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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - La Stampa Rassegna Stampa
17.08.2012 Siria: ormai solo Iran ed Hezbollah appoggiano Assad
Cronache e commenti di Domenico Quirico, Pietro Del Re, Francesca Paci, Nicholas Kulish

Testata:La Repubblica - La Stampa
Autore: Domenico Quirico - Pietro Del Re - Francesca Paci - Nicholas Kulish
Titolo: «Siria, fra i civili massacrati nella città che osò resistere - Siria, l’Islam mette al bando Assad - La crisi di Damasco contagia Beirut»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 17/08/2012, a pag. 17, l'articolo di Pietro Del Re dal titolo " Siria, l’Islam mette al bando Assad ", l'articolo di Nicholas Kulish dal titolo " Hezbollah potrebbe attaccare l’Europa. L’allarme degli Usa ignorato da Bruxelles ". Dalla STAMPA, a pag. 14, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " La crisi di Damasco contagia Beirut ", a pag. 15, il reportage di Domenico Quirico dal titolo " Siria, fra i civili massacrati nella città che osò resistere ".
Ecco i pezzi:

La REPUBBLICA - Pietro Del Re : " Siria, l’Islam mette al bando Assad "

Nel giorno in cui il mondo musulmano mette al bando Damasco e in cui il Consiglio di sicurezza annuncia che la missione di monitoraggio Onu in Siria non verrà rinnovata, l’aviazione del presidente Bashar al Assad ha compiuto la sua ennesima strage di civili. Stavolta le bombe dei Mig hanno colpito un villaggio a circa 50 chilometri a nord di Aleppo, Azaz, uccidendo almeno quaranta persone, tra cui molte donne e molti bambini. «Questo orribile attacco ha distrutto un intero quartiere residenziale», ha detto Anna Neistat, direttore di Human Rights Watch per le emergenze. «Ancora una volta le forze del governo siriano hanno attaccato con un cinico disprezzo per la vita civile». Nel timore di altri raid, gli ospedali della cittadina hanno chiuso i battenti e i feriti sono ora costretti a fuggire in Turchia per potersi curare. Da Azaz è una fila continua di uomini e donne in auto,
a piedi o in pulmino, che scappano per trovare protezione oltre confine.
Poche ore prima era giunta la notizia che l’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oci) ha sospeso la Siria dai Paesi membri. Al termine del summit dell’Organizzazione che si è tenuto alla Mecca, in Arabia saudita, i partecipanti si sono trovati d’accordo sulla «necessità di mettere fine immediatamente agli atti di violenza », dichiarandosi fortemente inquieti per i massacri e gli atti
inumani subiti dal popolo siriano. Solo Teheran, alleato storico del regime di Damasco, ha contestato questa sia pur simbolica decisione, dichiarandola «ingiusta». Due giorni fa, il rapporto finale della Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite aveva accusato le forze governative siriane e le milizie fedeli al regime di aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità, sarebbe a dire omicidi, stupri e torture soprattutto sui civili. Sempre secondo il rapporto, anche gli insorti dell’Esercito
libero siriano che combattono il regime di Assad hanno perpetrato crimini di guerra, ma le violazioni «non raggiungono la gravità, la frequenza e l’intensità» di quelli delle truppe lealiste. Riguardo al massacro di Houla, in cui lo scorso maggio si contarono 108 morti, tra cui 49 bambini, e che il regime attribuì agli insorti, o meglio ai «terroristi», la Commissione ha invece decretato che a compierlo furono proprio le milizie fedeli al presidente.
Quanto al mandato dell’Onu in
Siria, che scade dopodomani, l’ambasciatore francese presso il Palazzo di vetro di New York, Gérard Araud, ha dichiarato che non sarà rinnovato perché «non ci sono le condizioni per il proseguimento della missione». I 101 osservatori militari ancora presenti in Siria lasceranno dunque Damasco nei prossimi giorni. Il Consiglio di sicurezza ha tuttavia trovato un accordo sull’apertura di un ufficio nella capitale siriana per sostenere gli sforzi internazionali destinati a porre fine al
conflitto. L’algerino Lakhdar Brahimi ha accettato l'incarico di inviato speciale di Onu e Lega Araba al posto di Kofi Annan.
Sempre ieri, cinque paesi arabi del Golfo hanno chiesto ai loro connazionali di lasciare il Libano a causa dei rischi per la sicurezza legati all’aggravarsi della crisi in Siria. Si tratta di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein e Kuwait, che temono possibili rappresaglie di sciiti (vicini agli alauiti di Assad) contro quei cittadini di Paesi sunniti che sostengono gli oppositori al regime di Damasco.
E sono ormai 2,5 milioni le persone colpite dall’emergenza umanitaria in Siria: un numero più che raddoppiato negli ultimi quattro mesi. «Le persone sono stanche, vogliono far ritorno alle loro case, ma il dato cruciale che fa la differenza è metter fine ai combattimenti », ha detto l’inviato dell’Onu a Damasco, Valérie Amos.

La STAMPA - Domenico Quirico : " Siria, fra i civili massacrati nella città che osò resistere "


Domenico Quirico

L’assassino è un pilota di un Mig 27 con i colori L’ dell’esercito regolare siriano, quello che si batte ancora a fianco del dittatore Bashar Assad. È decollato quasi certamente da Aleppo; a quindici chilometri c’è un aeroporto militare ancora nelle mani dei lealisti, ma è assediato dagli insorti e la pista è inutilizzabile. L’ora del delitto, le quindici e dieci del pomeriggio, quando l’aereo ha bombardato un quartiere densamente abitato. Non c’erano guerriglieri in quelle case, non depositi d’armi, alti comandi. La maggior parte delle vittime sono donne e bambini perché a quell’ora sono loro nelle case, preparano in questo periodo di ramadan la cena per la sera quando il digiuno finirà.

Della vittima non conosco il nome, nessuno lo conosce, era una bimba di sei sette anni non più, una sfollata con la famiglia da Aleppo martoriata. In questa cittadina così vicina al confine credeva di aver trovato la sicurezza. Invece la bomba l’ha spazzata via, con altre cento persone. La gente scava disperatamente, a mani nude, ha già estratto decine di cadaveri. La bomba ha creato un vuoto di cinquanta metri di diametro, uno schiaffo gigantesco che ha spazzato tutto quanto, intorno le povere case sono piegate su se stesse, ridotte a rottami, il ferro sottile con cui è impastato questo cemento povero è pressoché fuso in matasse inestricabili. Non ci sono scavatori, non ci sono pale, solo le mani, rabbiosamente. Un urlo ci chiama a un piccolo padiglione, tagliato metà. Sollevano blocchi di cemento, calcinacci, mentre si diffonde un odore acuto di morte. Estraggono metà di un corpicino, non c’è più nessuna faccia, puoi vedere la gola aperta, il palato si contorce in un gran buco sanguinoso con i bordi anneriti dal fuoco, da cui pendono lembi di pelle . Si alza il grido «Allah è grande», c’è dentro odio, non pietà, alcuni baciano con furia la maceria dove il corpo ha lasciato larghe macchie di sangue e di materia. Lo avvolgono in una coperta. Che resta a lungo lì tra i calcinacci, bambini alzano i risvolti spiano l’orrore. Infine lo caricano su un piccolo motocarro che parte. Ma si continua a scoperchiare le macerie nel padiglione, raccolgono con dolcezza tra le dita piccoli frammenti, intestini, lembi di carne. Basta uno straccio bianco per comporli.

Si dice che la guerra siriana ha già provocato ventimila morti, forse più. Non ho assistito a questi delitti, non posso descriverli, spesso diffido delle cifre che corrono nelle rivoluzioni e nei conflitti civili. Dove la propaganda lavora e arrotonda. Posso testimoniare solo ciò che vedo, l’orrore di cui sono testimone. E credo che basti anche un solo delitto provato, accertato per condannare gli uomini dei regimi che lo hanno reso possibile, gli esecutori, i complici, i mandanti. E allora accuso il pilota del Mig, i suoi ufficiali che gli hanno dato l’ordine di bombardare la città di Azaz dove era questa bambina innocente, il ministro della Difesa che li ha autorizzati, il primo ministro, il presidente che li ha sostenuti e coperti: hanno commesso un delitto. Un ragazzo mi mostra (ancora una volta! quante volte ho visto questo gesto nei miei giorni siriani) sul telefonino l’immagine di altri due bambini, allegri, un’esplosione di maglie rosse e gialle: anche loro sono rimasti sotto le macerie. Raccolti, ridotti a frammenti in una grande coperta, impossibile per lo strazio ricomporli. Li hanno sepolti così in un campo («a mezzanotte eravamo ancora al lavoro, tanti erano... tu hai studiato la storia e le vicende degli uomini. Hai mai visto un dittatore così, che massacra la sua gente? Lo hai mai incontrato?».

Il bombardamento era una vendetta: perché questa città si è liberata con una epopea, poche decine di paesani contro i carri armati dell’esercito. Ci portano a vedere i luoghi della battaglia tra gli ulivi, quaranta giorni fa; dei carri nascosti tra questi alberi cari a Dio, 27 sono stati distrutti, camaleonti carbonizzati sdraiati nella polvere: uno dei luoghi di battaglia più aspra è una moschea nuova di zecca dove tre carri si erano asserragliati. La moschea è franata loro addosso, li ha sepolti con le sue macerie sante come a nascondere l’empietà di uomini che la utilizzavano per battersi e uccidere.

È la seconda volta che vengo ad Aleppo passando dalla frontiera turca. Non sono più scivolato sotto i reticolati di notte clandestinamente, con una guida che conosce la geografia dei campi minati. La frontiera è aperta, il poliziotto turco mi ha messo il visto di uscita con un sorrisone. Aperta per me. Ma non per i profughi siriani che si ammassano davanti alla barriera, sbarcati da autobus sbrecciati dalla mitragli, da auto in agonia. E mi guardano, io che vado nella direzione opposta, con sgomento. Sono quelli che non hanno resistito: «I bambini, i bambini, come possiamo far vivere i bambini sotto le bombe?». Vogliono entrare nel piccolo campo profughi di Klis, appoggiato alla frontiera. Ma la Turchia è sospettosa e prudente. Stanno accucciati all’ombra dei bus, su grandi coperte, le donne in un mucchio da una parte, gli uomini che guardano oltre il confine. Percorro a piedi la terra di nessuno, dall’altra parte il posto siriano tenuto da ragazzi dell’Esercito libero. Due si mettono in posa sotto la grande insegna «Benvenuti nella Siria libera» pronta per essere alzata all’ingresso. Mi mettono un timbro sul passaporto: buon segno, di qualcosa che si vuole radicare, che si sente già consolidato presente, rivoluzione che si fa amministrazione, burocrazia. Ad Azaz ci fanno conoscere l’ingegner Hamed Essameh, che per primo ha scatenato la rivolta qui, uno dei primi rivoluzionari siriani che ha avuto il coraggio di scendere in strada quando sono arrivate le notizie di Deraa: «Eravamo in tre, in pochi minuti siamo diventati tremila, seimila, tutta la città». Ci mostra le armi con cui hanno distrutto i carri: un tubo di ottone trasformato in lanciarazzi, fabbricato artigianalmente dalle loro mani: «Il proiettile può aprire un varco di 40 centimetri nella corazza di un carro...». Con lui c’è Ibrahim Maluff, la madre era un’italiana di Libia. Sintetizza la storia recente della Siria in due parole: «Allah akbar e hurrya, dio è grande e libertà: è tutto lì, c’è poco da capire di questa rivoluzione».

La STAMPA - Francesca Paci : " La crisi di Damasco contagia Beirut "


Francesca Paci, Hassan Nasrallah

I libanesi sapevano che presto o tardi avrebbero fatto in conti con la guerra vicina di casa. All’inizio l’eco dei combattimenti tra l’esercito di Damasco e i ribelli si è limitata alla città di Tripoli, storicamente predisposta al contagio, come quasi tutto il nord sunnita, avendo patito da vicino l’occupazione di Assad padre. Ora, ammettono i tg, tocca a Beirut. E non si tratta più solo dell’esodo degli emigranti sciiti tornati a popolare la capitale perché messi di fatto alla porta dal Golfo. La crisi degli ostaggi siriani rapiti mercoledì sbatte in prima linea il finora diplomaticissimo governo Mikati, di cui Hezbollah fa parte.

L’ultimo capitolo di una storia risalente ad almeno trent’anni fa, inizia lunedì, quando l’Esercito libero siriano (Els), l’opposizione armata a Damasco, cattura lo sciita libanese Hassan al-Meqdad e ne denuncia la militanza nel presunto contingente sciita internazionale che sosterrebbe militarmente il regime. Quella degli al-Meqad però, è una potente tribù della valle della Bekaa dedita al contrabbando (soprattutto di armi) e ragiona secondo l’occhio per occhio, anche perché non si fida del proprio governo che ancora non è riuscito a riportare a casa gli 11 libanesi sequestrati a giugno vicino ad Aleppo. Così, mercoledì, rapisce una ventina di siriani, uno dei quali avrebbe confessato di essere un ufficiale dell’Els, più un businessman turco e un saudita. Il messaggio è diretto a chi tiene prigioniero al-Meqdad ma parla indirettamente a quei paesi sunniti del Golfo, accusati di sostenere i ribelli siriani, che ieri, prontamente, hanno richiamato i propri concittadini dal Libano.

Mentre a Beirut le automobili siriane (lussuose ma anche modeste) sostituiscono quelle di Qatar, Arabia Saudita, Emirati e Kuwait, che solitamente arricchiscono l’estate libanese, il premier Mikati convoca una riunione di governo dopo l’altra. L’aeroporto è stato riaperto dopo che alcuni gruppi sciiti avevano improvvisato barricate chiedendo la liberazione di al-Midqad ma i problemi sono più profondi.

Hezbollah, dichiaratamente schierato con Assad ma diplomaticamente attento a dichiarare comprensione per «le ragioni del popolo siriano», è in difficoltà. Lo confermano fonti vicine al Partito di Dio e fonti legate ai sostenitori dell’ex premier Hariri. Non si spiegherebbe altrimenti il silenzio degli uomini di Nasrallah davanti alla vicenda dell’ex ministro dell’informazione Samaha, sodale di Damasco nonché membro della coalizione 8 Marzo (di cui fa parte Hezbollah), arrestato dall’Internal Security Forces (un dipartimento di polizia guidato dall’amico di Riad Ashraf Rifi) con l’accusa in apparenza consistente di voler destabilizzare il Libano tramando attentati. L’ultima tensione settaria, nel maggio 2008, era finita con una battaglia strada per strada e varie vittime. Stavolta invece niente (già dopo gli scontri a Tripoli Hezbollah aveva usato insoliti toni concilianti).

«Innanzitutto Hezbollah non è all’opposizione ma al governo e con i guai che ha, a partire dall’elettricità pubblica distribuita per sole quattro ore al giorno, deve concentrarsi sul voto del 2013» nota l’analista liberal Saad Kiwan. È davvero conveniente difendere Damasco fino in fondo? Il dibattito esiste: «Pare che l’ala dura, l’emanazione dei pasdaran iraniani, sia irriducibilmente con Assad, mentre la parte più pragmatica di Hezbollah cominci a pensare che la Siria non valga le salme di ritorno dal confine e che sia meglio risparmiare vite per il Libano».

Prevedere se la guerra siriana sconfinerà in Libano è arduo. Per ora ci sono gli scontri sunniti-alawiti intorno Tripoli (dove sventolano le bandiere degli oppositori di Assad ma anche quelle dei fondamentalisti sunniti anti-sciiti, di al Qaeda e perfino di un gruppo salafita pro Hezbollah e pro Iran, Harakat al-Tawhid). C’è il processo a Samaha e c’è la crisi degli ostaggi. Nasrallah dovrebbe parlare oggi in chiusura di Ramadan.

«Da un anno aspettiamo che accada il peggio, oggi la Bekaa è un campo di reclutamento di ribelli anti-Assad e la gente mormora che dietro i sequestri dei libanesi ci siano gli uomini di Hariri all’opera per mettere in difficoltà Hezbollah» racconta un senior del quotidiano di sinistra as-Safir. La Storia bussa ancora alla porta libanese. Intanto gli albergatori denunciano un calo di turisti del 60%.

La REPUBBLICA - Nicholas Kulish : " Hezbollah potrebbe attaccare l’Europa. L’allarme degli Usa ignorato da Bruxelles "


Nicholas Kulish                     Hezbollah

BERLINO — Mentre gli americani lanciano l’allarme sulla riemergente minaccia rappresentata da Hezbollah, l’organizzazione radicale degli sciiti libanesi, migliaia di suoi affiliati e sostenitori agiscono senza restrizioni in Europa, raccogliendo fondi che vengono incanalati verso la dirigenza del gruppo in Libano. Washington e Tel Aviv insistono che Hezbollah è un’organizzazione terroristica spalleggiata dall’Iran e responsabile di gravi fatti di sangue che lavora di concerto con il regime di Teheran per addestrare, armare e finanziare la micidiale repressione della rivolta siriana portata avanti dal regime di Damasco. Eppure l’Unione Europea continua a trattare Hezbollah come se fosse in primo luogo un movimento libanese. Mentre da Israele arrivano dichiarazioni che acuiscono i timori di un attacco preventivo contro i siti nucleari iraniani, gli analisti dei servizi di intelligenceavvertono che l’Iran e Hezbollah risponderebbero a un simile attacco con azioni dirette contro obbiettivi in altri Paesi. Funzionari israeliani e americani hanno attribuito l’attentato contro il pullman di turisti in Bulgaria il mese scorso a Hezbollah e all’Iran, sostenendo che fa parte di un’offensiva non dichiarata che include azioni in Tailandia, India, Cipro e altri Paesi. Dall’11 settembre in poi Hezbollah ha mantenuto un profilo basso in Europa, limitandosi a organizzare incontri e a raccogliere denaro che viene spedito in Libano, dove i funzionari dell’organizzazione lo usano per una serie di attività: costruzione di scuole e ospedali, erogazione di servizi sociali e — sostengono i servizi segreti occidentali — organizzazione di attentati terroristici. I servizi di sicurezza europei sorvegliano i sostenitori politici del gruppo, ma secondo gli esperti questi controlli non servono a tenere sotto controllo le cellule dormienti che rappresentano il pericolo maggiore. E il rifiuto dell’Europa di inserire Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche sta complicando gli sforzi dell’Occidente per affrontare i problemi rappresentanti dall’attentato in Bulgaria e dal conflitto siriano. Questa drastica diversità di vedute riflette i tanti ruoli che ha giocato Hezbollah dal momento del suo ingresso in scena, dopo l’invasione israeliana del Libano nel 1982. L’ala militare di Hezbollah ha perpetrato una serie di rapimenti e sofisticati attenta- ti in patria, ed è stata accusata di azioni terroristiche all’estero. Ma il gruppo ha anche cominciato a fornire servizi sociali che il debole e frantumato governo libanese non era in grado di fornire e da quel momento si è evoluto in una forza politica che può contare su due ministri e una dozzina di seggi in Parlamento. Il segretario generale del gruppo, Hassan Nasrallah, ha detto che se le autorità europee inserissero Hezbollah fra le organizzazioni terroristiche «sarebbe devastante per l’organizzazione. Rimarremmo senza finanziamenti e senza supporto morale, politico e materiale». Mentre Stati Uniti e Israele sono convinti che l’Iran e Hezbollah stanno attrezzando la loro rete internazionale, rimasta a lungo dormiente, per azioni terroristiche su scala internazionale, gli europei fanno una chiara distinzione fra una rete terroristica internazionale come Al Qaeda e quello che viene visto come un conflitto che contrappone Israele e Stati Uniti da una parte e Iran, Siria e Hezbollah dall’altra. La differenza di percezione fra le due sponde dell’Atlantico è talmente accentuata che gli americani sembrano più preoccupati per la minaccia che rappresenta Hezbollah per l’Europa che gli europei stessi. «Hezbollah potrebbe effettuare attacchi in Europa in qualsiasi momento, senza alcun preavviso o quasi», ha detto la scorsa settimana Daniel Benjamin, coordinatore delle attività antiterrorismo per il Dipartimento di Stato. Secondo alcuni esperti, i responsabili della sicurezza del vecchio continente sono restii a mettere al bando il gruppo in virtù di una tacita deterrenza, in cui Hezbollah non fa attentati e le polizie europee non interferiscono con le sue operazioni organizzative e di raccolta fondi. «C’è il timore di attirare l’ira di Hezbollah, spingendola a compiere azioni nei loro Paesi », dice Bruce Hoffman, professore di Studi sulla sicurezza alla Georgetown University ed esperto di terrorismo. «Perché arrischiarsi a sollevare un sasso per vedere che c’è sotto?».

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