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Libero - Il Foglio - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
07.02.2013 Tunisia: assassinato dagli islamisti il leader dell'opposizione laica
Impossibile credere ancora alla favola della 'primavera'. Commenti di Souad Sbai, Carlo Panella, Domenico Quirico, Renzo Guolo

Testata:Libero - Il Foglio - La Stampa - La Repubblica
Autore: Souad Sbai - Carlo Panella - Domenico Quirico - Renzo Guolo
Titolo: «Il regime tunisino fa fuori il leader anti islamico - Tunisia, rivolta dopo l’assassinio del leader dell’opposizione - L'ambiguità dell'islam»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 07/02/2013, a pag. 17, l'articolo di Souad Sbai dal titolo " Il regime tunisino fa fuori il leader anti islamico ". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Scontri e rivolte dopo il primo omicidio politico nella Tunisia islamista ". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo " Tunisia, rivolta dopo l’assassinio del leader dell’opposizione ". Da REPUBBLICA, a pag. 1-25, l'articolo di Renzo Guolo dal titolo "L'ambiguità dell'islam", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

LIBERO - Souad Sbai : " Il regime tunisino fa fuori il leader anti islamico "


Souad Sbai                   Gannouchi, leader islamista di Ennahda

Di nuovo barricate in Tunisia, di nuovo scontri nelle piazze, ma stavolta il bersaglio della protesta popolare è il governo aguida islamista. Dopo l’omicidio del leader dell’opposizione Chokri Belaid, ucciso in un agguato ieri mattina. Al Arabiyà racconta di scontri che, dalla capitale, si sono estesi a tutto il Paese con i manifestanti che alzano barricate nelle strade. Nella capitale, in viale Bourguiba, le forze di sicurezza hanno fatto ricorso ai lacrimogeni per rispondere al lancio di sassi e bottiglie. Attaccati anche i ministeri e le sedi del partito islamista Ennhada, al potere nel Paese. Nei giorni scorsi era stato ucciso un militante dell’opposizione e Chokri Belaid, il capo del Partito dei patrioti democratici ammazzato ieri, aveva criticato la dirigenza di Ennhada proprio perché si era opposta all’arresto di miliziani islamisti ritenuti responsabili della prima uccisione. Chi denuncia ad alta voce mentre al governo c’è una dittatura, sa bene quel che fa. E sa altrettanto bene che fine rischia di fare. Chokri Belaid ha lottato fino all’ultimo secondo per la sua Tunisia: laica e ungiorno, forse, anche libera.Ma denunciare che il regime sta sottoponendoil Paese e le sue libertà acquisite a una pressione insostenibile gli è costato assai caro. Due colpi di pistola, nell’aria del mattino, che ti fa respirare pensando che la giornata sarà finalmente migliore. Freddato in perfetto stile terroristico, da un uomo che, dalle cronache, viene descritto con unvestito tradizionale, coperto in volto da un alto cappuccio. Chi ha ucciso Belaid? Chi voleva la morte dello scomodo oppositore? Non posso e non voglio dire chi penso abbia manovrato per zittirlo definitivamente, ma voglio dire perché lo ha fatto. Perché la richiesta di libertà in Tunisia è stata tradita senza pietà. Perché a chi manifestava allora, nel nome di Bouazizi, è stato consegnato solo un pallido sguardo di quello che la Tunisia sarebbe dovuta diventare. Perché coloro che sono arrivati dopo Ben Alì, che meritava di essere cacciato, hanno mutuato in maniera fedele i metodi dittatoriali appresi da oppositori. Perché in Occidente Belaid non si sa nemmenochi sia equestoècome averlo abbandonato e lasciato morire per mille e mille volte ancora. La lezione algerina degli anni ‘90, peraltro, viene studiata e messa in campo con estrema lucidità. Un dejavù. Prima gli intellettuali, i dissidenti e gli oppositori; uccisi in forma singola e in punti diversi del Paese. Poi la repressione e la violenza di massa: le deportazioni, i massacri, gli sgozzamenti e le torture. Oggi, a Tunisi come al Cairo, rischiamo una seconda Algeria, nei fatti e nelle metodologie di eliminazione dell’avversario. Laddove i poteri forti del momento, islamisti e politica, remano dalla stessa parte e concorrono alla distruzione delle certezze. E soprattutto, all’avanzata della paura. Che è l’elemento cardine per la creazione di un ambiente fertile per l’arri - vo dei predicatori e degli sceicchi neri, con tutto il loro carico di wahabizzazione forzata. Voglio raccontare che l’Algeria ha spiegato a tutti come l’estremismo al governo, nonostante qualcuno ancora tenti di spacciarlo per «islamismo moderato», diventa sempre e comunque terrorismo istituzionalizzato. In un clima nel quale, parafrasando Tahar Djaout: «Se parli muori, se non parli muori. Allora parli e muori». L’eli - minazione politica prima e fisica poi dell’avversario non è argomento nuovo per chi sa come vanno le cose quando il potere ha paura e teme che al minimo sobbalzo le sue certezze possano crollare. Le piazze tunisine, proprio in queste ore, sono di nuovo colme di rabbia e di contestazione, ilche rispolvera con forza l’antica tradizionedaBourguiba in poi,doveai doveri si affiancavano però anche i diritti, racchiusi in uno statuto e in una costituzione innovativi, al limite dell’avveniristico per gli anni 50 nel mondo arabo. Sull’onda delle proteste, il premier e segretario generale di Ennahda, Hamadi al Jebali, ha promesso di formare un nuovo governo «tecnico» entro 24 ore. Ma intanto affonda anche la Borsa: l’indice azionario ha chiuso ieri a 4.573 punti, in calo del 3,69%, cancellando tutti i guadagni registrati dall’inizio dell’anno. Gli analisti sono preoccupati e hanno tutti i motivi per esserlo. La domanda da porsi è infatti: cosa succederà da adesso in avanti? Di una cosa, al di là del dolore per lamorte di un oppositore democratico, possiamo esser certi. Se non fossero arrivati gli islamisti al governo forse la coscienza collettiva non si sarebbe risvegliata e la richiesta di libertà non starebbe ora facendo il suo corso, dando luogo alla vera rivoluzione. Che porta con sé la vera repressione, cosa che durante la primavera araba in Tunisia è stata piuttosto sbiadita. Sullo sfondo l’Occidente e il suo ruolo; debole, connivente e cieco.

Il FOGLIO - Carlo Panella : "  Scontri e rivolte dopo il primo omicidio politico nella Tunisia islamista"


Carlo Panella

Roma. Chokri Belaïd, leader del Fronte popolare tunisino, l’opposizione parlamentare di sinistra al governo islamista di Ennahda, è stato assassinato ieri mattina a Tunisi. Una sua amica, Radhia Nasraoui, avvocato per i diritti umani, è corsa alla clinica Ennasr dove era stato portato Belaïd e ha raccontato al Foglio in lacrime la dinamica dell’omicidio: “Usciva da casa e stava entrando in automobile quando si è avvicinato un uomo coperto da un burnous, la tipica veste tunisina di panno con cappuccio a punta, e gli ha sparato a bruciapelo una pallottola al viso, una al collo, una al petto vicino al cuore. Sul posto c’erano un autista e – pensa – due donne che facevano jogging”. Forte e vasta in tutto il paese l’emozione per il primo assassinio politico dell’epoca post Ben Ali, che ha provocato ovunque manifestazioni di protesta, in cui è rimasto ucciso un poliziotto. A Tunisi, Avenue Bourguiba si è riempita di una folla crescente di manifestanti, mentre cortei intenzionati a prendere d’assalto le sedi del partito dei Fratelli musulmani Ennahda si sono mossi a Sfax, Sidi Bouzid, Gafsa, Hammamet, Bizerte e altrove. Rachid Ghannouchi, il leader di Ennahda, ha condannato gli assassini “che puntano a un bagno di sangue, ma che non riusciranno a provocarlo”, ma ha anche tentato – con goffaggine – di negare ogni responsabilità politica. Fin dalla notizia dell’omicidio, il fratello di Belaïd s’è scagliato contro Ennahda stessa, attribuendo l’omicidio a un “regolamento di conti politico”, quasi che fosse prodotto da tensioni interne all’opposizione. In realtà questo omicidio – di probabile, se non sicura, matrice salafita – cade in un momento non casuale e rende drammatica la crisi politica che da settimane paralizza il governo tunisino e che il premier islamico, Hamadi Jebali, non riesce a gestire. I due partiti laici della cosiddetta “troika” di governo, il Congresso per la Repubblica (il cui leader è Moncef Marzouki, presidente della Repubblica) e Ettakatol, membro dell’Internazionale socialista (il cui leader è Mustapha Ben Jaafar, presidente della Costituente), da settimane chiedono un deciso rimpasto di governo. Il rimpasto appare indispensabile a fronte della tolleranza che i ministeri preposti all’ordine pubblico retti da Ennahda garantiscono alle sempre più violente scorribande delle squadre di salafiti nelle scuole, nelle università, nei quartieri, nel centro stesso della laica Tunisi, nella provincia e che hanno avuto come terribile monumento visivo la distruzione di 40 mausolei sufi, compreso quello notissimo di Sidi Bou Said. La complicità è così scandalosa che per denunciarla, a ottobre, gli agenti della Guardia nazionale hanno indossato un nastro rosso al braccio. La richiesta del Cpr e di Ettakatol è ultimativa: Ennahda deve subito cedere loro quantomeno il ministero della Giustizia e quello degli Esteri. La richiesta è risultata tanto più drastica in quanto i due partiti laici (forti di un consenso elettorale attorno al 10 per cento) hanno ormai usurato il loro consenso, considerati come sono, e non a torto, dai loro stessi elettori totalmente subordinati all’egemonia di Ennahda. Secondo un sondaggio, Nidaa Tounes, il partito neo bourguibista liberale di opposizione, dell’ex premier ad interim Béji Caïd Essebsi, è quotato al 33,1 per cento dei voti, superando così persino il 33 per cento di Ennahda. La crisi di governo ha paralizzato l’esecutivo, perché Ennahda non esprime una posizione univoca e si è frazionata al suo interno, mentre i salafiti diventano sempre più forti. Lo stesso Belaïd aveva affermato che gli episodi di violenza erano diretta conseguenza delle crisi all’interno di Ennahda. Una minoranza del partito guarda infatti al Akp del premier turco Recep Tayyip Erdogan, si spinge sino ad accettare lo stato laico ed è disposta a dare al Cpr e a Ettakatol quanto richiesto. Sul fronte opposto è controbilanciata da una più forte minoranza di filosalafiti, che premono per una Costituzione shariatica, vogliono abolire il Codice di statuto personale (che sancisce la parità effettiva della donna) e non intendono per nulla contrastare le scorribande dei salafiti. Al centro, il corpo maggioritario del partito islamista fa capo al leader storico Rashid Ghannouchi, un realpolitiker, che non vorrebbe allontanare i turisti europei (fonte indispensabile di entrate) e gli investimenti stranieri, ma che si mostra ora incapace di esercitare leadership sul suo stesso partito. Il quadro non è dissimile a quello dei Fratelli musulmani dell’Egitto di Mohammed Morsi, che ha appena falciato nelle piazze sessanta manifestanti e che a causa della sua incapacità di governo è ora persino minacciato dai suoi generali di un golpe. Il risultato dell’inadeguatezza politica di Ennahda è che il turismo precipita, gli investitori fuggono, il paese è sconvolto dalla crisi economica – soltanto ieri la Borsa ha perso il 3 per cento – e non è governato e ora, con l’omicidio di Chokri Belaïd, rischia inziare una nuova fase di violenza politica. Per evitarla, il premier ha annunciato lo scioglimento del governo in vista di un esecutivo tecnico di unità nazionale, ma la proposta appare tardiva e l’opposizione ha già indetto uno sciopero generale per oggi.

La STAMPA - Domenico Quirico : " Tunisia, rivolta dopo l’assassinio del leader dell’opposizione "


Domenico Quirico                   Chokri Belaid

La sua è stata la vita portentosa e rischiosa di un rivoluzionario. C’erano mille morti pronti per lui. Sobrio come un anacoreta, titanico difensore delle ragioni della libertà e della rivoluzione, un campo di gladiatori con i suoi sacrifici e il suo ritmo crudele, questo piccolo uomo dai grandi baffi si è ingigantito nella lotta: col suo nome sulle labbra i ragazzi della Primavera hanno attaccato gli sgherri di Ben Ali il falso modernista.
Con il suo nome sulle labbra hanno resistito alle bastonate degli sgherri del Nuovo Potere, dell’islamismo conservatore, ipocrita grasso e soddisfatto. Non ha mai abboccato, come molti, agli ami del sistema, liberista o islamico che fosse: la violenza, i favori, i piaceri pagati a rate mensile, il realismo accomodante, la scomunica in nome di un Onnipotente gestito come cosa propria. Sì, era un comunista e un rivoluzionario di buona stoffa, pronto a non ricevere altra ricompensa che una vita sempre più solitaria e una morte abbandonata.

L’intima tragedia della rivoluzione tunisina è stata di rendersi conto che su diversi aspetti il nemico aveva ragione: l’assenza di strategie precise, la mancanza di leader, la verbosità e il furore parolaio per nascondere la divisione interna, le polemiche ferruginose. A questa dolorosa constatazione è seguita un doloroso stato di coscienza, molti protagonisti di quella Primavera si sono sentiti ingannati, hanno accettato la vittoria elettorale del Nemico, si sono rassegnati. Chokri Belaid no: la storia della rivoluzione correva nella sua biografia, nella sconfitta e nella vittoria, un romanzo con capitoli, pianti, risa, solitudini, idilli, errori, mai rimpianti.

Avvocato, aveva difeso gli islamisti braccati dai tribunali di Ben Ali, tiranno laico, ora era feroce oppositore degli islamisti diventati Potere, i nuovi padroni. Il suo vero nemico era il Grande Vecchio di Ennadha, Rashid Gannouchi, burattinaio ambiguo della politica tunisina, estremista che si cela dietro un sorriso moderato. Per questo lo hanno ucciso. Perché era la rivoluzione che non voleva finire, diventare tran tran quotidiano, dimenticarsi di se stessa umiliandosi.

Lo ricordo nella primavera del 2011 alla testa dei cortei in una avenue Bourguiba nervaliana, con odore di foglie e di restaurant, la nera toga di avvocato e il basco da operaio in testa, la determinazione che si depositava negli occhi dall’oscura intensità. Quando parlava aveva l’accento del Sud-Est contadino che gli era rimasto dalle origini della sua famiglia, e le mani grosse da operaio che recano tutta la mappa della fatica dei loro calli.

Avevano ben ragione di temerlo. Non smetteva di ridere e di parlare. Era felice. Era il suo modo di essere. La rivoluzione era la sua pelle. Stava preparando la seconda rivoluzione, non più dei «moscardini» di Internet, dei figlioli della borghesia in cui l’impeto ribelle si esauriva in un twitter, in una barzelletta. Era la rivoluzione dei senzatutto, delle banlieues sommerse dall’immondizia, dei disoccupati costretti ad arrangiarsi nella piccola delinquenza, degli operai di una industria che paga salari da fame per riempire le saccocce della delocalizzazioni comode dell’Occidente. Era questa la rivoluzione che faceva paura anche agli islamisti, per questo lo hanno ammazzato.

Era stato in prigione sotto Burguiba il padre della patria e sotto Ben Ali. Questo avvocato che aveva respirato il comunismo nella miseria di Djebel Jelloud a sud di Tunisi, sapeva fiutare le pieghe dei finti miracoli di Bourguiba e del suo rapace erede. Era il suo Fronte di sinistra una costola di quel marxismo panarabo che nei Paesi islamici è ricco di martiri e di eroi e povero di vittorie. Perché è il bersaglio di tutti, borghesi e islamisti, nazionalisti e fanatici: perennemente irriso e dimenticato e costantemente risorgente come un fiume carsico o una vena segreta.

Ora dopo due anni di termidoro di Ennadha l’aveva trovato il suo popolo rivoluzionario: i minatori di Gafsa, il lumpenproletariat di Sidi Bouzid dove la rivoluzioneè nata da una indignazione, da un sussulto di orrore, i ribelli contro la disoccupazione di Siliana dove i suoi cortei gli avevano procurato le accuse abbaiate dal ministro degli Interni, di essere manipolatore e fomentatore di disordini. Quasi una designazione, un avvertimento.

Non si è fermato, alla vigilia dell’esecuzione ha tuonato contro l’ultima deriva del Potere, la formazione di milizie «per terrorizzare i cittadini e portare il paese a una spirale di violenza». La prima rivoluzione tunisina è nata da un atto di indignazione, il suicidio di un giovane disperato. La seconda, forse, da un delitto contro un rivoluzionario.

La REPUBBLICA - Renzo Guolo : "L'ambiguità dell'islam"


  ambiguo?                                            Renzo Guolo

Anche Renzo Guolo, come tutti gli altri analisti dei giornali italiani, s'è risvegliato dal torpore della presunta 'primavera', ma gli è comunque difficile abbandonare certi stereotipi fasulli, come quello degli islamisti di Ennahda moderati, perciò scrive : "La famiglia di Belaid e alcuni settori dell’opposizione ritengono che il mandante dell’omicidio sia Gannouchi, ma, al di là della fondatezza dell’accusa, certo è che il vecchio leader, noto per le sue caute posizioni, non pare in grado di controllare le varie anime del partito, in particolare quella che insegue i salafiti ". Ghannouchi è ritenuto essere il mandante dell'assassinio del suo principale oppositore laico in Tunisia, ma Guolo si aggrappa alla speranza che l'accusa non sia fondata, che sia stato fatto tutti da generici salafiti non controllati da Ennahda. Difficile crederlo.
Ecco il pezzo:

L’assassinio di Chokri Belaid, uno dei leader dell'opposizione laica, fa esplodere la Tunisia e le molte contraddizioni della “rivoluzione dei gelsomini”. L’omicidio scatena la protesta di quella parte della società che si oppone all'islamizzazione del Paese. Quella che punta il dito, indicandolo come mandante, contro Ennahda, il partito islamista che guida il governo. Del resto, poche ore prima della sua morte, Belaid aveva denunciato il clima di violenza che attanaglia la Tunisia, attribuendolo proprio allo scontro interno a Ennahda. Il partito di Gannouchi, che ha vinto le elezioni dell’ottobre 2011 e afferma di non volere costruire uno Stato islamico ma semmai uno Stato “religiosamente ispirato”, è dilaniato dal conflitto tra quanti vedono nella democrazia un valore in sé e quanti la ritengono solo un mezzo per realizzare gli obiettivi dell’Islam politico. Un’ambiguità irrisolta, che ha scontentato sia i laici, ostili a qualsiasi deriva di matrice religiosa, sia gli islamisti duri e puri. Nella situazione attuale, caratterizzata da una forte tensione politica e da una crisi economica durissima, molti avevano interesse a innalzare lo scontro. Compresi pezzi di apparati, nuovi e vecchi, in corso di posizionamento e in cerca di nuovi padroni e oggetto delle mire delle diverse correnti islamiste, decisi a fare saltare gli equilibri attuali: paralizzanti per i primi e troppo sbilanciati sul versante islamico per i secondi. È a questa sorta di strategia della tensione in salsa tunisina che si riferisce Ghannouchi, quando attribuisce il delitto a “forze sovversive”. Certo è che Belaid era un Nemico per quelle frange del salafismo che criticano il legalismo di Ennahda e potrebbero aver deciso di alzare il livello dello scontro per provocare quel “bagno di sangue”, evocato per essere esorcizzato dallo stesso Ghannouchi, capace di precipitare il Paese nella guerra civile. Una resa dei conti perseguita dagli estremisti teorici del “leninismo religioso” in quanto levatrice di un nuovo ordine islamico. Per la galassia salafita l’esperimento di Ennahda, che ha guidato un governo di coalizione con forze non islamiste, è da rigettare in quanto non può condurre all’instaurazione di uno Stato islamico. Nelle università così come nella mobilitazione contro i movimenti delle donne o quelli per i diritti civili, i salafiti hanno sempre cercato di “stanare” Ennahda, mostrando come il suo “revisionismo islamico” non sia conciliabile con le parole d’ordine dell’Islam politico. Schiacciato tra la reazione dell’opposizione laica e la pressione salafita, Ennhada è divenuta preda della sua irrisolta ambiguità. Tollerando al suo interno correnti che tallonano i salafiti sul loro stesso terreno. Non è un caso che le violenze di questi mesi siano opera di elementi della Lega di difesa della Rivoluzione, milizia fiancheggiatrice del partito, in cui gli elementi più radicali hanno avuto mano libera. Una violenza quanto meno tollerata dal ministero dell’Interno, guidato da un esponente di Ennhada e che ha avuto come bersaglio privilegiato proprio Nidaa Tounes, la formazione politica di Belaid. La famiglia di Belaid e alcuni settori dell’opposizione ritengono che il mandante dell’omicidio sia Gannouchi, ma, al di là della fondatezza dell’accusa, certo è che il vecchio leader, noto per le sue caute posizioni, non pare in grado di controllare le varie anime del partito, in particolare quella che insegue i salafiti sul terreno del “gergo dell’autenticità”. La durissima protesta dell’opposizione tunisina, che sottolinea questo dato politico, si è già tradotta in crisi istituzionale dopo la sua decisione di far dimettere tutti i suoi rappresentanti dall’Assemblea costituente, la proclamazione di uno sciopero generale, l’annuncio della nascita di un nuovo governo tecnico, dopo l’immediato scioglimento di quello di coalizione seguito alle proteste, da parte del premier Jebali. A questo punto gli obiettivi per l’opposizione sono nuove elezioni politiche e il varo di una costituzione ancorata a principi laici. Un processo per nulla scontato. Si apre così, alle porte di casa, una crisi che può avere un forte impatto, sotto il profilo politico, oltre che sul versante della sicurezza e dei flussi migratori, anche sull’Europa.

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