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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
24.08.2012 Siria: ad Aleppo, dove continua la repressione di Assad
Cronache di Domenico Quirico, Valeria Fraschetti. Robert Fisk stranamente non contro Israele

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Domenico Quirico - Robert Fisk - Valeria Fraschetti
Titolo: «La viltà europea in Siria come nel’ 36 in Spagna - L’esercito si riprende Aleppo: 'il regime di Assad non cadrà' - L’allarme di Amnesty: Violenze orribili»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 24/08/2012, a pag. 1-29, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo " La viltà europea in Siria come nel’ 36 in Spagna". Da REPUBBLICA, a pag. 12, l'articolo di Robert Fisk dal titolo " L’esercito si riprende Aleppo: 'il regime di Assad non cadrà' ", preceduto dal nostro commento, a pag. 13, l'articolo di Valeria Fraschetti dal titolo " L’allarme di Amnesty: Violenze orribili ".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Domenico Quirico : " La viltà europea in Siria come nel’ 36 in Spagna "


Domenico Quirico

La nostra è una età infida, con strane ricorrenze. Dove ho già visto i bimbi decapitati dai bombardamenti nelle strade di Aleppo, o il corpo di una ragazza, sul marciapiede, rannicchiato come dormono le donne, con quella grazia che ci è cara, ma con il filo traditore di sangue dietro il capo? Dove ho già sentito l’urlo dell’aereo che scende in picchiata, sgancia la sua bomba e poi risale indisturbato, senza rischi. Gli avversari non hanno contraerea?
E questa nebbia limacciosa che ci avvolge, fatta di indifferenza noia ipocrisia viltà? I nostri volti non cambiano più, hanno assunto l’inquietante fissità della maschera. Dove ci siamo visti così rassegnati all’orrore di un carnaio in una vecchia terra sovraccarica di storia dove soffrono, lottano e muoiono creature viventi; alla complicità di accettarlo senza fare nulla, neppure gridare? Sì, ho già visto, letto, ascoltato tutto questo: è la guerra di Spagna del 1936.

I paragoni storici sono sempre arbitrari. La Storia non si specchia in se stessa, è implacabile nella sua forza di mutare. Ma servono, talvolta, a capire. Sì, le somiglianze sono folgoranti. Da una parte allora c’era Franco con un esercito potente e spietato, alimentato costantemente e spudoratamente dalle armi degli alleati, i fascismi tedesco e italiano. Oggi è il regime di Bashar, ormai deciso a seppellire la Siria ribelle in un grande cimitero di rovine. Usa aerei elicotteri carri munizioni che gli forniscono, spudoratamente, Russia e Cina.

Nel breve passaggio di quindici giorni che dividono due soggiorni ad Aleppo ho assistito a un passaggio tragico e senza ritorno: il momento cioè in cui il regime siriano, sicuro dalla sua impunità, ha messo una categoria di esseri umani al di fuori di quelle per cui la vita ha un prezzo e non c’è ormai nulla di più naturale che ucciderli. Userà tutti i mezzi per annientarli, senza fare distinguo, il terrore senza ritorno.

Dall’altra parte, nel 1936, c’erano i repubblicani: mal armati, senza addestramento, operai intellettuali e contadini che si erano improvvisati combattenti. Le democrazie occidentali non li aiutarono, come non aiutano, se non a chiacchiere, l’Armata siriana libera. Le telefonate tra Obama, Cameron e Hollande, nella loro sterile minacciosità, quanto assomigliano a quelle dei leader francesi e inglesi di allora! Avevano, abbiamo paura: che i repubblicani fossero, se vincitori, un altro tassello dell’avanzata del demonio comunista. Non c’erano, a provarlo, le brigate straniere, gli incendiari della Terza internazionale, di Stalin, gli anarchici che bruciavano le chiese: la guerra santa delle sinistre? Oggi abbiamo paura che a Bashar succeda l’islamismo radicale, la nuova angoscia dell’occidente. Non ci sono ad Aleppo i jhaidisti, gli emissari di Al Qaeda, le brigate internazionali islamiche? Abbiamo già altri mostri e abbiamo deciso di addomesticarli, nella nostra torbida e ridicola eccitazione nervosa, disgustante a vedersi, riconsegnando un popolo intero al suo rodato assassino. Quale uomo di buon senso preferirebbe un barbus al doppio petto dell’ex oftalmico che bombarda il suo popolo? Nel frastuono dei bombardamenti, nella strage dei civili di Aleppo, nonostante le buone intenzioni enunciate ieri dal ministro Terzi, si svela e muore l’ipocrisia europea. Tutti gli errori di cui l’Europa sta mortalmente soffrendo vengono a raccogliersi e a imputridire qui. Impossibile allungare la mano senza il rischio di setticemia.

Ho visto questi combattenti del Jihad in azione ad Aleppo, sempre nella prima linea che ormai gli appartiene, che si sono conquistata combattendo. Contendono ai governativi ogni mucchio di macerie, ogni muro in rovina, la lotta sale ai piani superiori delle case, si accanisce sui tetti. Li ho visti trascinare con sé un compagno caduto, la testa spappolata da una scheggia di mortaio. Non vi era odio tra quegli implacabili combattenti, nemmeno forse pietà. Alcuni piangevano apertamente: il peso, il silenzio, lo sbigottimento di una enorme stanchezza, il senso di un vuoto gelido, forse anche per loro il disgusto invincibile del sangue, del massacro, della morte.

E’ vero: i jhaidisti stanno guadagnando ogni giorno che passa il controllo della rivoluzione siriana. Perché sanno combattere meglio e più ferocemente degli studenti e dei contadini che la rivoluzione hanno scatenato; perché lo hanno già fatto a Grozny, in Libia, in Afghanistan. Perché sono meglio armati, hanno finanziatori, sono più spietati. E’ l’occidente con la sua viltà camuffata da prudenza geopolitica che sta consegnando la rivoluzione siriana al fanatismo islamico, ogni giorno. I rivoluzionari siriani non ci chiedono soldati o raid aerei, neppure la zona di interdizione al volo. Chiedono solo di poter comprare armi, antiaeree e anticarro, per battersi alla pari. Con queste vinceranno e potranno dire agli islamisti che non amano: tornate a casa, questa è terra nostra. L’armata di Bashar, il regime, può consolidarsi solo con la sensazione di avere la vittoria a portata di mano. Se non le avranno, quelle armi, dopo un lungo massacro Aleppo, capitale dell’altra Siria, simbolo e sfida indispensabile, cadrà. Allora la ribellione dovrà adottare altre forme di lotta che non ci piaceranno, che la contamineranno: il terrorismo, le autobombe. E non hanno dimenticato, non dimenticheranno quello che non abbiamo fatto. La domanda in fondo è semplice, una domanda politica: in Spagna nel 1936 la nostra scelta fu quella giusta?

La REPUBBLICA - Robert Fisk : " L’esercito si riprende Aleppo: 'il regime di Assad non cadrà' "


Robert Fisk

Nel suo articolo, Fisk non cita nemmeno una volta Israele. Come mai? Conoscere il terrorismo che naviga nelle acque musulmane ha forse provocato un cambiamento di atteggiamento persino in un odiatore di Israele scatenato come Fisk ?

ALEPPO — Capisci che è tutto vero quando il conducente del taxi lascia l’autostrada e prende verso Aleppo: di fronte a noi c’è un chilometro e mezzo di strada vuota che porta verso una delle città più antiche del mondo; oltre non si riesce a vedere, la calura confonde la vista. Ma l’orizzonte è contornato da un alone di fumo marrone e il tassista sa che non è il caso di seguire le indicazioni stradali dall’aeroporto. Gira a sinistra e scavalca con cautela, sobbalzando, il guard-rail centrale, tutto distrutto, poi passa fra due enormi cumuli di rocce come un gatto spaventato. Di fronte a noi si stende un mare di case bruciate e auto distrutte, che attraversiamo lentamente. Il motore si accende e si spegne come faceva la macchina di mio padre in Francia nel dopoguerra, per la cattiva qualità della benzina; l’autista preme l’acceleratore a scatti, nervosamente, mentre superiamo due camion della spazzatura rovesciati per formare un blocco stradale improvvisato. Ma sono check-point fantasma. Non ci sono uomini armati, non ci sono miliziani, non ci sono combattenti di Al Qaeda, non ci sono «terroristi», non ci sono «criminali », non ci sono «guerriglieri stranieri » (come ci si stanca di questa eterna semantica) e non c’è nemmeno un civile, perché la battaglia è finita. Per ora. Questo, come ci dicono poi, è il sobborgo di Al Baz, conquistato dall’esercito governativo, anche se non vediamo né soldati né poliziotti per chilometri. L’esercito è venuto e se ne è andato, e gli edifici sono distrutti dai colpi d’artiglieria e crivellati dai proiettili. Giriamo a sinistra in una carreggiata di calcinacci grigi polverizzati, con il fumo di sacchi della spazzatura in fiamme da entrambi i lati. Chi li ha incendiati? Attraversiamo in macchina queste strade fantasma. Alla nostra destra si erge una spettrale stazione di polizia: il gigantesco ritratto del presidente siriano Bashar Al Assad sulla parete è intatto, ma sopra ogni finestra ci sono le macchie nere degli incendi. L’edificio è sventrato, la caserma dei vigili del fuoco subito accanto è abbandonata e un autocarro dei pompieri è stato scagliato contro un muro. In 7 chilometri avvisto solo un bambino sconsolato fra le rovine e una mamma che attraversa mezzo ettaro di polvere con in braccio un bambino piccolo. Solo quando compare alla nostra destra la malconcia Cittadella di Aleppo — bastioni di colore opaco che ci ricordano che la storia non è cominciata ieri — vediamo delle famiglie, con le bambine che indossano l’abito dell’Id al-Adha e un locale che serve kebab. «Abbiamo ripulito queste strade », mi dirà poi un ufficiale siriano. Il che è vero, nella misura in cui si possono sconfiggere guerriglieri che combattono strada per strada con blindati T-72 e veicoli da combattimento Bmp. I soldati siriani ci hanno descritto i loro combattimenti a Homs, Idlib, Hama e Dera’a. Il presidente Assad ha inviato i suoi uomini più esperti sul fronte di Aleppo, ma non si tratta, mi dicono, della famigerata IV divisione di Maher Al Assad. «Assolutamente no», mi dice ridendo un generale. Forniamo ora le cifre ufficiali (ovviamente si tratta di statistiche dell’esercito lealista, perché qui siamo dall’altra parte della linea del fronte di Aleppo). Numero totale di «terroristi» morti: 700 e «molti feriti». Numero totale dei caduti fra le fila governative: 20; feriti: 100. Le linee di Internet e dei cellulari sono state tagliate dai ribelli nei pressi di Homs, perciò l’unica possibilità di comunicazione telefonica con la capitale è offerta da un circuito di rete fissa. In Iraq e in Afghanistan la guerriglia pagherebbe per poter mantenere in funzione la rete di telefonia mobile, perché hanno bisogno dei cellulari. Ma qui a quanto sembra hanno sistemi di «comando e controllo» a sufficienza da potersi permettere di fare a meno delle linee siriane. L’Esercito libero siriano non è in grado di circondare Aleppo, ma è in grado di isolarla. La festività del-l’Id Al Adha viene celebrata in maniera molto misera, con gli abitanti più ricchi accampati negli alberghi per evitare le sparatorie nei sobborghi, nessun quotidiano e l’agenzia di stampa locale talmente a corto di collegamenti che ha 11 giorni di immagini in attesa di essere trasmessi a Damasco. Gli alti ufficiali dell’esercito siriano non portano i galloni sulle loro mimetiche. «In tempo di guerra », mi dice un generale di divisione, «ce li togliamo per motivi di sicurezza, per non farci riconoscere ». Nell’esercito di Assad sembra che nessuno voglia fare la fine di Horatio Nelson a Trafalgar, ucciso da un cecchino francese appostato fra il sartiame, che non aveva faticato a riconoscerlo per via delle numerose medaglie di cui era adorno. Ad Aleppo i cecchini sono appostati alle finestre degli appartamenti. Ieri hanno aperto il fuoco tre volte contro le truppe di Assad, poi sono spariti. I soldati, con tanto di elmetto di ferro, li hanno cercati invano nei giardini pubblici vicino alla ferrovia in disuso. Ho chiesto a uno degli esponenti dell’élite militare siriana qui ad Aleppo se aveva qualche commento da fare alla dichiarazione del segretario alla Difesa degli Stati Uniti Leon Panetta, che due settimane fa aveva detto che Aleppo sarebbe stata l’ultimo «chiodo nella bara di Assad» e del regime. L’ufficiale ha risposto che «il regime siriano non cadrà mai. Nessuna potenza sulla terra potrà abbatterlo. Tutti i regimi cadono, ma quello siriano rimarrà in piedi, perché Dio è dalla parte di coloro che sono nel giusto». Sicuramente anche l’esercito sta pagando un prezzo di sangue (anche se infinitamente inferiore a quello che stanno pagando i civili siriani in questa guerra orrenda): dei quattro generali che ho incontrato finora ad Aleppo, tre sono stati gravemente feriti nei combattimenti dell’ultimo anno e mezzo; uno ha ancora la benda al braccio per una scheggia di granata che lo ha colpito alla spalla. C’erano dei televisori nelle caserme temporanee degli ufficiali. Sullo schermo ho visto passare le immagini antiregime di Al Arabiya e Bbc, oltre ai servizi sulla guerra della televisione siriana. E i soldati, si affretta a rivelare l’esercito, vengono informati quotidianamente dai loro ufficiali sull’andamento del conflitto. Invertendo la tradizionale gerarchia, qui i commenti sono sacri e i fatti sono liberi. Qualsiasi conversazione deve obbligatoriamente cominciare con la linea ufficiale del governo: l’esercito difende la patria contro l’aggressione, una cospirazione internazionale ha preso di mira la Siria perché è l’unica nazione araba che resiste a Israele. I nemici stranieri prima hanno supportato le manifestazioni contro il governo, poi hanno armato i manifestanti. Non dicono da nessuna parte che l’esercito aveva preso a cannonate i manifestanti disarmati e nessuno spiega come hanno fatto manifestanti siriani armati a trasformarsi in guerriglieri «stranieri». Ma l’esercito siriano è una fucina di storie improbabili che diventano vere a forza di essere ripetute, e queste storie contano più delle statistiche. Ahmed, un coscritto di 21 anni, mi dice che suo fratello, il soldato Mohammed Ibrahim Dout, è stato «martirizzato» da un cecchino. Il suo compagno d’armi dice: «Siamo addolorati per il nostro fratello soldato, ma ora è in paradiso ». Un generale mi racconta di un suo amico, soldato di carriera con il grado di tenente a Douma. sobborgo di Damasco: «Si era sposato tre mesi fa e stava tornando a piedi a casa sua, a Douma, quando degli uomini su un furgone lo hanno salutato e gli hanno offerto un passaggio». Il tenente Assem Abbas, 23 anni, ha accettato senza sospettare nulla. «Lo hanno ritrovato più tardi», dice il generale, «tagliato in due pezzi e buttato in un pozzo nero».

La REPUBBLICA - Valeria Fraschetti : " L’allarme di Amnesty: Violenze orribili"

Nessuna tregua dalle bombe per Aleppo e Damasco, né dai rastrellamenti e dalle esecuzioni sommarie. Ieri, mentre Amnesty International denunciava che a pagare il prezzo più alto della guerra civile siriana sono i civili, almeno 67 morti erano stati contati in serata dagli attivisti: due terzi erano, appunto, cittadini inermi. Ed è proprio per fermare al più presto questa mattanza quotidiana (circa 20mila vittime da marzo 2011) che i leader di Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia hanno discusso al telefono di Siria nella notte. In linea con il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi, che su Repubblica ha dichiarato che Roma sta considerando di aiutare i ribelli con l’invio di strumenti di comunicazione «utili per prevenire attacchi contro i civili», David Cameron, Barack Obama e François Hollande hanno «discusso di come migliorare il sostegno già offerto all’opposizione per porre fine alla spaventosa violenza». Per ora l’Italia esclude che questo sostegno possa materializzarsi in un intervento militare. Ma il premier britannico e il presidente americano hanno concordato che l'uso o la minaccia di impiegare armi chimiche da parte del regime provocherebbe una «rivisitazione del loro atteggiamento». Uno scenario, quello dell’irruzione delle armi di distruzione di massa nel conflitto, su cui Mosca avrebbe ricevuto rassicurazioni da Assad ma che era ieri in discussione ad Ankara. Dove si è tenuta la prima riunione di «pianificazione operativa» tra Usa e Turchia. Un meeting in cui è forse vagliata anche l’ipotesi di creare una no-fly zone e una zona cuscinetto in Siria per far fronte all’emergenza umanitaria. Soluzioni difficili da attuare non solo «dal punto di vista pratico e giuridico», come sottolineato giorni fa sulla stampa turca dall’ambasciatore americano, Francis Ricciardone. Ma anche da quello diplomatico, visto l’ostruzionismo di Cina e Russia al Consiglio di Sicurezza. Intanto, in Siria si muore. Ieri è accaduto a Daraya, sobborgo meridionale di Damasco bombardato per 24 ore consecutive. Ma anche a Kafr Souseh, dove dopo una pioggia di bombe, per il secondo giorno sono arrivati i rastrellamenti nelle case da parte dei lealisti. «Lanciano colpi di mortaio per farsi largo. E man mano avanzano», ha raccontato al telefono da Daraya un attivista. Nella giornata in cui l’ultimo scaglione dei cachi blu ha lasciato Damasco e a Berlino, per un colloquio con Angela Merkel, Hollande dice che «Assad non può restare al potere», ad Aleppo l’esercito si è ripreso i quartieri cristiani del centro storico. Sulamaniyeh, Jdeide, Telal: affollati di turisti e ristoranti prima della guerra, sono ora sventrati dall’artiglieria di Assad, che l’ha scippata ai ribelli dopo tre settimane. «Abbiamo vissuto i due peggiori giorni della nostra vita» ha detto una residente, aggiungendo che l’artiglieria non ha risparmiato le case. A conferma che «le orribili violenze» contro i civili rilevate da Amnesty, nella prima metà di agosto, non cessano.

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