giovedi` 25 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Il Giornale - Corriere della Sera - La Repubblica - La Stampa Rassegna Stampa
12.09.2011 Egitto, i Fratelli Musulmani contro Israele mentre Erdogan è in visita al Cairo
analisi di Vittorio Dan Segre. Cronache di Fabio Scuto, Francesco Battistini. Intervista a Benny Morris di Francesca Paci

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera - La Repubblica - La Stampa
Autore: Vittorio Dan Segre - Francesco Battistini - Fabio Scuto - Francesca Paci
Titolo: «Che autogol per i ribelli la sfida armata a Israele - 'Rivedere gli accordi Egitto-Israele', l´offensiva dei Fratelli Musulmani - Erdogan al Cairo. Un nuovo asse per isolare Israele - Lo Stato ebraico è solo il primo bersaglio»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 12/09/2011, a pag. 10, l'articolo di Vittorio Dan Segre dal titolo " Che autogol per i ribelli la sfida armata a Israele ". Da REPUBBLICA, a pag. 18, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo " 'Rivedere gli accordi Egitto-Israele', l´offensiva dei Fratelli Musulmani ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 18, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Erdogan al Cairo. Un nuovo asse per isolare Israele ". Dalla STAMPA, a pag. 5, l'intervista di Francesca Paci a Benny Morris dal titolo " Lo Stato ebraico è solo il primo bersaglio ".
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Vittorio Dan Segre : " Che autogol per i ribelli la sfida armata a Israele "


Vittorio Dan Segre

Il 3 gennaio 1919 il presidente dell’Organizzazione sionista Weizmann e l’Emiro Feizal, leader della rivolta araba contro i turchi, futuro re di Siria e poi di Irak, firmavano un’intesa in cui nel preambolo si diceva che arabi e sionisti avrebbero osservato la «più stretta collaborazione» per lo sviluppo dello stato arabo e «della Palestina», favorendo l’immigrazione degli ebrei in essa (art.I) e fissando le frontiere col negoziato. Il trattato - inattuato a seguito della cacciata di Feizal da Damasco per mano francese - resta l’alternativa morale, storicamente giusta ed economicamente valida per la soluzione della grande crisi medio orientale testimoniata dalle rivolte e contro rivolte arabe attuali. Questa alternativa è stata rifiutata da più di 90 anni dalle dirigenze arabe. È stata da loro fatta interiorizzare alle masse affamate e oppresse.
Il sionismo trasformato da potenziale alleato modernizzatore in simbolico nemico, ha permesso a dirigenze corrotte e incompetenti di restare al potere aiutate delle grandi potenze interessate allo sfruttamento delle ricchezze energetiche e al controllo strategico della regione. L’assalto all’ambasciata di Israele al Cairo rilancia il ruolo di capro espiatorio di Israele per una parte dei rivoluzionari. Ancora di più serve alle due potenze regionali - Turchia e Iran - nel loro concorrenziale gioco di controllo sul mondo arabo islamico, nel grande vuoto lasciato dall’America.
Il modello dell’ebreo capro espiatorio è vecchio da secoli, sviluppato prima nella cultura cristiana, poi in quelle nazionaliste, marxiste e terzomondiste.
Ma Israele con tutti i suoi difetti, non è un capro espiatorio. È il solo modello riuscito di democrazia medio orientale (con l’80% di popolazione di origine orientale o indigena) che ha raggiunto un livello di netta superiorità finanziaria, militare, tecnologica sui suoi avversari indeboliti militarmente ed economicamente tanto dalla rivolta araba quanto da tensioni interne etniche e religiose (curdi in Turchia, Verdi in Iran, sunniti e shiti).
La situazione non piacevole ma non sfavorevole per Israele. Si adatta alla mentalità di riccio della coalizione governativa anche se nemica di iniziative politiche costruttrici.
Tanto più che questa politica coincide con un fortunato momento di espansione di investimenti esteri (il solo paese che nel corso della crisi ha visto aumentare da Standard &Poor's il suo rating internazionale) e di scoperta di grossi giacimenti di gas sottomarino.
L’altra alternativa, quella dello scontro militare, sarebbe catastrofica per gli assalitori. Cadendo una volta di più vittime delle proprie ambizioni e eccitazioni ripeterebbero (questa volta forse con la Turchia) l’errore di sfidare militarmente Israele.
Se c’è una volontà condivisa in quel piccolo paese è di non accettare il ruolo di capro espiratorio e ancor meno quello accecato di Sansone.

La REPUBBLICA - Fabio Scuto : " 'Rivedere gli accordi Egitto-Israele', l´offensiva dei Fratelli Musulmani "


Fratelli Musulmani

IL CAIRO - Cova come un fuoco greco, un misto di risentimento, rabbia, orgoglio ritrovato, insofferenza e delusione sette mesi dopo la caduta di Hosni Mubarak, l´ultimo Faraone d´Egitto. Una miscela esplosiva che mette insieme le richieste "interne" - libertà, democrazia e i leader del vecchio regime da processare quanto prima per i loro crimini – e quelle "esterne": una politica estera degna di questo nome, la revisione di accordi diplomatici stretti negli anni passati, un sistema di alleanze più confacente alla nuova realtà nata dalla rivoluzione di gennaio. La rabbia e le violenze esplose nella notte di venerdì culminate nell´assalto all´ambasciata israeliana ne sono la dimostrazione più evidente. Ha un bel dire oggi il ministro dell´Informazione Osama Heikal che quell´assalto «è stato un atto criminale che nulla a che vedere con la rivoluzione di gennaio», resta il fatto certo che fino alla telefonata della Casa Bianca al capo della Giunta militare che governa il Paese, l´esercito non aveva mosso un dito per fermare la folla armata di arieti, spranghe e bombe molotov.
Di quella battaglia restano i rottami delle auto incendiate nelle strade attorno la sede diplomatica israeliana che nessuno ha ancora rimosso, simboleggiano bene qual è lo stato dei rapporti fra Egitto e Israele, rovine fumanti. Giunta militare e governo egiziano continuano a ripetere che l´accordo di pace del 1979 con Israele «non è in discussione» ma certo mostra il segno dei tempi. Lo dicono chiaramente quelli che rappresentano al momento la forza politica meglio organizzata che gode di vasto sostegno fra gli egiziani: i Fratelli Musulmani. Ieri dalla palazzina di quattro piani che ospita il loro quartier generale nella capitale è uscito un comunicato che invita, sollecita, addita quell´accordo di pace come non più realistico.
Il partito della libertà e della Giustizia – l´emanazione politica della Fratellanza – chiede che sia fatta una «seria revisione delle relazioni con Israele», fermata la vendita del gas e denuncia la "stretta sulla sicurezza" annunciata dal governo dopo l´assalto all´ambasciata israeliana. Le "leggi di emergenza" in vigore da trent´anni – di cui la piazza chiede l´abolizione – sono viste da tutte le forze politiche egiziane come il tentativo della Giunta di rallentare quel processo di democratizzazione che ha portato alla caduta di Mubarak. «Israele deve ricevere un messaggio chiaro», sostengono i Fratelli musulmani, «e capire che l´Egitto è cambiato, che tutta la regione nel suo insieme sta rapidamente cambiando e non c´è più posto per l´arroganza subita in questi anni».
A Gerusalemme domina un tono di scoraggiamento. Il premier Benjamin Netanyahu promette l´impegno per favorire la distensione. Ma il suo ministro della Difesa Ehud Barak parla di «Israele isolato» e chiede «consultazioni urgenti» per superare la crisi. Turchia e Egitto, due ex alleati strategici di Israele, stanno unendo le loro risorse, rinsaldando rapporti che si erano sfilacciati negli anni. La Turchia emerge come un "modello", i Paesi arabi hanno finora guardato alla crescita economica e all´influenza della democrazia turca con un misto di fascino e trepidazione. E il premier turco, l´islamico moderato Recep Tayyip Erdogan, inizia oggi in Egitto un giro in Medio Oriente che lo porterà anche in Tunisia e Libia. Un banco di prova per le ambizioni di Ankara di diventare il motore politico trainante del mondo musulmano. Stamani il primo appuntamento per Erdogan sarà all´Università dove terrà un discorso agli studenti – e sarà certamente un bagno di folla – prima degli incontri politici con il maresciallo Tantawi, capo della Giunta militare, e il suo premier Essam Ashraf. Poi martedì mattina parlerà per la prima volta ai ministri degli Esteri della Lega Araba. E certamente non saranno parole concilianti.

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Erdogan al Cairo. Un nuovo asse per isolare Israele "


Recep Erdogan

IL CAIRO — Atterra Erdogan e atterrisce Israele. In un Egitto fumante dell'assedio di venerdì notte all'ambasciata, con gli zabbalin che ancora non hanno spazzato i vetri frantumati sul marciapiede, il premier turco arriva oggi carico di soldi, di ministri e di consigli per i nuovi leader egiziani. Primo suggerimento: mollare definitivamente gl'israeliani. Erdogan parlerà all'università da cui Obama parlò al Medio Oriente. Andrà alla Lega araba, solido e ormai solitario leader musulmano fra le poltrone rovesciate o traballanti dei vari Gheddafi, Mubarak, Ben Ali, Assad. Firmerà investimenti e accordi per dare al nuovo Cairo più commercio, più telefonia, più cultura, più sport. Poi ripartirà per Tunisi e Tripoli, l'unico a fare un simile tour fra le capitali della primavera araba, e pure a quelle nuove democrazie porterà nuove lire e una nuova proposta: la sua leadership mediorientale, la riedizione d'un nasserismo in salsa turca.
Un po' di Pil, un po' di Corano, un po' di democrazia: la ricetta di Erdogan da queste parti affascina. È la stessa che nel 2002 consentì ad Ankara di fare una silenziosa rivoluzione musulmana, in uno Stato che sta (stava?) sotto l'ombrello occidentale.
Tutti i candidati alla presidenza egiziana, lo stesso maresciallo Tantawi succeduto a Mubarak, citano spesso come un modello la transizione turca dei primi anni 80, quando la giunta militare lasciò il posto a libere elezioni e a un benessere economico che garantisse stabilità. Erdogan lo sa, e questo viene a dire: «C'è un crescente isolamento d'Israele nella regione», spiega il suo ministro Davutoglu, e per placare le piazze turboislamiche cosa c'è di meglio che creare un nuovo asse economico Egitto-Turchia, stramaledicendo il nemico sionista? I primi passi sono stati fatti, in queste settimane, col viavai d'ambasciatori degradati, richiamati, fuggiti fra Ankara, Tel Aviv e il Cairo. Anche se il governo egiziano preferisce una linea prudente: a Netanyahu sono arrivate le scuse ufficiali, per l'assalto di venerdì, e bisogna pur sempre fare i conti con Washington.
Mamma lo turco. La tournée araba, propagandata con l'annuncio (smentito) d'una clamorosa visita a Gaza, copre in realtà interessi concreti. «La Turchia ha appena perso due alleati strategici come l'Iran e la Siria — analizza l'ex ambasciatore israeliano Alon Liel, che resse la sede di Ankara — e ha fretta di trovarsene un altro nella regione. All'Egitto può offrire tanti soldi e subito, senza passare per il ricatto economico degli americani. E intanto, se strilla contro Israele, diventa un eroe delle masse arabe: disinnesca i musulmani radicali, che sotto sotto teme, e costruisce un'area d'islamismo politico più soft». Comunque sia, l'obiettivo immediato ed evidente di Erdogan resta l'isolamento diplomatico di Netanyahu, che quest'ultimo comincia a soffrire: ne è la prova un possibile aiuto militare ai ribelli curdi del Pkk, che il governo israeliano ha paventato nei giorni scorsi. O l'altolà che da Gerusalemme è stato lanciato ieri, a proposito dell'intenzione di Ankara di volere «controllare il Mediterraneo orientale, perché siamo lo Stato più grande che vi s'affaccia», e di fornire «scorte navali armate» alle prossime flottiglie di pacifisti dirette su Gaza. «Dei pacifisti, a Erdogan non importa nulla — dice un viceministro israeliano — quel che l'infastidisce, è l'enorme giacimento sottomarino di gas appena scoperto, che Israele e Cipro intendono sfruttare nei prossimi anni. Vuole metterci le mani. O impedire che ce le mettano altri».

La STAMPA - Francesca Paci : " Lo Stato ebraico è solo il primo bersaglio "


Benny Morris

Sarà lo spettro dell’11 settembre, ma l’aeroporto di Tel Aviv è eccezionalmente deserto. Colpa del timore di un attentato «commemorativo»? Benny Morris, il maggiore storico israeliano, ci legge piuttosto la metafora dell’isolamento in cui si sente chiuso il Paese. Un punto di svolta, involutivo.

I media israeliani hanno scomodato la leggendaria battaglia di Masada per descrivere l’accerchiamento d’Israele. È d’accordo?

«Il paragone con Masada è forse un po’ estremo ma il principio è corretto. Dagli Anni 70 il mondo arabo vede la crescita di correnti islamiste e antisemite. La cosiddetta primavera araba ha accelerato questo processo, il cui risultato sarà la presa del potere da parte degli islamisti a cominciare dall’Egitto, il principale partner d’Israele fino a oggi e il maggior attore regionale. Gli altri Paesi, dalla Giordania alla Siria, seguiranno il Cairo, con buona pace dei sogni democratici».

È dunque allarme rosso nei rapporti con l’Egitto?

«Temo di sì. L’assalto alla nostra ambasciataal Cairo è una pietra miliare che segna la strada in discesa iniziata ad agosto quando, a dispetto delle cinque guardie di frontiera uccise imputateci oggi dagli egiziani, a essere attaccato fu Israele. Gli islamisti sono in ascesa e il trattato di pace del 1979, vecchia fissazione dei Fratelli Musulmani, è a rischio non appena il potere degli estremisti passerà dalle piazze ai palazzi».

Crede davvero che Camp David sarà presto carta straccia?

«Vorrei essere ottimista ma prevale il realismo. Il trattato di pace non durerà, la prossima scossa sarà il riconoscimento dei palestinesi all’Onu. Per Camp David è questione di mesi».

La primavera araba si sta rivelando l’inverno israeliano?

«È peggio: la primavera araba, che preferisco chiamare rivolta araba, sarà l’inverno dell’Occidente. La speranza che si trattasse di una richiesta di democrazia appare sempre più la pia illusione di illuminate menti occidentali. Ci odiano tutti e Israele è solo il primo bersaglio della lista. Quando ci troveremo di fronte i nuovi regimi islamici rimpiangeremo quelli precedenti».

Eppure alla caduta di Mubarak piazza Tahrir era piena di giovani liberal. Non concede proprio alcuna chance agli arabi democratici?

«È vero, i liberali hanno guidato le rivolte di Tunisi e del Cairo. Ma in entrambi i casi si tratta di una minoranza. La gran parte della popolazione egiziana, come in tutto il mondo arabo, è conservatrice e fortemente religiosa».

Il premier turco è al Cairo. Anche Ankara abbandona Israele?

«È un processo graduale. Di certo il premier turco sta provando a cavalcare l’avanzata degli islamisti».

La liaison fra Israele e Turchia farà la fine di Camp David?

«La Turchia è un ottimo partner commerciale per Israele ma non so cosa accadrà in futuro».

Che cosa succederà quando i palestinesi interpelleranno l’Onu?

«Il problema si porrà a ottobre, quando l’Assemblea delle Nazioni Unite voterà la loro richiesta di riconoscimento. Può darsi che il Consiglio di Sicurezza ponga uno stop con il veto degli Stati Uniti».

Teme una terza Intifada?

«Non so se il risultato sarà proprio un’Intifada ma dopo il voto dell’Assemblea Onu vedremo molta violenza nei territori palestinesi. I terroristi spareranno e Israele risponderà».

Per inviare la propria opinione a Giornale, Repubblica, Corriere della Sera e Stampa, cliccare sulle e-mail sottostanti


segreteria@ilgiornale.it
lettere@corriere.it
rubrica.lettere@repubblica.it
lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT