domenica 19 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Stampa-Libero Rassegna Stampa
10.02.2013 Tunisia: Il potere con il pugno di ferro
Commenti di Domenico Quirico, Carlo Panella

Testata:La Stampa-Libero
Autore: Domenico Quirico-Carlo Panella
Titolo: «Tunisi,islamici in piazza, la rivoluzione siamo noi-Snobbato il corteo islamista,la Tunisia ha aperto gli occhi»

Sulla situazione tunisina pubblichiamo oggi 10/02/2013, due articoli, quello di Domenico Quirico, sulla STAMPA, a pag.14, che racconta senza illusioni la tragica realtà di una paese sempre più prigioniero dei Fratelli Musulman. Segue quello di Carlo Panella, su LIBERO, possibilista, in quando vede (immagina ?) una frattura nel potere islamista di Ennahada.

La Stampa-Domenico Quirico: " Tunisi,islamici in piazza, la rivoluzione siamo noi"

Domenico Quirico                     islamici in piazza

Eccole che arrivano, le barbe, la folla di chi non crede in Dio se non trema. Per tre giorni, dopo il Delitto, non le abbiamo viste, si sono fatte discrete, hanno assorbito rabbia e frustrazione, hanno raccolto tutta la fredda, concentrata animosità degli insulti accuse maledizioni, l’etichetta di assassini di Chokri Belaid, di fascisti islamici, di ladri di potere. Hanno visto bruciare le loro sedi in mezza Tunisia. Adesso contrattaccano, rispondono, si riprendono la strada, happening liberatorio a dimostrare di esser sempre la maggioranza. Hanno trovato il Nemico, finalmente: la Francia, il vecchio diabolico colonizzatore e i suoi lacchè locali, i traditori, la quinta colonna. È «il complotto», «la congiura». Lo scenario di tutti coloro che sentono il potere farsi fragile, che devono indirizzare la rabbia verso qualcuno e giustificare gli inciampi dei progetti, delle promesse vistose, dell’avvenire luminoso. Chi meglio del vecchio padrone, per di più, per vent’anni, complice del dittatore cacciato dall’ormai anemica Rivoluzione dei gelsomini? E dei senza dio, dei «gauchistes» indigeni, dei sionisti, della penna indocile e blasfema dei giornalisti tunisini, come scandivano gli slogan di ieri? Ecco il Mal arabo che torna.

Ieri non ci sono stati incidenti a Tunisi; la manifestazione era pianificata con cura, la polizia affettuosamente consenziente, i dimostranti stavolta venivano ad applaudirli, a portare solidarietà al ministro dell’Interno (di Ennahda): «Siamo al tuo fianco, non mollare». Ma è stata una giornata molto pericolosa, si è stuzzicata una brace sempre accesa. l’uragano scatenato dall’assassinio di Belaid ha trasferito ormai il confronto nelle piazze, dove ci si conta e ci si maledice. E perché sono stati indicati dei nemici, interni e esterni, da sradicare distruggere cancellare. Qualcuno, prima o poi, provvederà. Circolano elenchi di gente da abbattere: come Chokri. La tomba dell’assassinato è presidiata dai soldati: sono corse minacce di andare a sradicarlo dalla terra benedetta del cimitero, quel senzadio.

Ieri mattina alla Medina giovanotti appostati ad ogni angolo distribuivano biglietti: «Appuntamento in avenue Bourguiba, ore 14,30, per una manifestazione contro la violenza e per sostenere l’assembla costituente». Alla sede del partito islamico Ennahda, Faycel Naceur, uno dei leader, faceva il modesto, il prudente: «Sarà una piccola manifestazione, non abbiamo avuto molto tempo per prepararla… Ma dobbiamo gridare forte che siamo per la solidarietà nazionale e contro questo complotto controrivoluzionario...».

I primi gruppi sono sciamati dalla Porte de France, facendo scivolar via il passeggio delle belle. Sono i torvi per abitudine, questi primissimi, i minacciosi di professione. Sotto gli scrosci d’acqua e le nubi nere Tunisi appariva fosca e insieme affettuosa. Sulla via pulmini arrivati dai quartieri popolari scaricavano gruppi di barbuti. Sotto gli obbiettivi e i microfoni solerti delle reti televisive islamiche. A rivoli,a squadroni, a mazzi, con le bandiere verdi e quelle nere dei gruppi radicali e salafiti, gli squadroni d’assalto della rivoluzione verde, appena spruzzate dal rosso della bandiera tunisina hanno fatto macchia sempre più grande nella lunga via che conduce al ministero dell’Interno. Niente «casseur», niente ragazzini pronti al saccheggio e alla rapinai: tutto è stato pianificato organizzato, c’è il servizio d’ordine, ci sono i cartelli già stampati, ci sono i cori ben scanditi da tenori dai polmoni di bronzo. Nessun incidente, è importante dimostrare che Ennahda è pur sempre la maggioranza, che non sta disintegrandosi sotto l’urto degli oppositori, della disillusione di coloro che l’hanno votata maggioranza e ne scoprono la simonia politica.

I realisti che vogliono gestire soprattutto il potere, con in prima fila il premier Jelabi, aspirante a fumosi e pericolosi rimpasti «tecnici» e a intimi propositi di doppio gioco, e gli ultras islamisti, fedeli al labbro arricciato in un sorrisetto sornione del raiss intoccabile, Gannouchi. «Il popolo vuole la sharia», «il popolo vuole Ennadha», «un solo paese una sola nazione un solo islam»: e soprattutto «Francia vattene» e il gesto, celebre, che accompagnò la fuga di Ben Ali. L’ambasciata di Parigi è lì, circondata da poliziotti soldati filo spinato: i cori la tempestano con fragore di uragano. Gli insulti li divide con il partito di Caid Essebsi , il primo ministro della transizione, che ha raccolto gli orfani del partito di Ben Ali, messo fuori legge. Gli islamisti lo accusano di essere il mandante del delitto di Belaid, mostruosa provocazione per macchiare di sangue Ennahda.

È un coro di migliaia di voci e uno scalpitio che pare prendere a testimone la terra: cantano l’inno nazionale, come i quarantamila al funerale di Belaid, lotta di simboli di appartenenze. Ho visto spesso la frenesia di una manifestazione, ma in quelle islamiche c’è sempre il passaggio da una esaltazione politica all’ebbrezza un po’ sovrannaturale. C’è un furore di ritmo che sembra chiamare a testimone il cielo e la terra.

In piazza rugge quello che poche ore prima ci avevano detto i leader di Ennahda: «La Francia non vuole l’islam al potere, il governo Hollande fa pressioni per tenere gli uomini d’affari lontano dal nostro paese, non collabora, ci accusa di aver rubato la vittoria elettorale. La stampa e la televisione spargono bugie e allarmismi, tengono lontani i turisti che sono la nostra ricchezza. Per la gauche tunisina, invece, è un problema ideologico non politico: vuole chiuderci nella moschea, rifiuta il nostro diritto a partecipare alla vita politica. dice che siamo terroristi, che vogliano la poligamia, il velo, tutte bugie, solo propaganda».

Libero-Carlo Panella:" Snobbato il corteo islamista,la Tunisia ha aperto gli occhi "

 Carlo Panella                                sostenitori del regime islamico

Debole, debolissima risposta, dei Fratelli Musulmani alla immensa manifestazione di un milione di persone che venerdì ha accompagnato i funerali di Belaïd Chokri in una Tunisi completamente paralizzata dallo sciopero generale. Solo tremila militanti di Ennhada, il partito islamista, hanno manifestato con slogan contro la Francia («No all’ingerenza francese! », «Francia, basta!») dopo che il ministro degli Interni di Parigi Manuel Valls aveva denunciato «il fascismo islamista » in cui è maturato l’assassinio di Chokri. I dirigenti di Ennhada hanno dunque tentato di usare la facile presa della demagogia anticoloniale per uscire dalla crisi di credibilità in cui è precipitato il partito. Ma la scarsissima partecipazione ad un corteo che ha mobilitato solo i militanti ha prodotto un effetto boomerang, evidenziando un dato di fatto più che scabroso per Ennhada: al di là delle responsabilità specifiche, larghissima parte dell’opinione pubblica tunisina è giustamente convinta che il delitto è stato favorito dalla piena tolleranza di Ennhada stessa nei confronti delle squadracce di islamisti della «Lega per la difesa della Rivoluzione » che da mesi fanno spedizioni punitive in tutto il paese. Complicità addirittura rivendicata dalla direzione di Ennhada che il 1 febbraio ha espresso il suo «pieno appoggio» ai salafiti accusati di avere linciato il 18 ottobre a Tataouine, Lofti Naghi, esponente di un partito laico d’opposizio - ne. Lo scandaloso appoggio esplicito al linciaggio è stato così motivato da Ali Fares deputato di Ennhada: «Chi è sceso in piazza a Tataouine voleva epurare il paese dei resti del regime abbattuto; ha realizzato uno degli obiettivi della rivoluzione: purgare il paese dei gerarchi di Ben Ali». Ma la scarsa partecipazione al corteo islamista di ieri ha anche un’altra motivazione: la manifestazione era in realtà rivolta contro Hamadi Jebali, che di Ennhada è il presidente (il leader spirituale è Rachid Gannouchi), che ha clamorosamente rotto con la direzione del partito e intende varare la settimana prossima un nuovo esecutivo composto solo da tecnici. L’assassinio di Belaïd Chokri è infatti di facile lettura: questo leader laico di sinistra, popolarissimo (e peraltro avvocato difensore di molti islamisti durante il regime di Ben Ali) per mesi è stato – e con grande seguito televisivo - il più duro accusatore della complicità dei ministri degli Interni e della Giustizia di Ennhada, con gli squadristi della «Lega per la difesa della Rivoluzione» in un quadro che definiva di «fascismo islamista ». I due partiti laici che fanno parte della coalizione di governo con Ennhada (il Cpr e Ekkatakol), in perdita verticale di consensi perché giudicati dai loro stessi elettori complici passivi degli islamisti, hanno così irrigidito sempre più la richiesta di sostituire i due ministri islamisti preposti all’or - dine pubblico. Dopo l’assassinio di Belaïd Chokri, compresa la deriva in cui stava per precipitare la Tunisia, con un discorso televisivo alla nazione, Hamadi Jebali ha dunque deciso di dare piena ragione alle richieste dei partiti laici e ha annunciato appunto la formazione di un nuovo esecutivo di garanzia, con l’evidente missione di contrastare le azioni violente degli islamisti. Ma, con una mossa sconcertante, questa sua decisione è stata subito sconfessata dalla direzione di Ennhada, radicalmente contraria al «governo tecnico ». Jebali è entrato allora in piena rotta di collisione col suo stesso partito, ha dichiarato di non intendere accettare il diktat e che varerà comunque il nuovo esecutivo la prossima settimana. In parallelo a quanto avviene in Egitto e Libia, si aggrava dunque in Tunisia la spaccatura verticale e in termini più che violenti dei Fratelli Musulmani, ovunque nel mondo arabo egemoni nell’op - posizione ai regimi, ma del tutto incapaci, come ben si vede al Cairo e a Tripoli, di reggere con equilibrio i governi che sono stati loro letteralmente «regalati» da rivoluzioni in cui peraltro hanno svolto un ruolo che è senz’altro possibile definire marginale.

Per inviare a La Stampa, Libero la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@lastampa.it
lettere@liberoquotidiano.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT