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La Stampa-L'Unità Rassegna Stampa
11.12.2010 Ecco come opera la disinformazione su Israele
negli articoli di Paola Caridi e Moni Ovadia

Testata:La Stampa-L'Unità
Autore: Paola Caridi-Moni Ovadia
Titolo: «I rabbini d'Israele ' Non affittate ai palestinesi'-Il rabbino razzista»

Oggi, 11/12/2010, soltanto la STAMPA e l'UNITA' riprendono, amplificandola, la dichiarazuione dei 50 rabbini sulla vendita/affitto di case ai non ebrei in Israele.
Sul quotidiano torinese, Paola Caridi, ormai specializzata nel dare dello stato ebraico la visione più negativa possibile, invece di sottolineare come praticamente tutto il paese, governo in testa, abbia rifiutato la decisione dei 50 rabbini, riprende la notizia, la amplifica e la collega alla situazione abitativa della capitale.
Aggiunge, riteniamo volutamente, altrimenti dovremmo dire che non sa di che cosa scrive, il problema della disputa sulla proprietà delle case (nel quartiere di Sheikh Jarrah, principalmente). I palestinesi che lasciarono lo Stato di Israele appena fondato nel 1948, in obbedienza all'ordine dei governi arabi che pensavano di poterlo distruggere in pochi giorni, e che quindi lasciarono Israele per loro scelta, non hanno nulla a che vedere con la richiesta di restituzione da parte degli ebrei che furono espulsi dalle loro case quando la parte orientale della capitale finì in mano giordana nel '48. Quella sì fu un'espulsione, per cui parlare di restituzione ai legittimi proprietari ha un senso.
Moni Ovadia è un caso a parte. Riprendiamo il suo pezzo perchè indicativo del pregiudizio che contraddistingue chi ragiona come lui. Per metà articolo se la prende con Netanyahu, che invece è stato il primo a definire la richiesta dei rabbini in termini durissimi. Per Ovadia Israele ha sempre torto, questa la centralità della sua visione di Israele.
Ecco gli artcoli: 

La Stampa-Paola Caridi: " I rabbini d'Israele ' Non affittate ai palestinesi'


Paola Caridi

 "Bufera in Israele contro la lettera di martedì scorso firmata da oltre cinquanta rabbini, con la quale si proibisce dal «punto di vista religioso» l’affitto o la vendita di case e terre ai non ebrei. Un divieto che riguarda, in primis, la forte minoranza palestinese in Israele, circa il 20 per cento della popolazione. Dopo l’alzata di scudi di intellettuali e associazioni, anche il mondo politico e giudiziario ha preso posizione.

«Questo tipo di discorsi dovrebbero essere banditi in uno Stato ebraico e democratico», ha detto il premier Benjamin Netanyahu seguito dal presidente Shimon Peres, che ha parlato di «una crisi morale e di fondo, legata all’essenza stessa del Paese». Contro i 50 rabbini, accusati di razzismo, sono soprattutto coloro che hanno vissuto le persecuzioni. I sopravvissuti alla Shoah, con Noah Flug, presidente dell’associazione internazionale, e i dirigenti del Museo dell’Olocausto, lo Yad Vashem di Gerusalemme. In molti chiedono sanzioni, e il procuratore generale Yehuda Weinstein ha già fatto sapere che avvierà un’indagine penale e disciplinare. I rabbini, infatti, rivestono posizioni importanti in ambito comunale. Molti sono dipendenti pubblici che esercitano le loro prerogative in città importanti di Israele, dal Nord sino a Eilat.

I religiosi divisi sul «veto» La proibizione di affittare case agli arabi era partita dal rabbino capo di Safed, città nel Nord di Israele. Il rabbino Shmuel Elyahu aveva chiesto di non affittare appartamenti ai palestinesi che studiano nel college della città considerata la capitale della cabala. Da allora è stato un crescendo sino alla lettera dei 50 religiosi cui se ne sono aggiunti giovedì altri 200. La lettera ha comunque spaccato la comunità religiosa. L’ala nazionalista sostiene il «veto» alla vendita di case ai non ebrei; mentre, notava il quotidiano Haaretz, i rabbini ashkenaziti (di origine occidentale) sostengono che quel testo vada respinto con fermezza. In Israele arabi e ebrei generalmente non abitano nello stesso quartiere, ma vivono in comunità omogenee, una accanto all’altra. La radicalizzazione delle posizioni ha però cambiato queste regole non scritte. Soprattutto a Gerusalemme dove era norma non andare a vivere in quartieri abitati dagli «altri». Ma soprattutto la spinta dei coloni a reclamare case all’interno dei quartieri di Gerusalemme Est a poca distanza da Betlemme ha innescato una pericolosa battaglia immobiliare.

La colonia in bancarotta È il caso di quanto sta accadendo nella colonia di Nof Zion, zona residenziale destinata a ebrei osservanti, in costruzione accanto a uno dei quartieri palestinesi più popolosi, Jabal al Mukabber. La Digal, la società immobiliare che sta edificando Nof Zion, è sull’orlo della bancarotta. E sull’insediamento ora gravano le ipoteche bancarie. Lo studio dell’avvocato Dov Weissglas – un tempo consigliere di Ariel Sharon - ha inoltrato un’offerta alla Digal di 36 milioni di shekel – l’equivalente di circa 10 milioni di dollari – per acquistare il 99% delle azioni della società. Mittente della proposta, una società registrata a Cipro, la Techsal Trading Ltd, dietro la quale – ha svelato l’agenzia israeliana Globes – si celerebbe un uomo d’affari palestinese con passaporto israeliano. Se fosse vero, vorrebbe dire che i palestinesi hanno deciso di intervenire a Gerusalemme Est, ricomprando la terra. Immediata la reazione dei circoli vicini ai coloni che subito si sono messi in caccia di un compratore ebreo per Nof Zion. Caccia andata in apparenza a buon fine visto che una società, la Be’emunah, sarebbe disposta a fare un’offerta superiore

La partita su Gerusalemme La partita su Gerusalemme si comincia dunque a giocare con strumenti diversi dal passato. Da una parte, ci sono le associazioni dei coloni radicali che acquisiscono proprietà nel cuore della Gerusalemme araba. Dall’altra, i palestinesi cominciano a rilanciare in un modo inusuale: investendo nei progetti immobiliari (israeliani) di Gerusalemme Est. E poi, nei circoli palestinesi gira la voce che si stiano preparando cause per riottenere legalmente quelle proprietà a Gerusalemme Ovest – e sono tante, nelle zone più pregiate della città – che sino al 1948 appartenevano alle famiglie palestinesi più importanti.

L'Unità-Moni Ovadia: " Il rabbino razzista"


Moni Ovadia

Il razzismo è una patologia e una peste sociale da cui nessuno è immune. Lo testimonia una recente insorgenza del morbo che ha scosso la società israeliana e ha fatto grande scandalo. La vicenda è questa: alcuni rabbini che ricoprono cariche ufficiali in municipalità dello Stato d’Israele, di concerto, hanno emesso una raccomandazione a tutti i cittadini israeliani ebrei sollecitandoli a non affittare o vendere case a non ebrei, e nella fattispecie il non ebreo è quasi sempre il palestinese. Questi rabbini si sono espressi dall’alto della loro autorità religiosa e “morale” e con il conforto dello stipendio pagato loro, in quanto funzionari pubblici, dal contribuente israeliano. Questa specie di fathwa rabbinica ha provocato reazioni molto dure di condanna anche in esponenti del governo e del mondo religioso. Persino il premier Nethanyau ha condannato il pronunciamento delirante dei rabbini razzisti chiedendo loro di immaginare cosa accadrebbe se qualche antisemita, in un qualsiasi luogo del mondo, avesse raccomandato ai cittadini di quel luogo di non affittare case agli ebrei. La pronta indignazione del sensibile Bibi è commovente ameperò fa venire il voltastomaco, il suo tasso di ipocrisia supera la soglia di guardia della decenza. Chi ha contribuito a creare, fomentare e nutrire la deriva razzista e xenofoba di cui il pronunciamento dei rabbini fanatici è solo il volto sincero. Di quale governo è ministro degli Esteri l’ultranazionalista reazionario e fascistoide Liebermann? Chi ha condannato i palestinesi a diventare cittadini di seconda classe espropriandoli giorno dopo giorno delle loro terre e della loro vita con la violenza dell'occupazione e del colonialismo? Bibi ci risparmi almeno la pagliacciata della sua indignazione.

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