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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio - L'Unità Rassegna Stampa
30.10.2009 Iran nucleare. Ahmadinejad e le tre carte
Michael Ledeen scettico, Udg pronto a credere a qualunque cosa

Testata:Il Foglio - L'Unità
Autore: Michael Ledeen - Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Stiamo ripetendo gli errori fatti coi totalitarismi del XX secolo, però con l’Iran non abbiamo scuse - Mano tesa di Ahmadinejad: collaboriamo sull’uranio»

Le trattative sul nucleare iraniano non stanno facendo passi avanti. Ahmadinejad continua a temporeggiare e proporre nuove condizioni con l'effetto di paralizzare i negoziati. La notizia viene interpretata in due modi diversi sui quotidiani italiani di oggi, 30/10/2009. Sono scettici sull'onestà delle intenzioni di Ahmadinejad Tatiana Boutourline, Michael Ledeen sul FOGLIO, Maurizio Stefanini  su LIBERO, Viviana Mazza sul CORRIERE della SERA, Emanuele Novazio sulla STAMPA, Gian Micalessin sul GIORNALE.
Alberto Stabile (REPUBBLICA) e Umberto De Giovannangeli (L'UNITA'), invece, si sono bendati con cura gli occhi e hanno spalancato la bocca, pronti a bere in un sorso tutte le fandonie iraniane.

Il testo della vignetta: " Non t'importa se continuiamo a lavorare mentre parli, vero? "

Riportiamo dal FOGLIO, a pag. II, l'analisi di Michael Ledeen dal titolo " Stiamo ripetendo gli errori fatti coi totalitarismi del XX secolo, però con l’Iran non abbiamo scuse " e dall'UNITA', a pag. 28, l'articolo di Umberto De Giovannangeli dal titolo "Mano tesa di Ahmadinejad: collaboriamo sull’uranio". Ecco gli articoli:

Il FOGLIO - Michael Ledeen : " Stiamo ripetendo gli errori fatti coi totalitarismi del XX secolo, però con l’Iran non abbiamo scuse "

 Michael Ledeen

Il 12 aprile 1945 i generali americani Eisenhower, Bradley e Patton entrarono per la prima volta dentro ai campi di concentramento nazisti. Il primo che visitarono fu quello di Ohrdruf, uno dei numerosi campi minori che gassavano una parte dei propri detenuti e ne mandavano altri al campo maggiore di Buchenwald, a pochi chilometri di distanza. Lo spaventoso segreto del programma con cui Hitler aveva deciso di sterminare tutti gli ebrei d’Europa (e insieme ad essi molti altri, come gli omosessuali e gli zingari) era in realtà ben noto ai comandi militari americani. Avevano ricevuto per anni dettagliate informazioni sulla Soluzione Finale, e avevano letto gli articoli, come quello pubblicato dal New York Times a dicembre dell’anno prima, nel quale il reporter Milton Bracker aveva descritto la desolazione di un campo abbandonato a Natzweiler- Struthof. “Le solide caserme verdi erano praticamente identiche a quelle che ospitavano i taglialegna americani nei primi anni del New Deal”, ma in questi begli edifici c’erano stanze con ganci a forma di ‘s’ che pendevano dal soffitto, e ai quali i prigionieri venivano appesi prima di essere mandati a morire nelle camere a gas”. Eisenhower, Bradley e Patton credevano di essere ben preparati a ciò che sarebbe toccato loro vedere. Ma non lo erano affatto (…). Il generale Patton, celebre per essere un autentico duro, dovette uscire a vomitare. Come Patton, anche Eisenhower era stato impegnato su numerosi fronti di guerra, dall’Africa settentrionale alla Germania. Come ogni altro occidentale, aveva sentito e letto vari racconti sull’Olocausto nazista; ma tutte le informazioni di cui disponeva non riuscirono a prepararlo a ciò che si presentò davanti ai suoi occhi. Scrisse a Washington: “Sulla base di ciò che ho visto personalmente, posso dire con sicurezza che tutto quanto è stato finora scritto non descrive in modo adeguato tutto l’orrore compiuto”. Bisognava vederlo con i propri occhi; altrimenti non era possibile immaginarselo. Persino le stesse vittime erano incapaci di riconoscere l’enormità della loro sventura. Quando l’esercito nazista si stava avvicinando a Torino, i membri della resistenza italiana andarono ad avvertire i vicini di casa ebrei, esortandoli a fuggire dalla città. Uno di essi, il rabbino Augusto Segre, ha poi ricordato come fosse quasi impossibile convincere gli ebrei torinesi a scappare (…). Quindi, tanto le vittime ebree quanto i generali americani non seppero comprendere la vera natura dei loro nemici. Questo riconoscimento si ebbe nei decenni successivi, prima in occasione dei processi di Norimberga e successivamente in quello di Eichmann, e attraverso un vasto numero di saggi, autobiografie e film. I giudici dei processi, così come gli scrittori e i registi, erano mossi da un appassionato desiderio di comprendere come si fosse potuti arrivare a stati terroristici, a guerre globali e genocidi di massa, e come si potesse evitare il ripetersi di simili tragedie. L’imposizione di una tirannia Ma non ci sono riusciti. Proprio come Hitler e Stalin avevano proclamato l’intenzione di distruggere l’occidente e imporre una nuova tirannia sul mondo intero, così oggi i mullah iraniani fanno analoghi proclami. Proprio come i fascisti e i comunisti avevano spietatamente rafforzato il proprio esercito e attaccato i paesi vicini, così oggi l’Iran fa la stessa cosa. Ma, fatta eccezione per il programma nucleare iraniano, si è finora prestata ben poca attenzione alla natura stessa del regime iraniano e alle sue attività assassine, sia contro il popolo iraniano sia contro le “forze sataniche” che i mullah hanno indicato come loro principali obiettivi: l’America, l’occidente cristiano, gli ebrei e Israele. E, a parte qualche sanzione economica che ben pochi esperti ritengono possa costringere gli iraniani a mutare atteggiamento o a cambiare la natura del proprio regime, non è stata messa in atto alcuna strategia efficace per affrontare il problema del male iraniano. Dopo la Seconda guerra mondiale, abbiamo cercato di trovare risposte ad alcune domande fondamentali: perché l’occidente non ha saputo vedere il montare della catastrofe? Perché si fecero così pochi sforzi per ostacolare la marea fascista, e perché praticamente tutti i leader occidentali (e molti intellettuali) trattarono i fascisti come se fossero dei normali esponenti politici e non dei crudeli rivoluzionari? Perché nemmeno le stesse principali vittime designate – gli ebrei – non seppero riconoscere l’enormità della tragedia che incombeva su di loro? Perché la resistenza è stata così rara? Lo studio del male è sempre connesso alla politica, si tratti di quella degli stati-nazione o di quella di singoli individui e la sua comprensione doveva servirci a metterci nella condizione di poterlo riconoscere e combattere con efficacia se mai si fosse ripresentato. Lo slogan “mai più” non significava che non vi sarebbe mai più stato il male nel mondo, ma che non lo avremmo mai più lasciato crescere indisturbato. Lo avremmo saputo riconoscere in anticipo e l’avremmo combattuto prima che potesse trasformarsi in una minaccia globale. Dunque, perché non abbiamo saputo riconoscerlo? E perché non sappiamo riconoscerlo neppure oggi, quando la Repubblica islamica d’Iran ha dichiarato guerra contro di noi, e la sta combattendo in tutto il mondo? Nel caso del fascismo, quasi tutti gli studiosi hanno accettato una duplice spiegazione: la natura peculiare di quel male e la mancanza di qualsiasi precedente storico (…). Di conseguenza, era naturale che ci si rifiutasse di vedere i nostri nemici come realmente erano (…). Una o due generazioni dopo, analoghe risposte furono date quando si posero le medesime domande sul comunismo. Come il Terzo Reich, l’impero sovietico di Stalin uccise sistematicamente milioni di uomini, e le ambizioni messianiche del comunismo posero la stessa minaccia all’occidente. La maggior parte dei contemporanei riteneva praticamente impossibile che i gulag fossero quel che realmente erano. Gli orrori dei campi di concentramento sovietici iniziarono a essere riconosciuti negli anni settanta indicon la pubblicazione dei libri di Alexander Solzhenitsyn. Come nel caso del fascismo, alla fine siamo stati costretti a combattere un guerra mondiale (anche se fredda) per sconfiggerlo. E, anche questa volta, abbiamo cominciato a studiarlo per impedire di lasciarci cogliere di sorpresa nel futuro. Oggi, sappiamo ormai quasi tutto di questo genere di regimi e movimenti. Sappiamo, in tutti i suoi spaventosi particolari, che il XX secolo è stato il secolo più violento e insanguinato della storia. Fu una carneficina talmente spaventosa che si è coniato un nuovo termine, “genocidio”, per indicare il sistematico sterminio di intere popolazioni (…). Questi regimi malvagi non erano certo una novità nel secolo scorso, e non sono scomparsi con la sconfitta dei nazisti, dei fascisti e dei comunisti. Sono ben presenti anche oggi, soprattutto, e in modo più minaccioso, nel medio oriente (…). Chiaramente, le spiegazioni che abbiamo dato alla nostra incapacità di reagire nel secolo scorso erano sbagliate. L’ascesa dei movimenti di massa messianici non è una novità, e di essi sappiamo quasi tutto. Ciononostante, ben pochi scrittori, e ancor meno politici, parlano dell’Iran usando le stesse parole impiegate per definire gli stati totalitaristici del secolo scorso. E non abbiamo nessuna scusa per dichiararci sorpresi dal successo ottenuto da leader malvagi, persino in paesi di antica civiltà e con grandi tradizioni politiche e culturali. Oggi l’Iran ha abbandonato queste sue grandi tradizioni ed è dominato da un regime crudele e fanatico che opprime il popolo iraniano e minaccia tutti noi. Eppure continuiamo in larga misura a non dire nulla sulla natura del regime iraniano e sulla sua autoproclamata missione. Perciò, dobbiamo nuovamente porre la vecchia domanda. Perché non sappiamo riconoscere il crescente potere di nemici malvagi? Perché li trattiamo come se fossero normali politici, ciò che fanno i leader occidentali ogni qualvolta sostengono che il negoziato è il modo migliore di affrontare un regime che esorta ogni giorno al nostro sterminio? La risposta più breve è quella di Baudelaire: ci confortiamo con felici pensieri sulla natura umana, e caschiamo nella trappola del diavolo, il quale ci fa credere che non esista. Questa pericolosa presunzione assume normalmente la forma illuminista della convinzione che tutti gli uomini siano fondamentalmente uguali, che siano sostanzialmente buoni e che si stia progredendo gradualmente verso la società ideale. Ma Machiavelli vedeva la realtà molto più chiaramente: “Gli uomini sono più inclini a fare il male che il bene”, è questo il presupposto essenziale sul quale si costruisce la sua arte del governo. Quasi tutta la storia umana, e in particolare quella dell’ultimo secolo, conferma questa tesi. Ma noi preferiamo negare l’evidenza (…). Malgrado tutte le prove in senso contrario che abbiamo sotto gli occhi, preferiamo seguire la via della ragionevolezza, persino con nemici il cui irragionevole fanatismo appare evidente. L’iniziativa nelle mani degli avversari Riconoscere che l’Iran ci minaccia significa reagire contro di esso (a meno che non si voglia adottare una politica di suicidio nazionale). Abbiamo visto tutti i filmati con migliaia di iraniani per le strade di Teheran, guidati dai mullah al canto di “Morte all’America”. Cosa pensiamo che vogliano dire? Dopo l’esperienze del secolo scorso, qualsiasi politico prudente dovrebbe supporre che il significato sia precisamente questo: morte a tutti noi. Ciononostante, in America il dibattito sulla Repubblica islamica d’Iran non tocca quasi mai questo punto così spiacevole; si concentra invece sul programma nucleare dei mullah, riguardo al quale è del tutto improbabile che possiamo fare qualcosa. E anche per il problema dell’atomica iraniana si evita di menzionare i canti di “Morte all’America”, come se non fossimo noi il vero obiettivo dell’Iran. Riconoscere l’esistenza di nemici malvagi significa accettare il fatto che siamo in guerra, e quindi elaborare e mettere in atto una strategia per ottenere la vittoria. Significa che, almeno per qualche tempo, dobbiamo fare sacrifici in molti campi: nelle comodità della nostra vita, nella restrizione della nostre libertà personali, nella perdita di vite umane, e nella destinazione della ricchezza nazionale alla produzione di strumenti di potenza anziché alla soddisfazione dei nostri desideri. Tutto questo è doloroso, anche soltanto a pensarlo. Con un’inquietante eco dello scorso secolo, l’antisemitismo è un punto centrale nella visione del mondo propugnata dai nostri attuali nemici. Vecchi testi come “I protocolli dei savi di Sion”, ora tradotti in farsi e in arabo, circolano ampiamente in tutto il medio oriente. Appelli all’annientamento degli ebrei si sentono continuamente sulle televisioni iraniane, egiziane, saudite e siriane, e vengono ripetuti nelle moschee europee ed americane. L’occidente non esprime quasi mai proteste, e ancor meno prende provvedimenti concreti, il che ricorda, inevitabilmente, la sua nota indifferenza per la sorte degli ebrei. Infine, bisogna prendere in considerazione la forma stessa della politica democratica occidentale. Nessuna democrazia si era preparata adeguatamente alla guerra prima del suo scoppio nel 1939. Nessuna era preparata all’assalto terroristico lanciato nel XXI secolo. E’ molto difficile per i leader eletti (persino quei pochi che vedono ciò che sta accadendo e vogliono fare qualcosa) prendere provvedimenti tempestivi ed efficaci prima dello scoppio di un conflitto. Come nel recente passato, l’iniziativa è purtroppo nelle mani dei nemici dell’occidente. Anche oggi, mentre stiamo combattendo in Iraq e Afghanistan, non sembra esserci un adeguato riconoscimento del fatto che ci troviamo sotto attacco da parte di una già nota specie di nemico, e non vi è di conseguenza volontà di reagire. Questa volta, però, l’ignoranza non può essere addotta come scusa. Se saremo sconfitti, lo saremo per la nostra mancanza di volontà, non di comprensione della minaccia. Come è già stato quasi il caso nella Seconda guerra mondiale. Ho scritto questo libro nella speranza che all’attuale generazione di americani possano essere risparmiate le terribili esperienze di Eisenhower, Patton e Bradley, i quali, tra le rovine della Germania nazista, alla fine si trovarono faccia a faccia con il male che avevano combattuto, e rimasero scioccati da quanto poco lo avessero realmente conosciuto. Non ne compresero l’autentica natura fino a quando non varcarono la soglia del campo di Ohrdruf. Spero che i nostri figli non debbano domandarci, come io ho domandato ai miei genitori, come era stato possibile ignorare la realtà e rimanere inerti così a lungo. Che cosa potremmo rispondere?

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Mano tesa di Ahmadinejad: collaboriamo sull’uranio "

 La mano di Ahmadinejad è tesa non per collaborare, ma per accusare e rivendicare.

Teheran non arretrerà di «uno iota » dai suoi diritti nucleari, ma la fornitura di combustibile nucleare per un reattore è l’opportunità per l’Iran di valutare «l’onestà» delle potenze mondiale e dell’Agenzia internazionale per l’energia nucleare (Aiea). «Accogliamo favorevolmente lo scambio di combustibile, cooperazione nucleare, la costruzionedi reattori e nucleari. Siamo pronti alla cooperazione» e a «stringere ogni mano che venga tesa con onestà ». Così parlò nel «Giorno della Risposta »MahmudAhmadinejad, presidente della Repubblica islamica dell’Iran. Se è ancora presto per parlare di svolta, di certo si tratta di una importante apertura. «Siamo passati da unaposizione di scontro a unadi collaborazione », afferma Ahmadinejad nel corso di un discorso pronunciato a Mashhad, nell’Iran nord-orientale, e trasmesso in diretta televisiva. «Accogliamo favorevolmente lo scambio di combustibile, la cooperazione nucleare, la costruzione di reattori e di centrali nucleari. Siamo pronti alla cooperazione», assicura il presidente iraniano. CONTATTI FEBBRILI La risposta «preliminare» scritta è stata consegnata all’Aiea dall’ambasciatore iraniano presso l’Onu Ali Asghar Solatnieh. Nel testo sarebbero espresse preoccupazioni di ordine «tecnico ed economico» riguardo alle forniture, delle quali dovrà essere tenuto conto. Teheran, inoltre, non sarebbe disposta a privarsi dell’intera quantità di uranio da arricchire - circa l’80% del totale - in un’unica soluzione, ma preferirebbe che le operazioni di arricchimento all’estero si svolgessero gradualmente; inoltre, per ciascuna spedizione all’estero l’Iran vorrebbe ottenere una quantità analoga di uranio già arricchito da poter utilizzare nel reattore sperimentale di Teheran. La bozza di accordo negoziata nei giorni scorsi a Vienna prevede invece ce la consegna da parte dell’Iran del 75% ((1.200 su 15.000 kg) delle sue riserve di uranio leggermente arricchito (sotto il5%)a Russia e Francia per essere ulteriormente arricchito fino a circa il 19,75%. Dopodichéquesto uranio arricchito, trasformato in barre di combustibile, tornerebbe in Iran per essere usato per soli scopi medici in unreattore controllato dall’Aiea. L’accordo prevede inoltre che tutto l’uranio venga consegnato in una sola volta e che il procedimento si concluda entro dicembre. «Mi auguro che si raggiunga presto un’intesa», auspica in uncomunicato il direttore generale dell’Agenzia atomica internazionale,Mohammed El Baradei. 
 «Il direttore generale dell’Agenzia è impegnato in consultazioni con il governo dell’Iran, così come con le altre parti coinvolte, nella speranza di raggiungere presto un accordo su questa proposta», spiega nella nota l’Aiea, l’agenzia internazionale per l’energia atomica, precisando che la risposta di Teheran è «iniziale». Il termine ultimo per una decisione sarebbe il 26 novembre, giorno della riunione del consiglio dei governatori.

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