domenica 19 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Il Giornale - Libero - La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.08.2012 Siria: Assad continua con bombardamenti e torture
commenti di Fiamma Nirenstein, Carlo Panella. Cronache di Domenico Quirico, Lorenzo Cremonesi

Testata:Il Giornale - Libero - La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein - Carlo Panella - Domenico Quirico - Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Obama manda la Cia in Siria. E Kofi Annan getta la spugna - Obama manda la Cia dai ribelli. Dichiarata mezza guerra ad Assad - Nei vicoli di Aleppo macerie e cadaveri, ma i ribelli resistono - Le torture e le esecuzioni. Arriva l'ora delle vendette»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 03/08/2012, a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "Obama manda la Cia in Siria. E Kofi Annan getta la spugna " . Da LIBERO, a pag. 15, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Obama manda la Cia dai ribelli. Dichiarata mezza guerra ad Assad ". Dalla STAMPA, a pag. 17, il reportage di Domenico Quirico dal titolo " Nei vicoli di Aleppo macerie e cadaveri, ma i ribelli resistono ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Le torture e le esecuzioni. Arriva l'ora delle vendette ".
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Obama manda la Cia in Siria. E Kofi Annan getta la spugna"


Fiamma Nirenstein, Kofi Annan

Quando Obama entra in scena in Medio Oriente, in genere è po­co risolutivo ma molto rumoroso.
Così sembra anche questa volta. Mentre il dipartimento di Stato fa sapere di aver stanziato 25 milioni per appoggi non letali ai ribelli e 60 per assitenza umanitaria, Oba­ma fa capolino da una pagina fino­ra chiusa, e si capisce sempre di più come la guerra di Siria sia un gioco a mosca cieca. Si viene a sa­pere adesso che deluso dall’inca­pacità del Consiglio di Sicurezza di comminare serie punizioni ad Assad, Obama ha firmato ordini segreti che autorizzano l’aiuto americano ai ribelli da parte della Cia e di altre organizzazioni che agiscono coperte. È un tipo di azio­ne di intelligence detta finding , in­dividuazione, e consente aiuti di vario genere a quelli che le agen­zie ritengano opportuni partner.
Questo accade nelle stesse ore in cui si apprende che Kofi Annan, l’inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega Araba per la Si­ria, getta la spugna: non rinnove­rà l’incarico in scadenza alla fine del mese. Annan lamenta in un co­municato di «non aver ricevuto il sostegno necessario» e la sua usci­ta di scena dà il via a roventi pole­miche, soprattutto a quelle degli americani contro russi e cinesi per i loro ripetuti veti in Consiglio di Sicurezza alle risoluzioni con­tro Bashar el-Assad.
Tornando alle mosse di Oba­ma, queste segnalano uno sposta­mento americano verso il suppor­to agli oppositori armati di Assad. Le fonti che hanno dato la notizia insistono che Obama non avreb­be fornito «armi letali». Sembra anche, da una fonte americana, che gli Usa stiano collaborando con la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita in un’organizzazione che avrebbe la sua sede ad Adana nel­la base di Incirlik, il centro ameri­cano militare e di intelligence. L’attività turca di aiuto ai ribelli si sa che è forse la più robusta. ABC news afferma che la Free Syrian Ar­my ha ottenuto due dozzine di missili terra aria e la consegna tra­mite il territorio turco di lancia­missili da spalla. Insomma si muo­vono molte armi verso le mani dei ribelli, si conta sulla voce dei can­noni per dire la propria, mentre tuttavia sempre di più si capisce che il terreno dell’opposizione è minato da forze inquietanti.
È una contraddizione notevole. Gli americani sanno bene che la presenza di Al Qaida sul terreno è diventata importante e ha raddop­piato i suoi uomini con circa 200 operativi provenienti dall’Iraq. Obama, oltre alle incertezze sulle intenzioni degli insorti, sa di ave­re a che fare con il suo nemico sto­rico, nelle cui mani tuttavia po­trebbero cadere i suoi aiuti, come nelle mani di altri gruppi antiame­ricani. I risultati dello scontro in­cardineranno il futuro del Medio Oriente, la pace e la guerra ne sa­ranno determinati.

www.fiammanirenstein.com

LIBERO - Carlo Panella : " Obama manda la Cia dai ribelli. Dichiarata mezza guerra ad Assad "


Carlo Panella, Barack Obama

Barack Obama dichiara mezza guerra al regime di Beshar al Assad che da giorni usa gli elicotteri per sparare razzi e granate sulla popolazione in rivolta (centinaia le vittime civili in pochi giorni), in specie ad Aleppo, contrastato da una resistenza popolare e militare straordinaria. Con una mossa ipocrita, tipica della sua concezione di politica mediorientale, Obama, secondo quanto riferisce la Cnn: «Ha promulgato un ordine segreto con cui autorizza gli agenti della Cia a fornire supporto e aiuto ai ribelli siriani». Dunque, un atto apertamente ostile contro il regime di Beshar al Assad, ma sempre dentro i limiti della “guerra sporca”, la guerra che si fa ma non si dice, la guerra dei Servizi Segreti, la guerra dei droni (Obama ha personalmente ordinato non meno di trecento esecuzioni di terroristi di al Qaida - ma anche di donne e bambini che stavano con loro - senza processo, in medio oriente). Un gesto tardivo, insufficiente, che legalizza quanto già gli agenti della Cia (pochi, pare siano sei secondo i corrispondenti in loco) già facevano di nascosto da settimane. Un atto politico, che però non dà quell’aiuto sostanziale sul campo che possa bloccare la ferocia di una repressione che ad oggi ha fatto non meno di 20.000 vittime. Soprattutto un gesto confuso, come tutti quelli della politica estera di un Obama il cui premio Nobel per la pace appare oggi semplicemente ridicolo e tragicomico. Gli agenti della Cia infatti si muovono in Siria in maniera improvvisata, senza una strategia di riferimento. Al contrario, sono frenati tuttora da una “dottrina” obamiana che esclude qualsiasi intervento militare umanitario se non approvato dall’Onu. Ma l’Onu blocca ogni risoluzione (a causa del veto di Russia e Cina) e fallisce ancora una volta. Kofi Annan, ieri ha gettato la spugna e cessato la sua mediazione tra Onu, Lega Araba e regime, che è servita solo a far guadagnare ad Assad ben 5 mesi di inutili trattative. In realtà, la Cia può fare ben poco in un terreno in cui non ha terminali e che non conosce per la drammatica ragione che Obama e la Clinton consideravano sino a 10 mesi fa Beshar al Assad un “riformista” un interlocutore da convincere, addirittura il baricentro affidabile per la loro politica di “dialogo” con l’Iran e sulla questione palestinese. Obama quindi non ha mai ordinato alcun radicamento in Siria, alcun rapporto con gli oppositori. La Cia si limita quindi a tentare di impedire infiltrazioni di al Qaida, che però, come testimoniano i corrispondenti, hanno poco peso, perché in realtà la forza d’urto della rivoluzione siriana è tutta sulle spalle della popolazione, dei villaggi e delle città in rivolta in rivolta e della Free Syrian Army. D’altronde è ovvio e banale constatare che in una rivoluzione di popolo, è questa è quella siriana, l’unica rivoluzione araba reale, i terroristi abbiano spazio. Ma la partecipazione corale della popolazione siriana fa prevedere che - caduto Assad - tutto potranno fare i qaedsti, tranne influire sul nuovo governo. Sul terreno, si registra una enorme capacità di tenuta della popolazione ribelle ad Aleppo, dove ieri i disertori sono riusciti ad impadronirsi di un carro armato col quale hanno addirittura bombardato lo strategico aeroporto di Menagh, base operativa per gli elicotteri e i raid aerei contro i quartieri in mano ai rivoluzionari. La battaglia per il controllo di Aleppo si rivela così come cruciale e sintomatica di una drammatica - anche se lenta - perdita di terreno da parte delle feroci forze speciali guidate da Maher al Assad, fratello di Beshar.

La STAMPA - Domenico Quirico : " Nei vicoli di Aleppo macerie e cadaveri, ma i ribelli resistono"


Domenico Quirico, Aleppo

Il quartiere di Salah-Addin odia gli elicotteri. Aleppo, straziata dalla battaglia tra i soldati di Bashar Assad e i ribelli dell’Armata Libera, odia gli elicotteri, la Siria intera, che sogna di rinascere, odia gli elicotteri. Dopo essere stato in città ho capito perché.

Le guerre sono definite tanto dalle armi che sono impiegate quanto dalla natura di coloro che le combattono o dalle loro cause o storie. Ricevono una forma e una trama unica dall’arco e dai gas, dal carro armato e dal missile. L’elicottero, questo grosso insetto apparentemente pigro, panciuto, sgraziato, ronza su di te, sembra immobile e invece ti spia, ti fotografa, ti segue, non riesci, anche se corri e ti sposti, a eliminare quel ronzio, flap flap, scappi ed è sempre lì. L’aereo, il cannone, persino i katiuscia, colpiscono alla cieca, puoi sperare che non siano destinati a te i loro confetti d’acciaio, se ti nascondi puoi cavartela, l’elicottero ti sceglie, ti vuole, ti prende di mira come i cacciatori di razza. E ti uccide.

L’hanno maltrattato, con l’aiuto dei Sukhoi 25 e del cannone, SalahAddin, il quartiere di Saladino, il gran cavaliere che portò via i cristiani da Gerusalemme, arroccato attorno alla bella moschea dalla cupola verde smeraldo. Lo stanno smantellando pezzo per pezzo, con una feroce lobotomia. Bashar deve odiarli davvero i poveri sudditi di questo quartiere miserando, schiacciati a migliaia in un formicaio di strade strette e senza luce, in casermoni a cui tendaggi sudici, serrande di lamiera e di cartone, rialzi, soppalchi, dilatazioni hanno tolto qualsiasi riferimento ad un’epoca, a un’età. Sotto tutte le rivoluzioni, se gratti la sottile pelle degli slogan e dei proclami, sempre c’è lei, la miseria. Dopo quarant’anni di Assad, padre e figlio, solo se i siriani potessero nutrirsi di piombo e di polvere sarebbero ricchi. Li vuole morti perché gli resistono, perché sono indomiti, perché sono eroi. La leggenda di Salah-Addin è nata giorno dopo giorno, silenziosa e possente, l’hanno creata gli schiavi del tiranno. Quando ne pronunciano il nome in tutta Aleppo, anche nei quartieri dove le battaglie e le rovine sono grandi, hanno un groppo alla gola, tremano del rispetto che si usa quando si parla di morti leggendari. Davvero ogni minuto, ogni ora che si vive in queste strade è Storia.

Il grigio: ecco il primo colore di Aleppo rivoluzionaria; il grigio dei calcinacci e delle facciate di cemento, sottile, da poveri, che si sbriciola agli schiaffi del cannone. Per le strade cocci giganteschi di cemento e di ferro e pezzi di vetro mettono un tappeto scomodo che taglia le scarpe. Alcune case appaiono insaccate in se stesse, altre tagliate a fette, altre ancora come morsicate da un’enorme bocca feroce. La popolazione che ha preso le armi (qui si combatte prima di tutto per la casa, la strada, il vicolo, il quartiere è forse lì la fonte di questa misteriosa energia) ne ha fatto una trincea che resiste impavida da una settimana all’assalto. Abbiamo verificato quanto dice il regime, «Il quartiere è nostro, resistono solo i controfocolai»: è falso. E senza Salah-Addin cadranno gli altri quartieri liberi che fanno corona al centro alla cittadella tenuta da irregolari.

Seguiamo strutture scorticate con la precisione di un medico legale per rivelare quello che c’è sotto, stanze e rampe di scale, bagni e camere di bimbi con gli oggetti quotidiani, una carrozzina, stoviglie, fotografie, intimità di cento mille case messe alla vista, gettate in strada, i focolari degli uomini, impudicamente, sconciamente.

Se il cannone non tuona, l’unico rumore di Salah-Addin è quello dell’acqua: sì, l’acqua che cola dalle tubature distrutte, inonda le scale, viene a morire nella polvere della strada. Il primo morto, lungo, dinoccolato, a metà di una strada stretta dove lo ha fulminato la guerra, colto dal cecchino un attimo prima di agguantare lo spigolo salvatore. La faccia guarda verso le case distrutte, una veste lunga e sudicia come di fango, sangue coagulato che deve essersi versato abbondantemente dai visceri stracciati dalle pallottole. La decomposizione lo ha reso così magro che il vento potrebbe voltarlo. Altri quattro, tutti uomini, sono ammucchiati nell’androne di una casa: uno davanti vicino alla porta, le braccia aperte come in croce, gli altri dietro si decompongono lentamente l’uno nell’altro dove li ha falciati la mitraglia. «Sono stati i soldati di Bashar», mi dicono i ribelli. «Leggi qui sul muro, vicino alla porta una mano ha scritto una frase: “Questa è la fine che faranno tutti i traditori che vivono qui”».

Quando sono entrato la prima volta ad Aleppo sembrava una città in cui è passata come un aratro la guerra, un paese morto. Scoprirete che è vivo e già si muove. Le ultime bombe sono cadute da pochi minuti, ancora pezzi di facciata crollano come foglie secche, e poi piano piano la gente esce. Vengono fuori come formiche da un formicaio distrutto, parlano fitto di tutto, raccontano la loro rovina mentre raccolgono il poco rimasto per partire, profughi verso un altro quartiere meno toccato dai combattimenti, i camioncini motocarri barcollano, lenti e umili tra i pick-up dei guerrieri che tornano al loro lavoro, a battersi.

Aleppo si raggruma e si svuota ogni giorno a seconda dell’andamento della battaglia, tutti quelli che vogliono fuggire definitivamente, per lasciare la città. Sperano. Aspettano. Stanati dai loro alveari in rovina bivaccano all’ombra delle loro cose, tremano di paura tra i fragori della battaglia. Il cannone ridispiega la voce, il fragore di questo è violento, ora odi a due passi i colpi di partenza: Salah-Addin risuona come un barile vuoto, percosso, con i suoi colpi di inferno. I bambini piangono a bocca larga, senti il suono delle loro voci. Aleppo davvero brucia, è un solo rogo, ma di giovinezza, di energia, di rabbia.

La scuola vicina è diventata arsenale, dormitorio, infermeria, occupata dai combattenti. Sono loro che difendono il quartiere. Sono uomini diversi: mujaheddin, del giovane comandante Abu Bakri, studenti di economia del partito. Uno dice: «Ci sono duemila combattenti ad Aleppo, i jihadisti non sono più di 20-25. Fanno la guerra separata anche se collaborano con l’Armata libera. Le storie di Al Qaeda non ci interessano. E’ Bashar che vogliamo».

CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Le torture e le esecuzioni. Arriva l'ora delle vendette "


Lorenzo Cremonesi

ERIHA — Quanti sono i combattenti stranieri tra le file della rivolta in Siria? «Tra mille e duemila. Io personalmente ho incontrato alcune decine di volontari che arrivano da Libia e Arabia Saudita. Potrebbero esserci anche pachistani, magari egiziani. Ma io non ne ho mai visti. E nessuno me ne ha mai parlato». Dove sono concentrati? «La maggioranza in questo momento è ad Aleppo. Non mi stupirebbe che con il proseguire delle rivolte e la mancanza di aiuti dalla comunità internazionale ne arrivassero altri che si battono in nome dell'Islam e della guerra santa». Abu Al Muattaz è il comandante di una piccola brigata di 22 uomini inquadrata nelle «Sukkur Shams» (Aquile di Damasco), noti per le loro posizioni vicine al radicalismo religioso. È giovanissimo, solo 22 anni, ma ha già una lunga esperienza di guerra. Dal suo telefonino mostra i filmati dei primi scontri l'anno scorso nel centro di Eriha, quando ancora i militari lealisti pattugliavano quotidianamente il centro città e mantenevano due posti di blocco fissi presso la piazza principale e nella zona del mercato. La sua base è in una scuola elementare nel centro di Eriha: sui muri il simbolo dell'aquila con i colori della rivoluzione, sulle lavagne i versi del Corano.
Due giorni fa si è battuto come un leone contro la colonna corazzata lealista che stava attraversando la città per dirigersi verso Aleppo. Lui sostiene che sono stati distrutti almeno 12 mezzi corazzati, tra cui 5 tank, su un totale di circa 40. In un filmato lo si vede appostato sul tetto di un palazzo mentre spara da una vecchia mitragliatrice pesante smontata da un carro armato bruciato urlando «Allah Akbar». I suoi uomini lo seguono anche perché non si risparmia mai, sta sempre in prima fila, anche quando ritirarsi sarebbe la cosa migliore, anche quando gli elicotteri sparano i loro razzi da 3.000 metri d'altezza e i guerriglieri non possono fare nulla con le loro armi leggere. «Ogni proiettile di Kalashnikov ci costa due dollari. Quello di un Rpg anti-tank oltre 1.000. Per noi sono troppo cari. Dobbiamo risparmiare a costo di perdere uomini», spiega. Anche per questo evitano di attaccare due postazioni di cecchini lealisti alla periferia della città e non sparano mai a raffica. «Dovremmo sparare almeno una decina di bombe per prendere quelle maledette postazioni, che invece è necessario tenere per i casi più importanti. Preferiamo utilizzarle contro i tank che vanno verso Aleppo». Oggi le loro riserve di munizioni sono al lumicino. Gli elicotteri nel cielo preannunciano il passaggio di una seconda colonna corazzata. Ma loro preferiscono limitare gli attacchi. Saranno le brigate ribelli nei villaggi della regione di Idlib a fare il lavoro più importante.
Da Damasco giungono le notizie della ripresa degli scontri. Pare che i ribelli confermino la morte di 70 dei loro. Ma la notizia positiva per loro è che il fronte dei combattimenti nella capitale resta aperto. Il nuovo stallo nella battaglia di Aleppo e l'incapacità dell'esercito di penetrare nella città in tempi brevi come aveva promesso sembra tra l'altro testimoniare la capacità di tenuta della rivoluzione.
I guerriglieri di Eriha sono invece impegnati in scontri limitati con le pattuglie lealiste nei vicini villaggi di Nachleina e Kafarnaj. Vorrebbero allontanare la presenza nemica. A Nachleina i loro informatori avevano avvisato quattro giorni fa dell'irruzione nemica imminente. Tutti i circa 3.000 abitanti erano fuggiti, tranne il benzinaio e l'imam. I soldati hanno fucilato sul posto il benzinaio e arrestato l'imam, che poi hanno liberato in serata. Occhio per occhio: i ribelli di Eriha gioiscono nell'apprendere che i loro compagni ad Aleppo hanno appena fucilato davanti alla porta di casa Zenio Berri, capo della famigerata Shabiha (i miliziani civili pro-Assad) locale. La stessa brigata avrebbe invece rapito il fratello del mufti di Aleppo, Achmad Hassoun, altro noto collaborazionista. La logica della vendetta resta imperante. Tra i cinque guerriglieri che oggi dovrebbero accompagnarmi fuori dal cerchio dell'assedio di Eriha tre in passato sono stati catturati e torturati dai militari assieme alla Shabiha. Uno di loro, Abdel Salam Omad, 23 anni, è stato per molti mesi nelle loro celle. Ha il corpo letteralmente coperto di larghe cicatrici, specie sullo stomaco, spalle, braccia e gambe. «Ci torturano con le lamette da barba. Puniscono per farci paura, sperano di intimorirci. Ci tolgono la pelle e ci lasciano sanguinare per giorni. Quando le ferite tendono a rimarginarsi, riprendono a spellarci con le lamette». Disprezzano un regime che ai loro occhi ha perso qualsiasi legittimità. Con loro la logica del terrore non funziona evidentemente più. In lontananza si odono bombardamenti pesanti. Forse sparano i tank, forse i cannoncini degli elicotteri. Sorridono mentre puliscono le loro armi. Ieri hanno catturato un fucile ad alta precisione per i cecchini e ora si divertono a guardare le postazioni nemiche dal cannocchiale. Tra i comandanti gira voce che dalla Turchia potrebbero arrivare presto nuove armi, forse anche qualche missile antiaereo (si parla di un primo invio di 17 missili). Ripetono di continuo i ribelli di Eriha: «Non esiste proprio che la dittatura possa riprendere il controllo delle nostre vite. La sua sconfitta è inevitabile. Siamo disposti ad aspettare. Ma ogni giorno che passa la fine di Assad è sempre più vicina».
Abu Al Muattaz promette che non ci saranno vendette indiscriminate quando le brigate della rivoluzione arriveranno finalmente alla vittoria. «Daremo la caccia ai nostri aguzzini. Vogliamo processare e fucilare chi ha assassinato civili innocenti», spiega. «L'Islam cerca giustizia, non vendetta. Risparmieremo i loro bambini, anche se loro hanno ucciso i nostri. Ma ovviamente tanti di loro dovranno morire».

Per inviare la propria opinione a Giornale, Libero, Stampa e Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti


segreteria@ilgiornale.it
lettere@liberoquotidiano.it
lettere@lastampa.it
lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT