Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/05/2009, a pag. 17, l'intervista di Antonio Ferrari al re di Giordania dal titolo " Il re e la pace in Medio Oriente «Stato palestinese entro il 2009» " e dalla REPUBBLICA, a pag. 15, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo " Peres "regala" i luoghi sacri al Vaticano ma in Israele scoppia la polemica ". Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " Il re e la pace in Medio Oriente «Stato palestinese entro il 2009» "
AMMAN — «Sarò pellegrino di pace». Il messaggio del Papa ai popoli della Terrasanta è stato accolto con trepidazione nell'ospitale Giordania, dove venerdì Benedetto XVI comincerà il viaggio più delicato e difficile del suo pontificato. Lo comincerà in un clima di buona volontà e di concordia, quindi in discesa. I quattro giorni (esattamente quanti ne riserverà, assieme, a Israele e Palestina) che il capo della Chiesa cattolica trascorrerà nel primo Paese arabo che lo accoglie, sono ovviamente carichi di aspettative, che fanno eco alle parole del Pontefice: «Riconciliazione, speranza, pace». Ma il re Abdallah, con regale discrezione, non parla di aspettative. Nell'intervista al Corriere della Sera, prima della partenza per l'Egitto e la Germania, dice: «Sua Santità è nostro ospite, ed essendo la Giordania ad ospitarlo non formuliamo aspettative, se non l'auspicio che il viaggio spirituale abbia pieno successo».
Maestà, lei ha sempre detto che il suo regno è terra di convivenza e di tolleranza. È il simbolo stesso della fratellanza tra musulmani e cristiani.
«È da sempre il nostro obiettivo, ed è il nostro costante impegno. Accogliere il Pontefice, come facemmo nel 2000 con il suo predecessore Giovanni Paolo II, è per noi un grande onore e motivo di orgoglio. Domenica, per la messa del Papa, vi saranno non soltanto i cristiani giordani, ma di tutta la regione. Verranno, ci auguriamo, dal Libano, dalla Siria, dall'Iraq, dall'Egitto e, speriamo, dalla Cisgiordania. Sarà un momento di grande intensità spirituale. E sarà un segno dell'impegno comune di avvicinare sempre più le tre grandi religioni monoteiste, che hanno le loro radici in questa terra. Come le ho detto, il Papa è nostro ospite, e non coltiviamo aspettative. Però le parole che dirà saranno uno stimolo, rivolto a tutti noi, per spronarci a camminare in fretta verso la pace».
La pace tra i popoli o la pace dei leader?
«Negli Stati Uniti e in Europa si avverte quanto sentiamo anche noi. Evitare conflitti religiosi è fondamentale. La Giordania ha sempre sostenuto che chiese, moschee e sinagoghe devono creare un 'mondo comune', hanno insomma la grande responsabilità di evitare conflitti tra le religioni e i popoli. Vede, in Israele la gente non crede alla soluzione dei due Stati perché pensa che i vertici politici non ci credano. In Palestina si diffonde la convinzione che tanto quella soluzione non vedrà mai la luce. Eppure, l'85 per cento degli israeliani e dei palestinesi sostengono la necessità del negoziato. Sappiamo tutti che soltanto la soluzione dei due Stati, Israele e Palestina che vivano l'uno accanto all'altro, può portare alla pace. Noi abbiamo molti e seri motivi di preoccupazione. Quanto sta facendo Israele con gli insediamenti e con le proprietà musulmane e cristiane di Gerusalemme non è per nulla confortante. È grave e pericoloso ».
E allora che cosa bisogna fare?
«Ci vogliono coraggio, determinazione e lungimiranza. È il momento che i leader diano davvero un'opportunità alla pace».
Benedetto XVI arriva, quindi, in un momento particolare. C'è una nuova amministrazione americana e nell'intera regione si colgono aliti di speranza perché si possa giungere alla ripresa dei negoziati.
«Ho incontrato il presidente Obama e il segretario di Stato Hillary Clinton. Gli Stati Uniti hanno ben chiare due cose: che è negli interessi nazionali americani giungere con urgenza alla soluzione dei due Stati; e che i passi si compiano in un quadro complessivo, quindi con il dialogo tra Israele e Libano, Israele e Siria, Israele e gli altri Paesi musulmani. Il presidente Obama comprende benissimo il contesto regionale. Se non capitalizziamo questi elementi, i rischi si moltiplicheranno. È impossibile cominciare a negoziare nel vuoto».
Maestà, abbiamo notato che Barack Obama ha fatto tesoro del vostro incontro. È come se avesse attinto alla sua esperienza e saggezza. Infatti, le dichiarazioni più importanti sul Medio Oriente le ha fatte dopo averla ricevuta alla Casa Bianca.
«Abbiamo avuto una calorosa accoglienza, e con il presidente Obama è subito cominciato un faccia a faccia senza limiti di tempo. Lo avevo già incontrato e ogni volta colgo le coordinate dal suo convinto impegno ad arrivare in fretta ad una soluzione. È un leader che emana speranza. Adesso incontrerà il presidente palestinese, il presidente egiziano e il primo ministro israeliano. Sono chiari sia la delicatezza del momento, sia la necessità di non perdere tempo. Alla fine, e soprattutto dopo l'incontro con Netaniahu, gli Stati Uniti spiegheranno la loro strategia».
Che cosa si aspetta? La soluzione dei due Stati e l'accettazione del piano saudita del 2002, che prevede la normalizzazione dei rapporti con Israele di 57 Paesi musulmani in cambio del ritiro da tutti i territori occupati nel 1967?
«Non intendo suggerire al presidente Obama cosa dovrebbe dire. Certo, la possibilità di trovare una soluzione complessiva è ben visibile. Ma entro il 2009 dovrebbe essere fissato l'obiettivo dei due Stati. Ne abbiamo discusso con gli Usa, ne continuiamo a discutere con i partner europei, che condividono le nostre speranze e i nostri timori. Se nel biennio 2009-2010 nulla accadrà, allora il rischio che i nemici della pace, in questa regione, provochino altre tragedie diventerà altissimo ».
Se tutto andasse bene, vede una data per realizzare compiutamente la pace?
«Sappiamo bene che indicare date può essere pericoloso. Ma la volontà di raggiungere l'obiettivo deve essere chiara da subito. Senza malintesi».
La REPUBBLICA - Fabio Scuto : " Peres "regala" i luoghi sacri al Vaticano ma in Israele scoppia la polemica "
GERUSALEMME - Alla vigilia dell´arrivo del Pontefice in Terrasanta il governo israeliano dovrebbe fornire a sei luoghi sacri della Cristianità, come segno di «buona volontà», garanzie speciali per la loro futura tutela. Un gesto simbolico, che scaldi l´accoglienza per la storica visita di Benedetto XVI e che metta su un percorso meno sassoso il dialogo fra Santa Sede e Israele.
Con questo auspicio il presidente israeliano Shimon Peres sta facendo pressione sul governo guidato da Benjamin Netanyahu perché siano date garanzie sulle norme che regolano la cornice legale di sei luoghi santi. Tra questi, la Basilica dell´Annunciazione a Nazareth, l´orto del Getsemani a Gerusalemme, il monte Tabor e quello delle Beatitudini, la chiesa della Moltiplicazione sulle coste del lago di Tiberiade e Cafarnao. Il capo dello Stato avrebbe chiesto prima di partire al ministro dell´Interno, Eli Yishai, di dare l´annuncio alla vigilia dell´arrivo di Benedetto XVI a Gerusalemme lunedì. Questi luoghi sono di proprietà della Chiesa di Roma, ma la Santa Sede ha chiesto al governo israeliano di impegnarsi per impedire che, anche nel futuro, possa essere messo a rischio il loro valore religioso, con espropri per ragioni di sicurezza o per la costruzione di strade, parchi o altri edifici.
Il negoziato fra Israele e Vaticano è «in corso e ha fatto registrare negli ultimi tempi qualche progresso, ma non si può ancora dire che sia prossimo a una conclusione definitiva», spiega Ygal Palmor portavoce del ministero degli Esteri raffreddando un po´ le aspettative di Roma. La trattativa, avviata in origine su un centinaio di siti indicati dalla Chiesa, «s´è ormai concentrata su 6 luoghi». Mentre fuori dal dossier resta comunque il Cenacolo a Gerusalemme: un edificio di cui la Chiesa cattolica rivendica l´intera proprietà, ma che in parte è venerato pure dagli ebrei. Oggi sul luogo dell´Ultima Cena si sovrappongono edifici di tutte le epoche e di tutte le fedi, come è usuale a Gerusalemme. Ciò che per i cristiani è il Cenacolo si trova all´interno di una struttura più vasta che comprende anche una moschea e una tomba sacra agli ebrei, quella di re Davide. Ecco perché per Israele non può essere oggetto di negoziati. A complicare le prospettive di intesa non mancano divergenze nel governo israeliano; con il ministero degli Esteri orientato a una posizione più conciliante, in sintonia con il presidente Peres, e quello dell´Interno (competente sui diritti di esproprio) guidato ora Eli Yishai, leader del partito ultraortodosso Shas, schierato apertamente per il «no». Intervistato dalla Radio Militare, il ministro del Turismo Stas Misezhnikov - esponente del partito di ultradestra Ysrael Beitenu e responsabile per il governo della visita del pontefice - non ha potuto fare a meno di dare il suo parere: «Se fossimo convinti che questo grande regalo al Cristianesimo portasse qui milioni di pellegrini, allora si potrebbe valutare. Ma visto che non ne siamo certi, perchè dobbiamo fare regali?». Certo qualche malumore c´è anche per il rinvio a dicembre dei lavori della commissione mista Israele-Santa Sede che sta negoziando l´accordo economico sullo statuto della Chiesa cattolica, con una trattativa che va avanti da oltre dieci anni. E chi, forse un po´ ingenuamente, sperava che il viaggio del Papa potesse dare la spinta risolutiva, anche qui è rimasto deluso.
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