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Il Giornale-La Stampa Rassegna Stampa
25.06.2012 Egitto: Nirenstein, Quirico, Parsi
Tre commenti per capire la risposta italiana all'elezione di Mohammed Morsi

Testata:Il Giornale-La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstein-Domenico Quirico-Vittorio E.Parsi
Titolo: «Un incubo, ma almeno non è la guerra civile-Morsi, il fratello che mescola credo dell'islam e libero mercato-Evitato lo scrontro frontale»

I nostri lettori seguono con attenzione gli accadimenti mediorientali, questo ci consente di evitare le cronache. Per questo riprendiamo nella pagina sulla proclamazione di Mohammed Morsi a presidente dell'Egitto tre commenti, che ci paiono indicativi della reazione dei media nostrani.


Fiamma Nirenstein, mette in evidenza tutti i pericoli legati alla indubbia vittoria dei Fratelli Musulmani. La sua analisi è lucida come sempre, peccato che il titolo tenda a smorzarne il contenuto. Con l'elezione di Morsi, l'Egitto entra definitivamente nella sfera di influenza iraniana, come si può capire dal nome di el Baradei tornato alla ribalta. La sharia come forma di governo, anche se abilmente tenuta in ombra per il momento, è l'ideologia teocratica che cancellerà ogni residuo di speranza in un futuro non dittatoriale per  il mondo arabo-musulmano. Una realtà da incubo che Fiamma Nirenstein descrive con precisione.


Domenico Quirico, pur con qualche concessione alla linea del giornale su cui scrive, traccia un ritratto del " Fratello Musulmano" vincente tale da lasciare poco spazio alle fantasie politicamente corrette di gran parte dei commenti di oggi sui media italiani. Che hanno dimenticato le idee di cambiamento che avevano animato la prima piazza Taharir, sostituite dal fanatismo di coloro che osannavano ieri, nella stessa piazza, la vittoria dei Fratelli Musulmani.


Vittorio Emanuele Parsi, leggendo il suo commento, ci siamo chiesti che cosa avrebbe scritto se avesse dovuto commentare l'elezione a Cancelliere della Germania nel 1933 di Adolf Hitler. "Evitato lo scontro frontale" è il titolo del suo editoriale sulla STAMPA di oggi in prima pagina, tutto l'articolo è un inno alla vittoria del candidato dei Fratelli Musulmani. L'opinione pubblica occidentale era cieca di fronte alla vittoria 'democratica' di Hitler, lo è oggi di fronte alla vittoria di un canditato teocratico nelle 'democratiche' elezioni egiziane.

L'opinione di informazione corretta è espressa da Ugo Volli nella sua cartolina di oggi in altra pagina.


Ecco i tre commenti:

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Un incubo, ma almeno non è la guerra civile"

Il giudice Faruk Sultan ha parlato un’ora ai notabili egiziani e alla stampa prima di ri­velare il nome del vincitore delle elezioni presidenziali mentre la piazza bolliva: con la sua cravatta e i suoi baffi bianchi, col tono di voce educato e profondo, pronunciava una ninna nanna istituzionale per rendere la folla malleabile, per convincerla del risul­tato delle elezioni presidenziali. Cercava di convincere i sostenitori del perdente a ac­cettare il terremoto, una marea di gente di­sillusa e molti anche spaventati dall’avven­to di un nuovo mondo islamista, forse una prigione peggiore di quella di Mubarak. Lo devono aver pensato anche in tanti che ave­vano tenuto per i Fratelli musulmani, se Mohammed Morsi ha vinto per così poco, la metà dei voti più un punto. Il paese è spacca­to in due, l’Egitto entra in un periodo di pas­saggio in cui l’esercito, sostenuto dai laici, giocherà ancora molte carte per contenere la potentissima marea islamica contro cui già nei giorni scorsi invano e con gesto dispe­rato ha lanciato una specie di colpo di stato militare cancellando la vittoria parlamenta­re della Fratellanza. Il robusto corpo creato­si durante il trentennio di Mubarak do­vrà ora tentare la strada del com­promesso, l’islamismo politico è il padrone di casa. Non na­scondiamocelo: con l’elezio­ni di Morsi il mondo intero vede inverarsi un incubo. Non c’è dubbio che i ragazzi della rivoluzione che hanno incantato l’Occidente non c’entrano niente con i fanatici barbuti; la Fratellanza che sa trave­stirsi da moderata quando le serve, è tut­tavia la madre di gran parte della violenza che invade il mondo, e ha dato al mondo i peggiori terroristi, fra cui Bin Laden.
I Fratelli musulmani sono stati molto abi­li: all’inizio della «Primavera» hanno scelto un tono casuale, un basso profilo. Ci siamo accorti di loro soltanto quando hanno deci­so di mostrarsi in tutto il loro potere, hanno conquistato nel marzo 2011 la maggioranza in parlamento, nel luglio dello stesso anno hanno fatto loro piazza Tahrir buttando fuo­ri ( letteralmente)i laici.Il tentativo dei mili­tari di controll­are l’Egitto usando la decisio­ne della Corte suprema di escludere dal par­lamento un terzo degli eletti non durerà. Morsi nel suo nuovo ruolo potrà probabil­mente reintegrare i suoi membri del parla­mento, controllerà la scrittura della Costitu­zione da completare, spingendo verso un’islamizzazione: un presidente islami­sta, un parlamento islamista, una costituzio­ne islamista... Con tutta la sua abilità tattica la Fratellanza farà dell’Egitto ciò che vuole, a meno di un colpo di stato militare. Ambe­due le cose escludono gli scopi della rivolu­zione del febbraio 2011.
Ottantasette milioni di persone saranno soggette a un potere che certamente non ri­velerà la sua ideologia immediatamente fi­no alla guerra contro Israele, essendo biso­gnoso dell’aiuto occidentale e cauto nella gestione del potere. Ma nel lungo termine la strategia dell’islam politico è disegnata, già Hamas lancia su Israele cento missili in po­chi giorni. Così, il Paese da tanti anni in bili­co fra occidente e mondo arabo, che ha man­tenuto la pace con Israele, che ha tenuto a bada Al Qaeda nel deserto del Sinai, che ha contenuto Hamas per tanti anni e ha impe­dito così all’Iran di diventare una potenza re­gionale oltre la Siria e il Libano, non è più se stesso.Qualcuno ieri rideva al Cairo invitan­do a bere l’ultima birra prima dell’annuncio della vittoria di Morsi:l’alcol è proibito dalla sharia, come lo sono tanti altri usi occidenta­li, fra cui quello di considerare le donne co­me pari, di rispettare tutte le religioni, le idee, le tendenze sessuali. La vittoria di Mor­si forse evita un enorme spargimento di san­gue: altro di buono non riusciamo a vedere né per il Medio Oriente, né per noi che rispet­tiamo le donne, i diritti umani, gli omoses­suali, gli ebrei, i cristiani, i buddisti...

La Stampa-Domenico Quirico: " Morsi, il fratello che mescola credo dell'islam e libero mercato "

Mohammed Morsi è un uomo senza spigoli, senza angoli, dal mite volto domestico, vive nell’armonia di un mondo in cui lotte per noi titaniche neppure turbano il silenzio. La sua serenità regna su quei confini del cuore e della ragione dove non penetra nessuno spirito che non sia islamico, la sola ideologia capace di tener testa a tutte le mode. L’Egitto, invece, è un Paese di superstiti. Ciascuno viaggia con un suo incubo nel bagaglio, con una funesta memoria da cancellare. Ma una barba non spaventa nessuno, è quella di un buon zio arrivato dall’America con le tasche piene di caramelle. Devoto, devotissimo, per carità, ma nessuno potrebbe immaginarlo partigiano di un dio inesorabile, inveire contro i miscredenti, zuppificare anatemi, pestiferare jihad. In America è andato davvero, a specializzarsi nella sua laurea in ingegneria. La permanenza in quel paese di crociati o miscredenti, detentori di una malefica potenza, non sembrano davvero averlo contagiato. Ne è uscito purissimo, fortificato, ed è tornato a fare il suo dovere di bravo egiziano a fianco dei Fratelli, attento a non allontanarsi mai dalla linea zigzagante tracciata dai pontefici del partito. Il suo slogan elettorale - «L’Islam è la soluzione» - certo non lo ha escogitato negli anni in cui è stato assistant professor all’università di California.

È stato in galera sotto Mubarak; ovviamente, verrebbe voglia di dire. Come se quel passaggio non fosse che una inevitabile casella della sua biografia politicamente correttissima per i tempi che dicono Nuovi. I tempi della rivoluzione (fatta da altri) e del potere. Non ci rimane che cercarlo nelle sue promesse: se ce lo nascondono è forse perché lo contengono. La sua ideologia, a quel che raccontano, sembra un sacco rigonfio, da cui può trarre ogni volta qualcosa per accontentare i dubbi e le paure degli osservatori più diversi, occidentali e folli di dio, miliardari e senzatutto. Adora il libero mercato e questo manda in estasi gli americani ( il semplice fatto che abbia studiato negli Stati Uniti oltreoceano rende qualsiasi biografia accettabile fino a prova contraria). Ma ha già garantito di voler porre un argine alla dipendenza dell’Egitto da Washington, grottesca eredità dell’era Mubarak.

Lo tenta l’estensione di «alcuni principi» della sharia nel sistema giuridico egiziano. Ma, per carità!, non vuole una teocrazia che violi i diritti delle altre religioni come i copti. Vuol aiutare i palestinesi nella loro lotta sacrosanta; ma alla Cnn ha assicurato di voler rispettare la pace con Israele «se Israele la rispetterà».

Intende lottare contro l’inflazione e al Fondo monetario lo guarderanno con gli occhi dolci. Ma il progetto di aumentare la tassazione del due per cento per aiutare gli egiziani poveri non appare certo contagiata da pruriti rivoluzionari.

Morsi è un candidato di riserva, una seconda scelta dopo che il leader dei Fratelli El Shater è stato eliminato dal veto della commissione elettorale e dei militari. Spesso i sostituti sono più determinati, brutali e tenaci dei predestinati. Piano piano, come un altro costruirebbe un prodigioso orologio, cominciano a montare il proprio successo. È un debole che odia la debolezza, la sua e quella del suo Paese. Che ha rifiutato di cedere, rispetto all’Occidente, alla vertigine del vinto, ubriacato dall’odore del suo vincitore, che gli bacia i ginocchi con un vergognoso slancio di amore. Come Sadat e Mubarak. In fondo l’Egitto, ai tempi di Nasser, ha inventato la tattica di non riconoscersi sconfitto anche quando lo era.

Morsi assomiglia alla confraternita cui appartiene, opaca settaria sfuggente: movimento di massa e organizzazione segreta clandestina, i cui componenti praticano la dissimulazione e la contraddizione, alcuni vestiti all’occidentale, altri con il caffetano, alcuni rasati altri con la barba assira dei fondamentalisti, c’è chi stringe la mano alle donne e chi volge loro la schiena come fossero il demonio. Discuti con Fratelli che ti sorprendono per modernità, mentre altri sembrano caricature dell’ottusità e del fanatismo. La confraternita che dopo quasi un secolo di battaglie e di repressione ha conquistato il potere mescola militanti che si sforzano di essere islamici e democratici, credono che la sharia sia incompatibile con la modernità, e leggono Fahmi Huwaydi, passati dalla sinistra all’islamismo, con altri che vogliono cambiare radicalmente il presente che odiano, sradicare la mala pianta dei peccatori e degli empi cui attribuiscono la colpa di tutti i mali della società.
La maggioranza appartiene probabilmente a un tipo intermedio dove, nel polverone, si acquattano piccoli uomini dai cento sotterfugi e dalle mille vanità e bugie, falsamente rigorosi, segretamente lascivi. Di cui Morsi è il prototipo e il simbolo. Di un soggetto Morsi non ha mai parlato: i militari. Saggia prudenza: è con il loro accordo che è diventato presidente.

La Stampa-Vittorio Emanuele Parsi: " Evitato lo scrontro frontale "

L'elezione democratica di Adolf Hitler a Cancelliere nel 1933, la 'grande giornata', come titolava la STAMPA di quell'anno.

L’ Egitto ha finalmente il suo presidente. Il primo eletto per davvero in tutta la storia della Repubblica. Solo all’inizio dello scorso anno nessuno avrebbe potuto prevedere che il successore di Hosni Mubarak non sarebbe stato suo figlio, ma un esponente dei Fratelli Musulmani. Nelle settimane successive alla caduta del raìs, in febbraio, sarebbe stato altrettanto impossibile immaginare una situazione come l’attuale: con i due soggetti politici «forti» del Paese (la Fratellanza e l’Esercito) impegnati in una partita tattica ma senza esclusioni di colpi, intenti a disporre le proprie pedine sul campo, per neutralizzare il vantaggio che gli avversari possono aver ottenuto. Se c’è un risultato che la rivoluzione egiziana ha conseguito, questo è stato il produrre e distruggere i possibili scenari futuri quasi senza soluzione di continuità, a testimonianza di come il risveglio del mondo arabo non sia un fuoco di paglia destinato a sfumare rapidamente.

La mobilitazione di piazza Tahrir durante tutta la scorsa settimana è stato il monito che i Fratelli Musulmani hanno voluto lanciare ai militari, affinché fosse chiaro che non si sarebbero lasciati scippare anche della vittoria alle presidenziali dai generali. E infatti i loro leader hanno già annunciato che i militanti continueranno ad occupare la piazza fino a quando la «dichiarazione costituzionale» che delega ai militari il potere legislativo sino alle elezioni del prossimo Parlamento non verrà revocata. Il popolo di questa piazza Tahrir è molto diverso da quello che per primo ha innescato la rivoluzione: meno giovani di Twitter, meno donne, molti barbuti. È un segnale chiaro che siamo entrati in una seconda fase rivoluzionaria in cui gli attori capaci di mobilitare le masse sono sostanzialmente due: i Fratelli Musulmani e i Salafiti. Le Forze Armate, dal canto loro, con il ritardo nella proclamazione dei risultati, hanno mandato il loro avvertimento agli islamisti: non vogliono andare allo scontro frontale, ma non sono certo disposti a perdere la loro capacità di condizionare chiunque “regni” al Cairo. Nel frattempo, tanto per evitare il rischio di essere fraintesi, la Corte Suprema ha sciolto il Parlamento per illegittimità e il Consiglio supremo delle Forze Armate ha appunto avocato a sé il potere legislativo.

La partita sarà ancora lunga e ricca di colpi di scena, c’è da starne certi. In termini rugbistici, potremmo dire che Esercito e Fratellanza hanno deciso di riorganizzarsi e giocare una seconda fase, ognuno conscio e preoccupato della forza della squadra nemica. Lo scenario di una cooperazione «obbligata» tra loro, che pure per qualche mese era parsa una soluzione possibile, è tra quelli sfumati in queste settimane. Mentre resta aperta l’opzione di una collaborazione tra i Fratelli Musulmani e i partiti liberali, entrambi accomunati dalla legittimazione elettorale e dalla volontà di chiudere la lunga esperienza dell’interferenza militare nella vita politica del Paese, che peraltro risale ai primi decenni del XIX secolo, e dall’interesse comune a ridurre lo spazio a disposizione dei Salafiti.

Sono molte le specificità nazionali che stanno influenzando l’esito della rivoluzione egiziana, dunque. Ma allo stesso tempo essa fa emergere due protagonisti assoluti della fase storica che i Paesi arabi stanno attraversando: i partiti islamisti e le Forze Armate, dove i primi rappresentano il cambiamento e i secondi la continuità. In passato, sono stati proprio i militari gli attori della modernizzazione negli Anni 50 del secolo scorso. Sono loro, oggi, che costituiscono il freno principale, il maggiore ostacolo, a quel processo di rinnovamento del sistema politico (e del suo rapporto con la società) che con tutte le loro pericolose contraddizioni i partiti islamisti comunque rappresentano. Per questi ultimi, la sfida decisiva sarà quella di resistere alle sirene della radicalizzazione, che proprio la “resistenza”, l’attrito, del potere militare potrebbe risvegliare. Vedremo se Mohamed Morsi si rivelerà uno stratega sufficientemente attento, capace di guardarsi tanto dalle insidie dei militari, quanto da quelle dei Salafiti, ai quali una “radicalizzazione controllata” del quadro politico potrebbe non dispiacere, proprio in vista delle nuove elezioni legislative che dovrebbero tenersi nell’arco dei prossimi sei mesi. Sempre che non subentrino nuovi rinvii.

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