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Corriere della Sera - Il Foglio - Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
20.04.2010 Emergency: l'ospedale resta chiuso e i tre italiani tornano a casa tra le polemiche
Cronache e commenti di Lorenzo Cremonesi, Annalena, Gian Micalessin, Francesco Grignetti

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio - Il Giornale - La Stampa
Autore: Lorenzo Cremonesi - Annalena - Gian Micalessin - Francesco Grignetti
Titolo: «I tre di Emergency tornano con un volo civile - Torsello è l’unico ex ostaggio senza sindrome di Stoccolma e senza amore per Gino Strada - Il caso di Emergency: i tre liberati e 'ingrati' ora tornano in Italia - Se noi vi liberiamo non vi fate più vedere»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/04/2010, a pag. 16, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " I tre di Emergency tornano con un volo civile". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Annalena dal titolo " Torsello è l’unico ex ostaggio senza sindrome di Stoccolma e senza amore per Gino Strada ". Dal GIORNALE, a pag. 3, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " Il caso di Emergency: i tre liberati e 'ingrati' ora tornano in Italia ". Dalla STAMPA, a pag. 9, l'articolo di Francesco Grignetti dal titolo " Se noi vi liberiamo non vi fate più vedere  ". Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " I tre di Emergency tornano con un volo civile "

KABUL — «Avevamo prove schiaccianti contro Emergency. Peccato siano state inquinate per trovare un accordo a Kabul». Così, ieri sera al telefono da Lashkar Gah, Ghoulab Mangal, il governatore della provincia di Helmand, che secondo le accuse ancora tutte da provare e mostrare pubblicamente avrebbe dovuto essere assassinato nei locali dell’ospedale italiano. «Non sono contento del rilascio dei tre italiani. Ma mi attengo alle decisioni delle nostre autorità centrali. E, se occorre, sono anche pronto a collaborare con Emergency. Però su un piano diverso, con regole nuove». Parole che danno il senso della difficoltà di un eventuale ritorno di Emergency a Lashkar Gah. Il 13 aprile, al momento della chiusura dell’ospedale dopo l’arresto tre giorni prima degli italiani, il governatore si era rifiutato di riceverci nel suo ufficio nella capitale di Helmand. Lui restava il principale accusatore degli italiani.

Adesso però è diverso. I media locali sono già distratti: la Loya Jirga (la grande assemblea dei capi tribali), che avrebbe dovuto tenersi il 2 maggio per discutere soprattutto della crisi nei rapporti con Nato-Isaf e delle elezioni parlamentari del prossimo settembre, è stata rinviata a dopo la visita di Hamid Karzai a Washington il 12 maggio. Sul fronte della questione Emergency invece questa mattina Marco Garatti, Matteo dell’Aira e Matteo Pagani Bonaiuti con l’inviato della Farnesina, ambasciatore Attilio Iannucci, dovrebbero prendere un volo di linea da Kabul alla volta di Dubai, per poi atterrare a Roma nel pomeriggio.

Dunque Mangal si sente più libero di parlare. «Sono ben consapevole del ruolo dell’ospedale di Emergency. La nostra è una regione in guerra. Il lavoro dei suoi medici e infermieri è fondamentale — dice —. Ma noi abbiamo le prove che tra il personale, nei locali dell’ospedale, si sono svolte attività eversive e persino c’è chi ha collaborato al rapimento del giornalista Daniele Mastrogiacomo», commenta. Dicendosi tuttavia pronto a «non opporsi» nel caso l’organizzazione italiana dovesse tornare. «Occorrerà mettersi d’accordo soprattutto per istituire un miglior controllo alle porte di accesso».

L’eventualità della riapertura dell’ospedale è stata evocata ieri mattina anche da Sayd Ansari, portavoce della Direzione nazionale della sicurezza (Nds), i potenti servizi segreti. «L’inchiesta in corso ha scagionato i tre italiani e cinque dei sei loro collaboratori afghani arrestati. Ora sta alla direzione di Emergency decidere che fare per il futuro del centro di Lashkar Gah. Noi non ci opporremo ad alcuna loro scelta», spiega.

Una piccola polemica tutta italiana si è invece sviluppata ieri mattina, quando alcune fonti avevano riportato che la scelta dei tre operatori liberati di non prendere il volo speciale offerto dal governo per riportarli a casa era dettata da considerazioni di «opportunità politica». La cosa però è stata subito smentita dalle parti in causa. «L’aereo messo gentilmente a disposizione dal governo doveva portare il sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, a Herat. E sarebbe arrivato a Roma più tardi del volo di linea. Per motivi solo pratici si è dunque scelto il primo», fa sapere Maso Notarianni, portavoce di Emergency a Milano. E dall’ambasciata di Kabul si fa notare che lo stesso Iannucci «volerà con i tre rilasciati».

il FOGLIO - Annalena : " Torsello è l’unico ex ostaggio senza sindrome di Stoccolma e senza amore per Gino Strada "

Gabriele Torsello, fotoreporter, fu rapito in Afghanistan quattro anni fa, su un autobus afghano, vestito da afghano, con una barba afghana e molta partecipazione emotiva verso “i popoli in lotta per la libertà”. Aveva con sé il Corano, era amato dai talebani, che lanciarono un appello per la sua liberazione, conosceva Emergency (e con la mediazione di Emergency venne infine liberato, dopo un mese di prigionia dentro un buco nero, con la catena alle caviglie e una lattina per ogni necessità). Quando tornano a casa, gli ostaggi della guerra conservano a lungo una specie di fascinazione per i propri carcerieri, faticano a vestirsi da occidentali, tendono ad ammirare il coraggio e il rapporto carnale con le armi dei talebani e sono sempre follemente innamorati di Gino Strada, indiscutibile eroe e, nei loro casi, liberatore (“a Emergency posso soltanto dire: grazie”, ha detto Daniele Mastrogiacomo in un’intervista all’Unità). Gli ex rapiti scrivono libri, sono dispiaciuti di tornare in Italia (“Lo vivo come un esilio, come un’emigrazione forzata”, disse Simona Torretta), sperano di poter rimettere presto piede nel luogo del sequestro, “ci manca così tanto”, sono felici di aver ricevuto in dono l’esegesi del Corano in dodici volumi, ringraziano “tutte le comunità musulmane” e la “gentilezza e premura” dei carcerieri, si scordano di Enzo Baldoni e di Fabrizio Quattrocchi, chiedono il ritiro delle truppe, restano malinconici e non abbastanza grati al governo che li ha salvati. Gabriele Torsello ha rovesciato questo misterioso cliché e si è trasformato in un occidentale (non si sa però se indossi ancora, per le strade di Londra, la tunica bianca). In un’intervista alla Stampa di ieri ha detto che Gino Strada dovrebbe spiegare molte cose, e che “la storia che l’ospedale di Lashkargah dia fastidio è ridicola. Bisogna ricordare che la missione di Emergency in Afghanistan è curare i feriti e non informare il mondo su cosa accade nel paese”. Torsello contesta la partigianeria politica di Gino Strada e giudica irresponsabile il suo atteggiamento di allora, quando parlò del riscatto pagato per liberarlo (“pubblicità al prezzo dell’ostaggio”). “Va bene criticare la guerra, ma non nel contesto in cui operano loro”. Quattro anni fa Torsello sembrava un simpatico fricchettone peace and love che se l’era vista brutta (e salire su un autobus afghano, nel 2004, non era stato proprio un colpo di genio), adesso dice: “Appena sento i cosiddetti pacifisti mi viene da ridere. Come si fa a pensare che basti il ritiro dei soldati occidentali per portare la pace in Afghanistan? Parlare di pace è facile, ma allora cominci Gino Strada chiarendo la situazione”. Dice perfino che non è mai più tornato in Afghanistan perché “non mi sembrerebbe giusto”. E stavolta, ma si scherza, Gino Strada non lo libererebbe.

Il GIORNALE - Gian Micalessin : " Il caso di Emergency: i tre liberati e 'ingrati' ora tornano in Italia "


Gino Strada

In pubblicità c’è l’uomo che non deve chiedere mai. Nella realtà quotidiana del Belpaese impera invece la banda degli ingrati, la “sinistra” cricca capace di pretendere sempre e non ringraziare mai. Gli ultimi eccoli qua, sono i tre moschettieri del Gino Nazionale felici di essere liberi grazie alla nostra diplomazia, gioiosi di dormire tra le mura di un’ambasciata anziché dietro le sbarre di una segreta, ma assolutamente refrattari all’idea di metter piede su un volo di Stato.

Assolutamente indisponibili a mescolar i loro quarti di nobiltà con quelli dei rappresentanti di uno Stato da snobbare e di un governo da disprezzare. Certo a volte ce n’è bisogno. A volte di ministri e servizi segreti non si può far a meno, ma Dio ci guardi dall’ignominia di sedere al loro fianco, dalla nefandezza di stringerne le mani, dalla mortificazione di regalar loro un grazie. Certo Gino Strada e i suoi amici in quella parte ci sguazzano. In fondo la recitano dai gloriosi anni Settanta quando se erano in cinque tiravano fuori le spranghe e gridavano “basco nero il tuo posto è al cimitero” se erano soli salutavano, sorridevano e se la battevano a gambe.

Cambiano i tempi, ma la sfrontatezza, la boria e la convinzione di esser al di sopra di ogni regola restano la stesse, si tramandano come un gene cocciuto e inguaribile di padre in figlio. Così - quando non risuona la voce impastata del Gino nazionale - ecco riecheggiare quella garrula, ma altrettanto “politically correct” delle due Simone. Le ricordate? Era il 2004 e i nostri 007 avevano appena finito di sudare le proverbiali sette camicie per salvar loro il collo consegnando ai rapitori qualche milione di dollari. Ma per le tronfie e vispe reduci dalla Mesopotamia delle Meraviglie erano bazzecole. Le loro prime parole furono un caldo sincero e commosso ringraziamento al popolo iracheno. Per il governo italiano e i suoi servitori manco un fiato. Quando qualcuno lo fa notare cambiano registro, ma non appena Giuseppe d’Avanzo di Repubblica chiede almeno una scontata e dovuta condanna del terrorismo Simona Pari non transige. «La lotta di resistenza di un popolo per liberare il Paese occupato è garantita dal diritto internazionale. Il terrorismo uccide indiscriminatamente anche i civili. Condanno il terrorismo. Nessuno può chiedermi di condannare una lotta di resistenza». Si sente, insomma, più vicina a chi voleva sgozzarla che a chi l’ha liberata.

La vera campionessa d’ingratitudine, l’ineguagliata paladina dell’irriconoscenza resta però Giuliana Sgrena, la giornalista del manifesto la cui liberazione costa, oltre ai soliti spiccioli, anche la vita dell’agente Nicola Calipari. L’allegra sicumera con cui la Sgrena trasforma il proprio ferimento e la morte di Calipari in un complotto fanta-politico ordito da Washington è nulla rispetto alla parte recitata negli studi di Sky durante una trasmissione televisiva in cui è ospite assieme a chi scrive. Sotto gli occhi increduli dell’allora conduttore Corrado Formigli la Sgrena impone di non mettere in onda il filmato del suo arrivo all’aeroporto di Ciampino in cui la si vede scendere dall’aereo tra le braccia dell’agente del Sismi Marco Mancini. Quella sequenza di lei sofferente aiutata e sorretta da un uomo accusato di aver partecipato al rapimento del cittadino egiziano Abu Omar offende - ripete quella sera la Sgrena - la sua dignità di professionista dell’informazione.

La stessa dignità professionale che un’altra volta la spinge a definire mercenario immeritevole di medaglie e ricordo il connazionale Fabrizio Quattrocchi ucciso in Irak mentre gridava «Vi faccio veder come muore un italiano». Lo sdegno e il disprezzo di Giuliana Sgrena hanno però la memoria corta.

Quando si trattava di implorare la sua liberazione i suoi amici non provavano certo simili vergogne. In quei giorni i suoi colleghi trovavano assolutamente naturale transitare dalla sede del manifesto agli uffici di governo dove gli uomini della Farnesina e dei servizi segreti tessevano incessantemente la trama della sua liberazione. Ad obbiettivo raggiunto ecco pronto, invece, il voltafaccia. Il direttore del Sismi Nicolò Pollari e l’agente Marco Mancini diventano degli intoccabili, degli innominabili, dei relitti umani da gettare e calpestare come mozziconi spenti e puzzolenti. È la regola dell’usa e getta, è la dottrina madre dei salotti della gauche caviar. Una regola eretta a dottrina di vita e linciaggio da quel vangelo dell’intellighenzia chiamato Repubblica.

Un quotidiano smanioso di vedere all’opera spie e agenti segreti quando l’obbiettivo è ottenere la liberazione dell’inviato Daniele Mastrogiacomo rapito in Afghanistan, ma altrettanto pronto - nel frattempo - a distruggere l’immagine di Nicolo Pollari, il direttore che tra il 2001 e il 2006 ridiede lustro e spessore all’immagine nazionale e internazionale dei nostri servizi segreti.

La STAMPA - Francesco Grignetti : " Se noi vi liberiamo non vi fate più vedere "

E’ un particolare che non è stato reso noto, ma fa parte dell’accordo con cui i tre cooperanti di «Emergency» a Kabul sono stati liberati dalle grinfie dei servizi segreti afghani: il chirurgo Marco Garatti, l’infermiere Matteo Dell’Aira e il logista Matteo Pagani dovranno lasciare immediatamente il Paese e per il momento non sono autorizzati a fare rientro a Kabul; tantomeno potranno affacciarsi nella regione di Helmand, là dove c’è un ospedale di prim’ordine, ricco di ottimi macchinari, che difficilmente tornerà nelle disponibilità di «Emergency». Ma a Helmand, come si sa, c’è anche la guerra. E il solo sospetto che uno degli italiani intrattenga rapporti con i taleban, o con gli odiati rivali del servizio segreto pakistano, farà sì che Garatti e i suoi compagni di sventura per il momento non potranno rientrare al loro impegno in corsia.
Il capo dei servizi segreti afghani, il generale Amurallah Saleh, un tagiko che gode della piena fiducia di Karzai, ma anche degli americani e della Nato, ha sofferto non poco delle pressioni internazionali. E che fosse un personaggio suscettibile, in Italia lo hanno saputo subito tutti gli uomini del nostro governo. Alla fine Saleh ha mantenuto la sua parola: aveva garantito un trattamento rigoroso, ma gentile, e così è stato. Aveva garantito anche una procedura veloce e nel giro di una settimana i tre italiani sono stati liberati. Liberi e con formula piena, il che è un ottimo risultato visto che a questo punto gli italiani - dal governo alla Ong, ai tre diretti interessati - escono a testa alta da questa vicenda.
E’ anche vero, però, che il generale Saleh qualche dubbio su Marco Garatti continua a nutrirlo. Lo si capisce dalla viscida storia dell’intercettazione a carico del chirurgo che l’intelligence afghana sostiene di avere in mano. Magari l’intercettazione non esiste. O forse è tutto un equivoco. Fatto sta che Saleh ha deciso di liberare i tre italiani, rovesciando in sette giorni la sua posizione di intransigente, ma ha anche preteso, nel dubbio, che i tre sanitari di «Emergency» se ne andassero a casa loro. E così sarà: l’ambasciata sta preparando i nuovi passaporti (i vecchi rimangono in mano a Saleh) e oggi saliranno su un aereo per lasciare l’Afghanistan.
«Emergency» dunque non potrà contare più in Afghanistan su due elementi preziosi come Garatti e Dell’Aira. Quest’ultimo era il coordinatore sanitario dell’ospedale di Lashkar-gah: era lui l’anima di «Emergency» nella provincia meridionale. Ma è sulla sorte stessa di quell’ospedale che c’è un gran mistero.
Sui giornali di ieri si poteva leggere che la chiusura dell’ospedale sarebbe stata una delle condizioni per il rilascio degli operatori. Dall’Italia hanno smentito tutti. «Emergency» ha precisato che non risulta nessun accordo. «Gli stessi responsabili dei servizi di sicurezza - sostiene l’Ong - hanno confermato ai giornalisti quello che già avevano dichiarato ai nostri operatori: che sono stati liberati perché non colpevoli». Epperò è evidente che al momento gli italiani sono fuori dal proprio ospedale. Girano voci incontrollabili che il governo afghano potrebbe decidere di affidare quel gioiello sanitario a qualche altra Ong (Medici senza frontiere?) oppure alla Croce Rossa Internazionale. Il destino dell’ospedale, insomma, è tutto da decidere, come dice Cecilia Strada: «Appena saranno in Italia i nostri operatori lavoreremo, con loro e con le autorità della Sanità afghana, per vedere il futuro dell’ospedale di Lashkar-Gah. Tutti, compresi l’Onu e il presidente afghano Karzai, affermano che quell’ospedale è fondamentale. E’ l’unica struttura chirurgica della regione in grado di dare assistenza gratuita 24 ore su 24».

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