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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.01.2011 Tunisia, evitare che il potere finisca nelle mani degli islamisti
commento di Vittorio Emanuele Parsi. Intervista a Rachid Ghannouchi di Luigi Ferrarella, Viviana Mazza

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Vittorio Emanuele Parsi - Luigi Ferrarella - Viviana Mazza
Titolo: «Tunisia, la rivoluzione fragile nel mirino degli estremisti - Anche noi musulmani vogliamo la democrazia»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 21/01/2011, a pag. 31, l'articolo di Vittorio Emanuele Parsi dal titolo " Tunisia, la rivoluzione fragile nel mirino degli estremisti ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 19, l'intervista di Luigi Ferrarella e Viviana Mazza a Rachid Ghannouchi dal titolo " Anche noi musulmani vogliamo la democrazia ", preceduta dal nostro commento.

Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere l'analisi di Mordechai Kedar, pubblicata in altra pagina della rassegna.

Ecco i pezzi:

La STAMPA - Vittorio Emanuele Parsi : " Tunisia, la rivoluzione fragile nel mirino degli estremisti "


Vittorio Emanuele Parsi

Auna settimana dalla caduta del presidente Ben Alì, la prima riunione del nuovo governo presieduto da Mohammad Gannounchi ha ancora una volta messo in evidenza tutta la fragilità della situazione politica tunisina. La fuga del dittatore e della sua famiglia non sembra aver soddisfatto l'opinione pubblica, che si aspettava un più deciso segnale di cambiamento: ovvero la fine del regime e la messa fuori gioco dell'Rcd - il partito di Ben Alì - dalle cui file provengono tanto l'attuale premier quanto il presidente ad interim Foued Mebazaa. Sia l'uno sia l'altro si sono, tardivamente, dimessi dal partito, imitati da quei ministri che erano nelle loro medesime condizioni. Ma c'è molta incertezza circa il fatto che questo debole esecutivo possa durare, oltretutto considerando che cinque dei suoi membri lo hanno abbandonato prima ancora della riunione inaugurale di ieri.

La situazione, insomma, è particolarmente confusa. La partenza di Ben Alì è giunta per molti aspetti tanto repentina quanto inattesa, lasciando il Paese in una situazione di totale vuoto di potere per alcune ore, decisive affinché la protesta scavalcasse i suoi stessi obiettivi iniziali e si facesse più audace nei suoi pur confusi e mutevoli obiettivi. Soprattutto, ha reso impossibile che i militari svolgessero quella funzione di leadership della transizione che molti auspicavano per poter riportare sotto controllo la situazione. Tali aspettative, peraltro, erano probabilmente malriposte ed eccessive. Contrariamente a quanto vale per la confinante Algeria, infatti, l'indipendenza tunisina non è stata il frutto di una sanguinosa ed estenuante guerra di liberazione nazionale, e ciò ha impedito che le Forze Armate potessero svolgere un ruolo politico preponderante o godere di un prestigio sociale particolare.

Dal punto di vista simbolico, la scelta dell’attuale premier rappresenta una rottura persino inferiore a quella del menscevico Kerensky nella rivoluzione russa 1917. Ricorda piuttosto i timidi e tardivi tentativi di autoriforma dell’autocrazia zarista tra il febbraio e l'agosto di quell'anno fatale. È pertanto qualcosa di molto insoddisfacente rispetto alle attese dell'opinione pubblica che vorrebbe semplicemente farla finita con tutto l'apparato, corrotto, del potere di ben Alì e dell'Rdc. Di fronte a tanta insoddisfazione, quello che per ora evita il tracollo del regime è che alla debolezza di governo ed esercito fa da riscontro la debolezza degli altri soggetti politici: partiti dell'opposizione e sindacati sono stati o collusi o troppo a lungo assenti dalla scena per poter essere significativamente rappresentativi o per costituire una minoranza organizzata in grado di prendere il controllo. In questo contrapporsi di fragilità a debolezze, il rischio vero è che i gruppi radicali islamisti possono trovare un crescente spazio di manovra: non in virtù del loro seguito popolare - ancora piuttosto basso in Tunisia, forse il più laico tra i Paesi del Maghreb - ma per la loro disciplina organizzativa. Difficile che spunti un Khomeini tunisino o che la Tunisia possa diventare una repubblica islamica; ma plausibile che si profili uno scenario di instabilità e radicalizzazione endemiche, grazie anche all'enormità dei problemi economici sul tappeto (a iniziare dalla disoccupazione giovanile) che non sono certo stati risolti o attenuati dalla fuga del tiranno. Anzi, ancorché le nuove autorità tunisine abbiano sostanzialmente escluso purghe e «denazificazioni» (l'esperienza irachena almeno qualcosa lo ha insegnato), la capacità amministrativa della macchina burocratica pubblica (ovviamente legata a filo doppio all'Rdc) si allenterà, come avviene in qualunque fase rivoluzionaria.

Sarebbe una prospettiva da incubo per il Nord Africa, e non a caso le autorità algerine sono estremamente preoccupate delle possibili «infiltrazioni» dalla Tunisia, in maniera analoga a quanto paventavano le autorità coloniali francesi in Algeri oltre sessanta anni fa. Ma già ora, quello che sta accadendo oltre il Canale di Sicilia mette anche penosamente in luce tutta la debolezza e la difficoltà europea a giocare un ruolo propositivo e d'anticipo persino nei confronti di un vicino tanto strategico quanto di ridotte dimensioni com'è la Tunisia.

CORRIERE della SERA - Luigi Ferrarella, Viviana Mazza : " Anche noi musulmani vogliamo la democrazia "

Ghannouchi si definisce con queste parole : "  l’esempio più vicino al mio pensiero è il partito Akp al potere in Turchia. Molti dei miei libri sono stati tradotti in turco e hanno influenzato l’Akp ". Come se la sua somiglianza con Recep Erdogan fosse un fattore positivo...ne sarà entusiasta Sergio Romano, il quale vede in maniera positiva la Turchia e la sua trasformazione islamista resa possbile da Erdogan.
Ecco l'intervista:


Rachid Ghannouchi

Il leader del partito islamista tunisino An-Nahda (Rinascita), bandito da Ben Ali all’inizio degli Anni 90, si prepara a tornare in Tunisia dall’esilio a Londra dopo la caduta dell’ex presidente. E c’è chi teme che si ripeta ciò che accadde in Iran nel 1979, quando Khomeini tornò dall’esilio dopo la fuga dello Scià e, dapprima collaborò con le altre forze politiche, ma presto monopolizzò il potere. «Io non sono Khomeini. Noi non siamo ecclesiastici, la Tunisia non è l’Iran, e non la penso come Khomeini — replica al telefono il 69enne Rachid Ghannouchi —. Forse l’esempio più vicino al mio pensiero è il partito Akp al potere in Turchia. Molti dei miei libri sono stati tradotti in turco e hanno influenzato l’Akp. Io non ho ambizioni politiche, non voglio essere presidente né ministro. Non ho l’età adatta. Ci sono leader più giovani nel partito An-Nahda. Desidero tornare nel mio Paese, dal quale sono in esilio da 22 anni, e aiutare a ricostruirlo, secondo un modello democratico, a livello intellettuale e sociale» . Il premier ad interim Ghannouchi (nessuna parentela) afferma che lei «non potrà rientrare in Tunisia senza una legge di amnistia» che annulli la condanna all’ergastolo del 1991. «Tornerò presto, mi sto occupando degli ultimi preparativi. Considero illegittime le sentenze emanate dal regime. E se mi arrestassero, sarebbe la prova che nulla è cambiato» . Come vede la situazione politica attuale in Tunisia? «La grande rivoluzione tunisina ha rovesciato il più spietato dittatore della regione, e questo popolo coraggioso e intelligente continua a scuotere le vestigia della dittatura per stabilire una vera democrazia, senza vendette e senza versare sangue. Nemmeno un poliziotto è morto, sono morti i manifestanti. E’ un popolo pacifico, che trova oltraggioso che l’attuale governo sia guidato dal braccio destro di Ben Ali che conferma d’essere in contatto con lui. Il dittatore se n’è andato ma la dittatura è ancora in vigore; avrà fine solo quando il sistema non includerà più personaggi del vecchio regime, ma figure indipendenti e rispettabili alla guida di un governo di transizione che segua la stesura di una costituzione democratica basata sulla divisione dei poteri, e che aiuti a passare da un sistema presidenziale ad una democrazia parlamentare pluralista che rispetti tutte le libertà» . Che ruolo vede per i l partito An-Nahda? «Non vogliamo monopolizzare il potere. Per noi il modello più adatto è un governo di coalizione simile al sistema italiano. In alcuni circoli islamici fummo criticati come "secolari". Quando fondammo il movimento nel 1981, fummo i primi ad argomentare che la democrazia può essere incorporata in un quadro islamico. Un giornalista mi chiese: "E se il popolo eleggesse i comunisti?". Risposi che rispetterò il volere del popolo, anche se alle elezioni cercheremo di convincerlo che c’è una scelta migliore. An-Nahda è fatta di uomini e donne di opinioni diverse: non di un mucchio di ecclesiastici, ma di ingegneri, dottori, professori... E crediamo nell’uguaglianza tra uomini e donne, prevista dalla legge tunisina e giustificata nella nostra interpretazione islamica» . Perché secondo voi un partito islamico è la scelta migliore? «Ogni partito pensa d’essere la scelta migliore. Abbiamo convinzioni democratiche comuni con i nostri alleati laici. Divulgheremo una dichiarazione con i partiti d’opposizione, la società civile e i sindacati: chiediamo un governo di salvezza nazionale che escluda i membri del partito destituito Rcd e rifletta la società. Forse ciò che ci distingue è che ci esprimiamo in un linguaggio legato alla tradizione culturale» . La visione di Al Qaeda non rischia di imporsi in Tunisia? «L’interpretazione estremista dell’Islam di Al Qaeda è emersa quando siamo stati esiliati, nel vuoto spirituale e religioso, anche se è aliena alla società tunisina. Credo che il nostro ritorno aiuterà a incanalare le energie spirituali verso un Islam che cerca di costruire anziché di distruggere» . La Tunisia può «contagiare» l’Egitto, l’Algeria, altri Paesi? «Dovranno trovare la loro strada. In Tunisia il regime è sopravvissuto grazie al deplorevole appoggio straniero. Ben Ali ha avuto premi per i diritti umani da università italiane, da associazioni per i diritti umani italiane, per non parlare dei media e dell’appoggio economico. Abbiamo forti legami storici con l’Italia e spero che la Tunisia riceva rispetto e aiuto perché possa godere della democrazia proprio come voi. L’Europa dell’Est è cambiata, come pure alcune Paesi africani e dell’America Latina. Perché noi dobbiamo rimanere fermi? Anche noi musulmani vogliamo vivere nella democrazia» . Quale sarà la prima cosa che farà tornato in patria? «Andrò a pregare sulle tombe di coloro che sono stati assassinati da Ben Ali. E andrò a El Hamma, nel sud della Tunisia, dove sono nato. Avevo sei fratelli e sorelle, me n’è rimasta una sola, ottantenne. E poi darò il mio contributo al Paese come intellettuale. Lo Stato non può risolvere tutti i problemi di una società talmente devastata» .

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