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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica - Il Giornale Rassegna Stampa
14.07.2008 Pace vicina ? Lo sostiene a Parigi il premier israeliano Olmert
rassegna di quotidiani

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica - Il Giornale
Autore: Domenico Quirico - Gianna Fregonara - Stefano Montefiori - Giuliano Gallo - Marco Ansaldo - Pietro Del Re - R.A. Segre
Titolo: «Olmert: Pace mai così vicina - Nirenstein: Attenzione col nemico. Pacifici: Incrociamo le dita - E' un dittatore, ma sta cambiando Con Assad ora bisogna trattare -Il premier fa promesse che non può mantenere -»

Ma il premier è finito Israele non crede alla svolta - Ora damasco dovrà ridiscutere le sue relazioni con Teheran - L'illusione della pace

Da La STAMPA, la cronaca di Domenico Quirico:

Strette di mano, tante, energiche, forse quasi tutte sincere. Dopo quelle alla vigilia del summit mediterraneo di Parigi tra il siriano Bashar Assad e il suo ex «nemico» libanese Suleiman, è la volta dell’israeliano Olmert e il palestinese Abu Mazen, non le prime ma sempre terribilmente complicate, con Sarkozy in mezzo, quasi a trasmettere ai due la propria frenetica energia. «Mai così vicini alla pace», sono le parole impegnative del premier israeliano.
Non c’è stata invece la stretta di mano tra Assad e Olmert, ancora teoricamente in guerra. Sarebbe stato davvero, questo, un passo «storico», aggettivo di cui si è fatto uno sciupio in questi due giorni di diplomazia parigina. Ma per la prima volta i nemici irriducibili del Golan erano a poca distanza, attorno allo stesso tavolo, e la trattativa tra loro, attraverso il primo ministro turco Erdogan, si è accelerata ieri mattina, fino a far dire al leader siriano che per un accordo di pace ci vorranno «dai sei mesi ai due anni». Ma le distanze restano enormi. Quando ha preso la parola Olmert, Assad non era al suo posto ad ascoltarlo. «Impegni fuori dalla sala», nessun polemico atto politico, ha pudicamente cercato di spiegare l’egiziano Mubarak. E l’orario di conclusione del vertice è slittato perché fino all’ultimo gli arabi hanno posto ringhiose condizioni sul testo del documento finale.
Sbagliato essere troppo ottimisti in un Medio Oriente che la guerra percorre ancora come un rastrello, lo ha ammesso anche Sarkozy («non avremo la pace oggi pomeriggio»), ma la diplomazia in questa regione, grazie a Parigi, è certo in ebollizione. E’ questo dinamismo il nocciolo vero, che resterà di questo raduno di europei e mediterranei al Grand Palais. La sfilata delle auto presidenziali, 43, con la cadenza implacabile di una al minuto, che scaricano presidenti e satrapi volenterosi, le filastrocche del presidente francese sul «Mediterraneo che impara ad amarsi», perfino l’Unione per il Mediterraneo nata in tanto fasto ieri in poco più di tre ore, sono da etichettare, per ora, come accorto pascolo della strategia comunicativa del presidente. Per impiantare una istituzione così ambiziosa nel cuore della politica internazionale bisogna renderle fedeli gli interessi, non gli uomini. La risposta tra due anni, tanti (troppi?), quando il rito del vertice si ripeterà. In mezzo è compito della burocrazia diplomatica farla crescere e respirare.
Il Medio Oriente è il primo risultato, indiretto, dell’invenzione sarkozista. Il presidente è convinto sia il terreno ideale per mettersi alla pari con gli «amici» americani: perché gli Stati Uniti hanno fallito e il cambio di Amministrazione non potrà in breve tempo trasformare tutto. Sarkozy ha carte buone da giocare: considerato amicissimo di Israele, ma in ottimi rapporti di affari con gli arabi, soprattutto del Golfo. L’Unione è lo spazio e il contenitore del suo pragmatismo. Di qui gli inviti ardenti a israeliani e palestinesi a mettere sottosopra il mediocre presente, del genere ora o mai più. «I negoziati sono molto seri - ha detto Olmert - ci avviciniamo all’ora in cui dovremo fare scelte decisive, gravi, che ci porteranno a un punto in cui non siamo mai arrivati». Il leader palestinese è stato più prudente, ma ha lodato la «sincerità» di tutti i partecipanti.
Anche sul fronte siriano sono stati compiuti passi avanti, come ha confermato Israele: «Il dialogo è ancora indiretto ma ad alto livello, pensiamo si debba passare a quello diretto e in un futuro non troppo lontano». Per misurare quanta strada bisogna ancora fare, basta ricordare che non c’è stata la foto di gruppo, un rito di tutti i vertici: per non mettere nella stessa immagine uomini che restano nemici.

Dal CORRIERE della SERA
del 14 luglio 2008, le opinioni di Fiamma Nirenstein, Gianni Vernetti, Stafania Craxi, Riccardo Pacifici e Alessandro Ruben:

ROMA — Ottimisti o cauti, ma tutti d'accordo: il «rischio» che si è preso sabato Gianni VernettiNicolas Sarkozy, la stretta di mano con il presidente siriano Assad che segna il ritorno di Damasco al dialogo con l'Europa, era «inevitabile». Dalla più appassionata sostenitrice delle ragioni di Israele Fiamma Nirenstein, al ministro ombra Piero Fassino, al leader della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, tra dubbi e attese, ammettono che vale «la pena di provare», anche con uno dei regimi che è stato finora tra i più impresentabili.
«Sarkozy ha preso una posizione rischiosa, anche se con la migliore buona volontà. Ha stabilito però un ottimo rapporto con Israele e con gli Stati Uniti, saprà avere la giusta severità e attenzione nel trattare con Assad», spiega la parlamentare del Pdl Fiamma Nirenstein, che però non è ottimista sull'esito dell'iniziativa. E aspetta per dare qualche credito al «nemico» un «passo concreto»: «Se Assad vuole la pace, vorrei sapere che concessioni è disposto a fare sul Golan, vorrei che promettesse di garantire la sicurezza e l'esistenza di Israele per sempre».
Gianni Vernetti, Pd, già sottosegretario agli Esteri, invece pensa «che ci si possa fidare di Assad»: «Sono ottimista, la strada di separare la Siria dall'Iran è una priorità assoluta, nell'interesse dell'Occidente ma anche di Damasco: la vicinanza a Teheran e con Hezbollah rende la Siria un Paese paria, proprio nel momento in cui si stanno chiarendo molte cose in Medio Oriente. E non è un caso che Assad abbia annunciato per la prima volta, lo scambio di ambasciatori con il Libano ».
Più realista e cauto è il ministro ombra degli Esteri Piero Fassino: «Nessuno può dire oggi come andrà a finire. Ma sia che la Siria isoli l'Iran, sia che riesca a influenzarne le posizioni, sarà comunque utile per tutti». Senza contare che, continua Fassino, «la pace senza la Siria non si potrebbe fare». È un momento storico, per la sottosegretaria agli Esteri Stefania Craxi, che è a Parigi per l'incontro dei 42 capi di Stato del Mediterraneo: «Vedere Assad seduto di fronte a Olmert, e il premier israeliano che si rivolge al "mio caro amico" Mubarak, è emozionante. Io colgo un clima positivo e credo che Assad sia in buona fede. Sarkozy? Il Medio Oriente richiede gesti di coraggio ».
Apertura di credito alla scelta francese la fa il capo della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici: «Sarkozy non è Mitterrand né Chirac, due alfieri della politica filoaraba. Incrociamo le dita e non nascondiamoci che il coinvolgimento della Siria e l'isolamento del-l'Iran porterà benefici e sicurezza oltre che in Israele a Roma, Madrid, Parigi».
È ottimista anche il parlamentare del Pdl Alessandro Ruben, esponente di spicco della comunità ebraica oltre che ex presidente dell'Antidefamation league, che in questo nuovo scenario vede un ruolo non secondario anche per l'Italia: «Basta guardare all'attivismo del governo Berlusconi e ai buoni rapporti con Israele ma anche con Abu Mazen. Altre volte siamo rimasti delusi dopo la speranza della pace, ma è il momento di provare ».

Sempre dal CORRIERE, un'intervista ad André Glucksmann:

Oggi l'ex presidente francese Jacques Chirac diserterà polemicamente le celebrazioni del 14 luglio per evitare il presidente siriano Bachar Assad, sospettato di avere ordito tre anni fa l'assassinio del premier libanese Rafik Hariri. Sabato il presidente in carica Nicolas Sarkozy ha accolto Assad all'Eliseo stringendogli la mano, e ieri ne ha fatto uno dei protagonisti della nascita dell'Unione per il Mediterraneo. Un nuovo colpo di realpolitik, per l'uomo che prometteva di portare la tutela dei diritti umani al cuore della politica estera francese?
Il filosofo André Glucksmann, consigliere non ufficiale e molto ascoltato all'Eliseo, difende la scelta di Sarkozy poco prima di prendere parte alla cena di gala al Petit Palais. «Non dimentichiamo che Assad è stato a lungo il miglior amico di Chirac e Villepin in Medio Oriente. Ora si tratta di dare prova di buona senso e riconoscere due dati di fatto. Uno: se si vuole fare l'Unione per il Mediterraneo bisognerà negoziare anche con Stati che non hanno certo un curriculum democratico immacolato, e questo vale non solo per la Siria. Due: la posizione verso la Siria è cambiata perché è Damasco ad avere cambiato atteggiamento. Assad oggi vuole negoziare sia in Libano sia con Israele; non vedo proprio perché la Francia dovrebbe storcere il naso».
La visita di Assad a Parigi fa seguito a un altro incontro imbarazzante, quello con Gheddafi nel dicembre scorso. «Anche allora Sarkozy fece bene. Nel momento in cui Gheddafi ha deciso di cambiare, di abbandonare il terrorismo e avvicinarsi all'Occidente, lo si è incoraggiato a farlo. Se i dittatori danno segno di muoversi verso la pace e mostrano un minimo di rispetto per la popolazione è giusto aiutarli. Demonizzarli è un atteggiamento irresponsabile e privo di alcuna efficacia».
Solo nell'ottobre scorso Israele ha lanciato un raid in Siria per distruggere un reattore nucleare. Damasco sembra praticare una politica del doppio binario. «Non sto sostenendo che Assad sia diventato buono mentre prima era cattivo. Si tratta di farlo venire allo scoperto, come è stato fatto con Libia e Corea del Nord. È un momento di grandi cambiamenti in tutto il mondo arabo. In particolare in Iraq, dove le tribù sunnite ora vanno d'accordo con il governo in carica e con gli americani. I governi arabi finalmente capiscono il pericolo rappresentato, per loro stessi, dal terrorismo islamico. Quando in Algeria l'esercito ha preso le armi contro gli integralisti del Fis, non era certo per amore della democrazia ma perché i generali sapevano che rischiavano di finire impiccati».
Il premier israeliano Olmert ha parlato di una pace con i palestinesi «mai così vicina». Non è chiaro se la dichiarazione poggi su qualche elemento concreto. «Nelle scorse settimane sono stato in Israele due volte, per parlare dei miei libri e per accompagnare il presidente Sarkozy nella sua visita ufficiale a Gerusalemme. È evidente che il clima è cambiato. Sarkozy ha potuto sinceramente parlare della sua amicizia con Israele, ma d'altra parte ha sostenuto che Gerusalemme deve essere capitale dei due Stati, e si è mostrato vicino anche ai palestinesi. C'è qualcosa che sta mutando in tutto il Medio Oriente, probabilmente perché tutti si rendono conto che siamo sull'orlo del baratro».
Per Olmert non si tratta anche di far dimenticare i suoi scandali e la sua debolezza? «Anche Shimon Peres e gli altri ministri della coalizione di governo, dunque persino gli avversari di Olmert, sono davvero convinti che oggi occorre trovare a tutti i costi un accordo». Perché proprio adesso? «Israele ha, in sostanza, perduto la sua ultima guerra con Hezbollah.E c'è la minaccia atomica iraniana ».
I negoziati potrebbero essere preliminari a un attacco all'Iran. Fatta la pace con Siria e palestinesi, Israele potrebbe dedicarsi a neutralizzare militarmente il nucleare iraniano. «È possibile. Ma non possiamo scartare neppure l'esito opposto: ottenuta la pace con i Paesi vicini si eserciterà una grande pressione su Teheran perché esca dall'isolamento e accetti i negoziati».
Quanto conta per Sarkozy il progetto Euro-Med? «È ciò che gli sta più a cuore. Gli interessa più questo della presidenza dell'Unione europea, che in fin dei conti, tolte le vacanze, durerà solo quattro mesi». Quindi ha ragione chi sostiene che è un modo per indebolire ancora di più l'integrazione europea? «No, alla base c'è un'idea molto più profonda: Europa o non Europa, la situazione ai bordi del Mediterraneo è una bomba a orologeria. Bisogna dunque cambiare le regole del gioco. Poi, l'interesse dell'Europa non è solo raggiungere la pace, ma anche ottenere approvvigionamenti energetici. È un bene per l'Europa non dipendere esclusivamente dal petrolio russo».
A cena lei farà quindi i complimenti a Sarkozy per un grande successo diplomatico. «È già un grande successo essere riusciti a riunire tutte queste personalità. Sarkozy ha parlato del Mediterraneo sin dalla sera della sua elezione. È un'idea che ha le sue radici nella pensée de Midi di Albert Camus, che attribuiva il totalitarismo al Nord, alla Germania e alla Russia, e vedeva invece realizzato nel Sud una sorta di equilibrio naturale. Purtroppo Camus sognava. Però, lavorare per instaurare un'armonia degna di un passato onorevole non è vietato. Siamo passati dal sogno di Camus al progetto politico, che mi pare lucido, di Sarkozy».

E una allo scrittore israeliano Meir Shalev:
GERUSALEMME — Ehud Olmert si proclama ottimista sulla pace con i palestinesi e i negoziati con la Siria. Parole di un premier che in patria viene però considerato politicamente finito. Meir Shalev è uno scrittore famoso ( E fiorirà il deserto, Per amore di una donna, Storie piccole) ma anche acuto osservatore delle cose di Israele.
Il premier è sincero o tenta di tenersi aggrappato alla poltrona?
«Tutte e due le cose: Olmert vuole davvero che il processo di pace si concluda. Se non altro per far dimenticare il suo più grande errore, la guerra al Libano: una grande sconfitta politica e militare. Sta mentendo a se stesso: si permette di parlare di pace, di negoziati, anche se tutti (e lui per primo) sanno che non sarà comunque lui a portarli a termine perché la sua carriera è finita. Non può essere lui l'uomo che permetterà a Israele di ritirare centinaia di migliaia di coloni dalle alture del Golan. Per questo servirebbe un leader visionario, carismatico».
Come si è rivelato Ariel Sharon?
«Si, forse come Sharon, o forse come era Ben Gurion. Olmert non ha la statura, non l'ha mai avuta. Perciò l'opinione pubblica non gli crede».
E dunque? Come uscirne?
«Io ho la stessa opinione da 40 anni, da quando ero un giovane soldato di 19 anni e combattevo per Israele: dobbiamo restituire i territori, tornare ai confini del '67. E ora sono in molti a credere che questa sia l'unica via».
Un leader carismatico. Ha un nome in mente?
«Non riesco a trovarne uno fra i leader di oggi, spero che venga fuori dalle nuove leve».
Il ministro degli Esteri Tzipi Livni?
«Spero che maturi ancora, non è pronta secondo me. Molti vorrebbero come leader del Paese un militare, un eroe di guerra. Io non credo che sia la soluzione.
Insomma, io sono ottimista per natura, per carattere. Ma in questi giorni sono molto pessimista».

Lo scetticismo di Shalev verso il premier Olmert è diffuso in Israele, come spiega il seguente articolo di Marco Ansaldo, che riprendiamo da REPUBBLICA:

GERUSALEMME - «Ehud Olmert è già morto. La sua carriera politica è finita». Quel che in Israele tutti pensano, molti dicono, e pochi temono, Nahum Barnea lo esprime con la consueta precisione. Il giornalista più ascoltato del Paese, commentatore principe di Yedioth Ahronot, non si lascia irretire dalle sirene del successo ottenuto dal premier al vertice EuroMed in Francia. L´inchiesta interna sugli "Olmert Tours", come sono stati ribattezzati i viaggi di governo fatti presentando le ricevute a più ministeri, è senza via di scampo.
«Lo sanno tutti che è morto - spiega Barnea - i suoi sodali in patria, i leader stranieri a Parigi, il giudice e gli ufficiali di polizia che lo interrogano. L´unico a rifiutarsi di comprendere che è finito è Olmert stesso». A Gerusalemme la tv di Stato mostra le immagini del premier mentre sorride stringendo la mano a Nicolas Sarkozy. Lì ammonisce l´Iran e apre alla Siria, tratta con il turco Erdogan e blandisce il palestinese Abu Mazen. Qui i giornali sbattono le sue note spese in prima pagina, ridicolizzandolo agli occhi di un´opinione pubblica che non lo ha mai amato.
«Frequent liar», bugiardo di lungo corso, è il titolo dell´editoriale di Haaretz, che riecheggiano quei punti di miglia aeree ottenuti come frequent flyer che l´altro ieri un maldestro portavoce ha usato come scusa, di fronte alle accuse brucianti. «Ma il premier ha comprato un biglietto di sola andata per la disgrazia?», gli fa eco l´analisi del Jerusalem Post.
Nessuno fino a ieri si aspettava che l´indagine potesse mettere contro, come invece succede adesso, il primo ministro e istituzioni famose ovunque nel mondo. Olmert aveva presentato contemporaneamente ricevute di viaggio a più enti: lo Yad Vashem, cioè il Museo dell´Olocausto, il Centro Simon Wiesenthal, ossia l´organismo che dà la caccia ai criminali nazisti ancora in vita, e poi l´Associazione per i disabili mentali, quella per i ciechi, per la pensione dei soldati, oltre ai ministeri dell´Industria, del Commercio e del Lavoro. «Sono tutte istituzioni per cui ho lavorato - si difende - e per le quali ho investito energie enormi per trovare finanziamenti». Pochi sono disposti a credergli.
Tutti concordano invece che abbia cercato di distrarre l´attenzione tentando di raggiungere un accordo in extremis, quale che fosse, con i palestinesi. Mossa fallita. E anche l´imminente scambio di prigionieri con Hezbollah è letto più come una sconfitta, visto che a tornare in patria saranno cadaveri di soldati contro attivisti arabi ben vivi.
Olmert non si dimetterà. Preferisce affrontare gli interrogatori dalla poltrona di primo ministro, con la possibilità di difendere la famiglia, ora che anche la moglie Aliza e i quattro figli saranno ascoltati. Nell´agone politico, intorno a lui c´è il gelo.
Scarse le reazioni balbettate da personaggi di secondo ordine del partito Kadima, nel goffo tentativo di difenderlo: «Aspettiamo la conclusione, potrebbero esserci delle sorprese», dice un imbarazzato ministro dell´Ambiente, Gidon Ezra. Tutti gli altri non aprono bocca. Le primarie sono già fissate per la metà di settembre. E sarà quello il momento perfetto per la sepoltura. Tzipi Livni, la ministro degli Esteri, scalpita ma ha deciso di tacere. La maggiore indiziata a succedergli, dopo la sconfitta incassata nel chiederne le dimissioni per il precedente caso Winograd, ha scoperto che il silenzio ha le sue virtù. Oggi è di nuovo la favorita: perché rovinare tutto, se settembre è solo fra due mesi? Così tace anche il leader dell´opposizione Bibi Netanyahu. Non gli conviene attaccare Olmert sulle questioni dei viaggi all´estero. Proprio la settimana scorsa la Knesset, il Parlamento, gli ha affibbiato una nota di biasimo per essersi portato la moglie Sara in un viaggio di lavoro a Londra nel bel mezzo della seconda guerra del Libano. I due hanno speso cifre pazzesche, in parte coperte da un generoso miliardario inglese, ma mentre il Paese soffriva lo sfoggio di lusso era decisamente fuori posto.
Pure il ministro della difesa e leader laburista Ehud Barak tace. Dopo avere preteso e ottenuto le primarie per Kadima, ritiene inutile minacciare di uscire ancora dal governo. Ma la sua opinione emerge chiara, quando a uno dei suoi fedelissimi viene chiesto perché il Labour non presenti a Olmert un nuovo ultimatum. Risposta: «Perché non si prende a calci un cadavere».

Sempre da REPUBBLICA , un'intervista all'islamologo francese Gilles Kepel.
Osserviamo che Kepel muove nella sua analisi da un presupposto indimostrato:
che cioè "la strategia americana si è rivelata un fallimento".

Ecco il testo:


Professor Gilles Kepel, mentre faceva nascere l´Unione per il Mediterraneo, ieri l´Europa ha anche riaffermato il suo ruolo come mediatore di pace in Medio Oriente. Quello di Parigi è stato davvero un summit miracoloso?
«È presto per dirlo. C´è stato certamente qualcosa di molto positivo: il fatto che alcuni paesi arabi, quali la Siria e il Libano, abbiamo accettato di sedersi allo stesso tavolo del premier israeliano Olmert».
Procediamo per ordine. Anzitutto, Sarkozy che sdogana il presidente siriano Bashar el Assad, il quale riconosce per la prima volta nella storia il Libano. Non le sembra prodigioso?
«È il primo passo di un negoziato per permettere di ritrovare la stabilità in quella regione. Al momento, tuttavia, ci sono ancora grossi problemi da risolvere. Tra questi, le relazioni tra la Siria e l´Iran. I siriani dovranno essere poi reintegrati nel club dei Paesi arabi che contano, tra cui l´Arabia Saudita, da cui finora sono stati emarginati».
Eppure il grande vincitore di questo vertice sembra proprio il presidente Assad .
«Sì, esser diventato un leader "presentabile" è stato per lui un grande successo. Ora, però, dovrà spiegare le mosse compiute nei giorni scorsi ai suoi alleati tradizionali. A Parigi Assad ha puntato sull´apertura verso Israele, ma facendo ciò ha preso grossi rischi».
Secondo punto. Olmert ha dichiarato che la pace con i palestinesi non è mai stata così vicina. Ci crede?
«Il problema, dal punto di vista palestinese, è la colonizzazione della Cisgiordania. E finché questa questione non sarà definitivamente risolta da parte israeliana, rimarranno degli ostacoli insormontabili al raggiungimento della pace. C´è poi un altro problema: i palestinesi non dispongono di una sola voce. Per facilitare il dialogo con Israele, Hamas a Gaza e Fatah in Cisgiordania dovrebbero trovare un loro modus vivendi».
Come giudica le dichiarazioni di Olmert sulla volontà di trovare un contatto diretto con la Siria?
«Spero nella sua buona fede. Detto ciò, in questo momento il premier israeliano è al centro di un grosso scandalo finanziario che ne rende più fragile la posizione. La sua poltrona è traballante, perciò i futuri i rapporti tra Israele e Siria sono ancora un´incognita».
Con Sarkozy la Francia è ridiventata protagonista della politica internazionale?
«Dal 2001, la guerra al terrorismo voluta da Bush ha marginalizzato l´Europa in Medio Oriente. Ora, la strategia americana si è rivelata un fallimento. Non solo: con le prossime elezioni per la Casa Bianca, è verosimile che prima dell´estate 2009 non ci sarà una nuova politica in quella parte del pianeta. Per l´Europa si presenta quindi una grande opportunità. Occupare il ruolo che in questo momento gli Stati Uniti non sono in grado di svolgere».

Da Il GIORNALE l'analisi di R.A. Segre:

Il nemico del mio amico è mio amico, dice un vecchio adagio che risuona in questi giorni con una certa ripetitività nei media e negli ambienti che hanno fatto della pace fra Israele e gli arabi una missione o una ossessione. A rinfocolare le speranze di un avvicinamento fra le posizioni dello Stato ebraico e quelle dei suoi nemici non c’è stato forse un progresso nel negoziato per lo scambio di morti e prigionieri con gli Hezbollah libanesi? Non è stata raggiunta, grazie alla mediazione egiziana, una tregua d’armi tra Israele e Hamas, anche se le bande locali a Gaza non la rispettano, lanciando razzi contro un Israele che «per qualche ragione» non risponde? Non ci sono dichiarazioni di intenzione di pace fra Gerusalemme e Damasco, tramite i buoni uffici della Turchia? L’Arabia Saudita non è favorevole a un incontro interreligioso a cui per la prima volta sono stati invitati rabbini israeliani?
Questi segni di pace che sembrano moltiplicarsi appaiono rinvigoriti dalla convocazione a Parigi della Conferenza Euromediterranea per il rilancio del partenariato euromediterraneo fallito con la conferenza di Barcellona di quindici anni fa. Questa iniziativa francese comporta tre fatti nuovi che potrebbero incidere sullo sviluppo del processo di pace in Medio Oriente. Per la prima volta dalla fallita conferenza di pace di Madrid nel 1991 Israele e i Paesi Arabi siedono allo stesso tavolo. A questa riunione partecipano poi tutti i Paesi arabi che, dalla Turchia al Marocco, rappresentano uno schieramento islamico sunnita timoroso delle ambizioni dell’Iran sciita rivoluzionario e potenzialmente nucleare. Infine, assente dalla conferenza - non solo per questioni geografiche - c’è un’amministrazione americana azzoppata che ha i mezzi ma non la volontà di aprire un nuovo fronte contro l’Iran.
L’unico Paese che ha i mezzi e l’interesse ad agire contro il regime di Teheran è Israele, minacciato quotidianamente di eliminazione dal presidente iraniano. Ma, a parte il fatto che Israele si rende conto che un’operazione del genere anche se coronata tatticamente da successo non farebbe che rinforzare il regime degli ayatollah senza eliminare definitivamente il pericolo nucleare, è difficile credere che il governo di Gerusalemme possa impegnarsi in un’avventura così pericolosa da solo. Per agire ha bisogno per lo meno del consenso degli Stati arabi per attraversare il loro spazio aereo e raggiungere i bersagli che mira a distruggere. Il prezzo che può domandare per ottenere questo accesso è la garanzia di non essere poi pugnalato politicamente alla schiena, ma può essere il prezzo della pace? Difficile crederlo.
Alla testa di Israele non c’è un Cavour, la conferenza euromediterranea di Parigi non è quella per la Crimea; Sarkozy non è Napoleone III e la società internazionale attuale non è più dominata dal «concerto europeo». Credere che la pace nel Medio Oriente possa nascere da un’altra guerra è forse la speranze di illusi, irresponsabili o dei due messi assieme.

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