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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio - Il Manifesto Rassegna Stampa
13.03.2012 150 razzi dalla Striscia contro Israele in 4 giorni
Israele ha il diritto e il dovere di difendersi. Per Michele Giorgio, invece, dovrebbe lasciarsi bombardare

Testata:Il Foglio - Il Manifesto
Autore: Redazione del Foglio - Michele Giorgio
Titolo: «Israele sott’attacco dei razzi da Gaza. Hamas ha un guaio con i suoi alleati - Mirati o indiscriminati: omicidi»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 13/03/2012, a pag. 4, l'articolo dal titolo "Israele sott’attacco dei razzi da Gaza. Hamas ha un guaio con i suoi alleati". Dal MANIFESTO, a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Mirati o indiscriminati: omicidi ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - "Israele sott’attacco dei razzi da Gaza. Hamas ha un guaio con i suoi alleati"


Hamas

Roma. Centocinquanta razzi in quattro giorni dalla Striscia di Gaza contro Israele (uno è finito a Gedera, a quaranta chilometri da Tel Aviv), quattordici mini strike dell’esercito di Israele contro le basi da cui partono i missili, un bambino palestinese ucciso venerdì (forse anche uno ieri, con suo padre, ma non ci sono conferme), due leader del terrorismo palestinese uccisi, di cui uno ricercatissimo, altri venti morti e cinquanta feriti, tre errori di Iron Dome, l’avveniristica cupola antimissili ideata dal governo di Gerusalemme. La guerra dei palestinesi contro Israele è ricominciata (non è mai finita, come si sa, ma si è raggiunto un nuovo picco), ma il copione non è tragicamente lo stesso. Da un lato c’è Iron Dome, che è uno dei sistemi più avanzati del mondo, costosissimo ma preciso: dipende dal “gruppo 167”, l’élite di militari israeliani che protegge il cielo d’Israele, di stanza nella base di Palmachim e guidato dal colonnello Shachar Shochat (il gruppo ha anche il controllo dei missili a lunga gittata Arrow, pronti in caso di conflitto con gli iraniani). L’esercito dirama i bollettini ufficiali dei razzi intercettati, che sono soltanto una parte di quelli lanciati: Iron Dome costa tanto, secondo le stime 50 mila dollari a razzo intercettato, quindi entra in funzione soltanto quando, calcolando traiettoria e gittata, il missile è destinato a colpire target sensibili. In quattro giorni, la “cupola” ha intercettato trentasette razzi, ma tre sono sfuggiti al sistema – uno è finito su una scuola, che era vuota, perché intanto duecentomila studenti israeliani non sono andati a scuola a causa della nuova crisi. L’esercito ha diffuso un codice di condotta per i civili sotto attacco, la gente s’arrangia come può. Ci dice Adriana Katz, psichiatra che vive ad Ashkelon e che cura le vittime dei missili: “Stanotte ci siamo riparati sotto le scale di casa”. In uno dei raid di Israele è stato ucciso Zuheir Qaisi, il segretario dei Comitati di resistenza popolare, il gruppo armato che spesso agisce in sintonia con Hamas pur disponendo di una leadership separata. Decisiva in questa ultima tornata di violenze è stata la presenza di terroristi rilasciati in cambio del soldato israeliano Gilad Shalit. In Cisgiordania quattro palestinesi scarcerati sono stati di nuovo arrestati per terrorismo e un braccio destro di Qaisi scambiato da Israele è rimasto ucciso nell’operazione mirata. Gerusalemme ha affermato che Qaisi aveva anche “progettato, finanziato e diretto” un cruento attentato lanciato dal Sinai egiziano in territorio israeliano tipo quello dello scorso agosto. Il Jihad islamico è il regista di questi quattro giorni di guerra, come spesso è accaduto in passato, ma il legame con Hamas, questa volta, non è chiaro. La leadership di Hamas vive nell’incertezza: da un lato c’è il sogno di uno stato palestinese, portato avanti dal rais Abu Mazen all’Onu. Hamas non ha mai creduto a questa strada diplomatica – riconoscere uno stato palestinese significa, implicitamente, riconoscere anche lo stato ebraico – ma ha siglato di recente un altro patto con Fatah, di non belligeranza. In più c’è stata la migrazione della leadership di Hamas da Damasco al Cairo, che non è avvenuta senza scossoni: la Siria non è più luogo sicuro, evidentemente, ma allo stesso tempo il cambio di residenza ha portato a un cambio di alleanze. Secondo le fonti dell’inglese Guardian, Hamas ha “lasciato” l’Iran ed è tornato tra le braccia della Fratellanza musulmana, che non aveva mai del tutto abbandonato ma che erano ben meno generose di quelle iraniane. In un medio oriente tanto in subbuglio, il passaggio è molto importante: significa stare con quelli che vogliono il regime change in Siria. Con tutta probabilità, la situazione non è così netta, ma in questa fase di transizione Hamas preferirebbe non aumentare la tensione. Ma se facesse pressioni sul Jihad islamico, finirebbe per passare per “collaborazionista”, se non con Israele con “quelli di Fatah”. Un dato certo c’è: i razzi di produzione iraniana, i Fajr, ora sono in mano al Jihad islamico.

Il MANIFESTO - Michele Giorgio : "Mirati o indiscriminati: omicidi "


Michele Giorgio

Come al solito a Michele Giorgio non interessano le potenziali vittime israeliane.
La miglior risposta al suo farneticante articolo, è nella Cartolina da Eurabia di Ugo Volli di questa mattina http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=43754.
Israele ha il diritto e il dovere di garantire la sicurezza dei propri cittadini, anche quando significa colpire terroristi di Hamas. Colpire terroristi e impedire loro di compiere stragi di civili innocenti rientra nei criteri della legalità internazionale.
Ecco il pezzo:

«Colpiremo chiunque intenda colpire i nostri cittadini... la forza dei nostri cittadini e le nostre capacità offensive e difensive ci permettono di agire in maniera precisa». L’avvertimento lanciato dal premier israeliano Netanyahu ha trovato per tutto il giorno di ieri conferme sul terreno. Una ondata di raid aerei si è abbattuta su Gaza facendo anche vittime civili. A Beit Lahiya un missile ha ucciso l’anziano Muhammad al-Hasoumi e sua figlia Alia; a Sudaniyeh l’esplosione di un altro missile ha dilaniato Nayef Qarmout, un 15enne che giocava con i suoi compagni di classe davanti alla scuola (Israele però nega un suo coinvolgimento). Qualche ora prima, vicino Khan Yunis, invece erano stati fatti a pezzi da un razzo aria-terra due militanti del Jihad Islami. In poche ore il bilancio dei quattro giorni di bombardamenti israeliani è salito a 23 morti. Decine i feriti, tra i quali anche donne e bambini, in gran parte vittime di attacchi aerei alla periferia del campo profughi di Jabaliya. Per il portavoce militare i cacciabombardieri a Jabaliya avrebbero colpito un deposito di armi mai palestinesi denunciato danni a due edifici civili. La reazione dei gruppi armati palestinesi ieri si è intensificata e non è bastato il sistema di difesa «Iron Dome» a fermare i razzi diretti verso le regioni meridionali di Israele. Due razzi hanno colpito Gedera, a sud di Tel Aviv, l’obiettivo più lontano raggiunto sino ad oggi da un Grad sparato da Gaza. Un razzo ha centrato e danneggiato un edificio di Ashdod causando il ferimento leggero di una donna. Altri razzi sono caduti in campo aperto nelNeghev costringendo le autorità locali a tenere chiuse le scuole e decine dimigliaia di persone sono rimaste per ore tra casa e i rifugi. Jihad islami e i Comitati di resistenza popolare hanno annunciato che non accetteranno il cessate il fuoco sino a quando proseguiranno i bombardamenti israeliani e hanno esortato le altre fazioni palestinesi «ad unirsi alla lotta», in evidente riferimento adHamas.Di fronte al bombardamento di Gaza, il movimento islamico, che controlla Gaza, sta tenendo una posizione di basso profilo, in linea con le sue recenti scelte «moderate », che non pochi trovano ambigue. Il governo di Hamas allo stesso tempo ha inviato una delegazione al Cairo incaricata di cooperare con i mediatori egiziani nella ricerca di un accordo di cessate il fuoco.Ma non ha ottenuto molto. Secondo il deputato islamista Younis al-Astal, l’Egitto avrebbe offerto di aumantare le forniture di carburante alla Striscia di Gaza, in cambio della fine dei lanci di razzi. Ieri sono giunte le dichiarazioni rituali di varie parti internazionali che non cambiano nulla sul terreno, a cominciare dal blocco israeliano di Gaza che va avanti dal 2007, da quando Hamas ha preso il potere. «Israele e le milizie palestinesi di Gaza dovrebbero astenersi da «azioni provocatorie», recita lo sterile comunicato diffuso dal Quartetto per il Medio Oriente (Russia, Usa, Onu e Ue). «Grave preoccupazione » ha espresso il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, inquieto per il prezzo che stanno pagando i civili. Da parte sua il segretario di stato Usa Hillary Clinton ha condannato «nei termini più duri il lancio di razzi da Gaza » e ha esortato «entrambe le parti a compiere ogni sforzo per ristabilire la calma». Poco prima una portavoce dell’amministrazione Obama aveva dato pieno sostegno al «diritto all’auto-difesa di Israele». Governi occidentali e buona parte media internazionali continuano a ripetere che l’escalation è la conseguenza dei lanci di razzi. Eppure gli stessi giornali israeliani riferiscono che la tregua è saltata in seguito alla decisione del governo Netanyahu di «eliminare», venerdì scorso, ZuhairQaisi, il segretario dei Comitati di resistenza popolare, accusato di aver organizzato l’attacco dello scorso agosto, via Sinai, nei pressi di Eilat in cui furono uccise otto persone, tra cui diversi soldati (in quell’occasione Israele lanciò una rappresaglia che costò la vita a 14 palestinesi). Sul Jerusalem Post Yaakov Katz ha scritto che quando le forze armate e governo hanno dato luce verde all’assassinio «mirato» di Qaisi, conoscevano bene le conseguenze e stimavano in un centinaio di razzi al giorno la reazione palestinese, quindi sopportabile. In altre parole Israele sapeva che ci sarebbe stata una rappresaglia. Ma ha agito ugualmente perché, spiega Katz, occorre «falciare il prato» quando si ha a che fare con il «terrorismo», ossia bisogna rafforzare la propria «capacità di deterrenza » e rinviare la prossima tornata di violenza il più a lungo possibile. Salvo poi innescarla proprio a causa delle «esecuzioni mirate», come ha spiegato Gideon Levy su Haaretz. Le autorità politiche e militari israeliane approvano gli «omicidi mirati» di palestinesi ogni volta che possono, senza curarsi di ciò che comporta, usando come pretesto l’urgenza di impedire attentati.

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