in Siria”. Al contrario, i problemi dei giornalisti con la parte dei ribelli sono di solito risolti in tempi rapidi: gli italiani fermati di recente dagli islamisti sono stati trattenuti per una settimana. Da Damasco a Homs e poi su a Hama e infine a Latakia: la dorsale occidentale a ridosso del confine con il Libano dove si sta scatenando l’offensiva del gruppo libanese è una zona strategica perché connette la capitale con le zone costiere più a nord dove la maggioranza della popolazione è alawita e quindi appartiene alla stessa confessione religiosa dell’élite di governo e della famiglia Assad. La concentrazione di ribelli che vanno e vengono dal Libano e combattono nelle campagne attorno alla città di Qusair minaccia di rompere la continuità di questa linea vitale per il governo. Due giorni fa il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, era a Teheran per la seconda volta in quindici giorni per incontrare i vertici politici e militari iraniani – di solito si sposta pochissimo e non vuole esporsi al rischio di attacchi israeliani, se lo fa è perché c’è un senso di urgenza nelle manovre difensive di Assad, comunicato anche dalla maggiore frequenza con cui arrivano le notizie di attacchi chimici, l’ultimo due giorni fa dalla piccola città di Saraqib vicino al confine turco. Il gruppo libanese messo dall’America sulla lista dei terroristi schiera in Siria almeno due brigate dei suoi uomini più selezionati (ciascuna conta 1.000 uomini, quest’ultimo è un dato su cui non c’è certezza), equipaggiati con fuoristrada e visori notturni, ma la guerra civile è un tritacarne che non risparmia nessuno. Ogni giorno nella Beqaa, la valle del Libano che corre lungo il confine, ci sono i funerali di cinque-sei combattenti hezbollah. Ieri Jabhat al Nusra, il gruppo ribelle estremista (anch’esso sulla lista americana dei terroristi), ha seguito Wissam Nahleh, un comandante di Hezbollah detto “Daniel”, e l’ha ucciso piazzando una bomba sotto la sua macchina parcheggiata a Qusair. Il giorno prima era stato ucciso in un’imboscata anche Abu Ajib, il comandante di un gruppo scelto di Hezbollah chiamato al Quds. Sono circa 140 i combattenti hezbollah morti finora, tra quelli presi dalla linea di confine con Israele e spostati a fare la guerra contro i ribelli siriani per proteggere il governo Assad. Ieri i libanesi a Qusair hanno chiesto ai ribelli siriani una tregua per recuperare i corpi, ma non è stata accordata. La decisione di Nasrallah di obbedire all’Iran e di gettare Hezbollah nella mischia siriana sta scatenando dissenso dentro il movimento, che subisce perdite pesanti, s’indebolisce e devia dalla sua ragione costitutiva che è la “muqawama”, la resistenza contro Israele. Il giornale kuwaitiano al Rai al Aam scrive che il 15 aprile Nasrallah ha stretto un patto con Teheran per occuparsi della sicurezza dei luoghi santi sciiti e dei villaggi di espatriati libanesi in Siria. Più in generale, l’accordo con gli iraniani, sempre più i controllori del destino di Damasco, prevede che Siria, Iran e Hezbollah passino all’offensiva contro i ribelli.

Basterebbe un capello

Ieri il presidente americano, Barack Obama, ha detto che ancora non è possibile sapere chi ha usato le armi chimiche in Siria, né come e quando. Se l’uso fosse accertato, ha detto, sarebbe necessaria una “nuova valutazione delle scenario”. Parole mosce, che rivelano la debolezza dell’intelligence americana in Siria: eppure ieri le vittime dell’attacco chimico di Saraqib sono state portate oltreconfine ad Antakya, in Turchia, e secondo un analista sentito da Reuters basta analizzare un capello per avere una conferma o una smentita.

CORRIERE della SERA - Massimo Gaggi : " E la linea rossa si sposta più avanti"


Massimo Gaggi

Barack Obama dice alla stampa quello che gli analisti avevano già intuito: gli Stati Uniti non hanno intenzione di farsi trascinare direttamente in un altro conflitto e per ora temporeggiano anche davanti alle prove di impiego di armi chimiche (gas sarin) contro i ribelli. Prove ancora parziali, certo, la responsabilità diretta di Damasco non è ancora provata al cento per cento, ma il problema non è solo questo. Scartato un intervento con le truppe sul terreno, restano le opzioni della «no fly zone» e quella di armare i ribelli. Ma anche a questo livello le difficoltà non sono poche: le difese antiaeree siriane sono temibili. Israele ha effettuato un attacco contro un obiettivo in Siria alcuni mesi fa, è vero, ma dalle analisi condotte in seguito risulta che l'aereo che ha lanciato l'ordigno l'ha fatto dal cielo del Libano, senza mai entrare in territorio siriano. Distruggere i missili fissi di Damasco è possibile, ma le batterie antiaeree mobili sono difficilissime da individuare. E questo sistema difensivo, creato grazie all'aiuto di Mosca, pare tuttora gestito col contributo «in loco» di molti tecnici russi che potrebbero essere uccisi negli attacchi. Un incidente diplomatico che Obama vuole evitare, soprattutto ora che ha bisogno di Mosca nelle indagini sui terroristi ceceni che si è trovato in casa. Armare i ribelli? Anche qui bisogna ragionare con cautela, pensano alla Casa Bianca, ancora scottati come sono dalla scoperta che le armi usate dai terroristi islamici negli attacchi in Mali erano le stesse inviate ai ribelli libici per sostenere la rivolta anti Gheddafi. E, come dimostrato da diverse inchieste sulla Siria pubblicate dalla stampa internazionale, tra i gruppi ribelli che combattono contro Assad ormai prevalgono i gruppi jihadisti vicini a ciò che resta di Al Qaeda. Mentre le organizzazioni che condividono i valori di libertà dell'Occidente hanno un peso, anche militare, ridottissimo. Per gli Usa, come per il resto della comunità internazionale, quello della Siria è stato fin dall'inizio un rebus pressoché insolubile. Obama ha un sentiero strettissimo davanti a sé, ma si è reso la vita più difficile quando ha lanciato l'avvertimento ad Assad: non superare la linea rossa, l'uso di armi chimiche «innescherebbe conseguenze enormi». Se Washington ora non reagisce con forza, rischia di mandare un segnale sbagliato, rinunciatario, all'Iran e alla Corea del Nord, anche loro messe sotto pressione da Washington per i loro programmi nucleari.

Per inviare la propria opinione a Foglio e Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@ilfoglio.it
lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT