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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
13.07.2008 Assad incontra Sarkozy e stringe la mano del presidente libanese Suleiman
rassegna di quotidiani

Testata:Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica
Autore: Massimo Nava - Antonio Ferrari - Domenico Quirico - Bernardo Valli
Titolo: «Il giorno di Sarkozy, riparte il dialogo Siria-Libano -Così Damasco torna tra i «presentabili»: la mossa di Bashar e l'azzardo dell'Eliseo - Assad “la canaglia” si siede fra i grandi - Il Mediterraneo secondo Sarkozy»

Dal CORRIERE della SERA del 12 luglio 2008, la cronaca di Massimo Nava:

PARIGI — Per un giorno, Parigi è capitale d'Europa e del Mediterraneo. E passano da qui le speranze di pace in Medio Oriente, con prove di dialogo fra Siria e Libano e la prospettiva di colloqui diretti fra Damasco e Gerusalemme. Ieri pomeriggio, storica stretta di mano, alla presenza di Nicolas Sarkozy, fra il presidente siriano Assad e il presidente libanese Suleiman, che hanno annunciato l'apertura di ambasciate a Damasco e a Beirut. Un gesto che, da parte della Siria, significa riconoscimento pieno ed effettivo di frontiere e indipendenza del Libano.
Oggi tavolo allargato al premier israeliano Olmert, con la prospettiva che — grazie alla Francia — si vada oltre il dialogo indiretto fra Siria e Israele, attualmente affidato alla mediazione turca, anche se per Sarkozy i tempi sono ancora «prematuri». «Il Medio Oriente da troppo tempo attende buone notizie. Oggi ne abbiamo una storica», ha commentato il presidente francese che incassa, già alla vigilia, la prima conseguenza del progetto — l'Unione per il Mediterraneo — da lui sognato e voluto invitando a Parigi 42 capi di Stato e di governo nella cornice simbolica delle grandi occasioni: il Grand Palais (sede della prima esposizione universale) e la tradizionale festa della Bastiglia.
I grandi disegni politici camminano su idee semplici quanto ambiziose. L'Unione per il Mediterraneo — il «mare nostrum» del XXI secolo, crocevia di culture e scambi commerciali fra il Nord europeo, il Nord Africa e il Medio Oriente — è una di queste. Nicolas Sarkozy l'ha lanciata all'indomani della sua elezione all'Eliseo e prova a darle concretezza oggi. Da mesi, i preparativi sono scanditi da riserve (della Germania in particolare, che guarda ad Est e si preoccupa di chi paga il conto), diffidenze (della Turchia, che paventa un premio di consolazione sul cammino incerto di adesione all'Europa), sospetti di neocolonialismo (Libia) e scetticismo: inevitabile quando il quotidiano realismo si confronta con sogni di pace, dialogo, progresso. Nell'impresa, Sarkozy — come presidente di turno dell'Ue — si gioca la credibilità di statista e ne fa un test di ambizioni e consapevolezza della stessa «potenza» europea.
Gli ostacoli, enormi, sono di varia natura. Divario economico, standard di democrazia, presenza di dittatori e autocrati, conflitto mediorientale. E i rischi che la «grande intuizione» si riduca a un carrozzone burocratico, condannato all'impotenza da fondi lesinati e interessi divergenti, esistono. Ma i segnali di impegno e buona volontà sono altrettanto forti. Il primo è la presenza stessa del presidente Assad, dopo sette anni di ostracismo e tensioni diplomatiche connesse alla crisi libanese e all'assassinio dell'ex premier libanese Hariri. Una visita che divide ma che apre concrete premesse di dialogo in tutta l'area. Il vertice a tre con il presidente libanese e oggi il colloquio con il premier israeliano sono di portata storica per la pace in Medio Oriente. La Francia torna ad essere un playmaker nell'area e Sarkozy (invitato a Damasco entro l'estate) pur correndo il rischio di una sorta di riabilitazione della Siria, diventa il fautore di dialogo e stabilità. Il presidente francese ha chiesto alla Siria di farsi carico delle apprensioni per i programmi nucleari dell'Iran e di «convincere» Teheran a fornire «prove» concrete a proposito della versione militare di questi programmi. Naturalmente, non ha firmato cambiali in bianco, ricordando a Damasco i progressi ancora da compiere sulla strada della democrazia. Come hanno fatto anche gli Usa, congratulandosi in serata per l'apertura delle relazioni diplomatiche con il Libano.
«Spero che la Francia, con gli Stati Uniti, possa portare tutto il suo contributo ad un futuro accordo di pace fra Israele e Siria», ha detto Assad che ha assicurato il sostegno solidale al «fratello presidente » Suleiman e al governo del Libano appena nato. Oggi vedremo se il clima della vigilia porterà altre buone notizie. Soprattutto concrete. L'utopia della rifondazione dei rapporti in questa area cruciale passa anche per la definizione di progetti in vari campi: ambiente, energia, cooperazione marittima, ricerca, immigrazione, collaborazione antiterrorismo. È il primo passo per il futuro di 461 milioni di cittadini del grande «lago ».

Il commento di Antonio Ferrari:

PARIGI — Per Bashar el Assad è il più grande successo della sua presidenza. Atteso nella forma, ben oltre le attese nella sostanza. Ieri a Parigi, infatti, la Siria è stata sostanzialmente depennata dall'elenco dei cosiddetti Paesi-canaglia, che destabilizzano il Medio Oriente e sponsorizzano il terrorismo. Rientra quindi nel consesso dei «presentabili» grazie a Nicolas Sarkozy, che ha cancellato sette anni di gelo, e tre anni di gravissimi sospetti, affiorati il 14 febbraio del 2005 dopo l'assassinio dell'ex premier libanese Rafik Hariri, grande amico della Francia e soprattutto dell'ex presidente Jacques Chirac, che sui mandanti di quella strage non ha mai avuto dubbi.
Che cosa è successo per spingere uno dei più solidi amici europei degli Stati Uniti, appunto Sarkozy, a sdoganare Damasco, parlando di «progressi storici»? Vi sono almeno cinque motivi per spiegarla: la necessità di allontanare la Siria dal pericolo numero uno, l'Iran, o almeno di utilizzare Bashar per ottenere garanzie sul nucleare dall'alleato Ahmadinejad; la ripresa dei colloqui indiretti, via Turchia, tra Damasco e Gerusalemme, nella speranza di arrivare a quell'accordo di pace che sfuggì, a pochi metri dal traguardo, nel 2000; la decisione della Siria di sostenere l'elezione del nuovo presidente libanese, Michel Suleiman, favorendo gli accordi di Doha, e di avviare — lo ha promesso ieri Bashar — relazioni diplomatiche con il Libano, ritenuto un «protettorato», quindi privato da decenni dell'autonomia e della propria dignità nazionale; la volontà, reiterata da Assad, di utilizzare la sua influenza con Hezbollah ed Hamas, e la richiesta alla Francia di unirsi agli Usa per favorire colloqui diretti con Israele.
Le promesse sono suggestive, però i dubbi rimangono perché gli impegni suonano in parte contraddittori. Ne basterebbe uno solo per suggerire prudenza. È vero che il Libano è stato nuovamente pacificato, ma a un prezzo esorbitante: il governo filo-occidentale avrà infatti anche 11 ministri dell'opposizione filo-siriana, con diritto di veto su qualsiasi legge. Senza dimenticare che, tra gli accordi sottobanco potrebbe esserci la volontà di ritardare l'avvio del processo internazionale sull'assassinio di Hariri, che imbarazza il regime di Damasco. Allora, è un «grande mercanteggio» come scrive Raghida Dergham su Al-Hayat? Oppure Bashar è diventato più «opportunista», come ha detto lo scrittore Michel Kilo, che fu condannato a tre anni per le critiche al regime di Assad?
Probabilmente sono vere entrambe le interpretazioni. Perché la Siria ha forse cominciato a realizzare che l'alleanza con Teheran rischia di trasformarsi in un abbraccio mortale per un Paese che rivendica orgogliosamente la laicità delle proprie istituzioni. Certo, senza l'ardita scommessa di Sarkozy sarebbe stato assai difficile riaprire le porte a Damasco. Che ha ottenuto persino l'impegno di una visita di Stato a metà settembre del presidente francese, intenzionato a continuare nel Medio Oriente la sua intelligente ma spregiudicata strategia. Di certo, l'invito a Bashar el Assad al vertice euro- mediterraneo e lunedì alla sfilata del 14 luglio è un'apertura di credito rischiosa, che ha procurato all'Eliseo aspre critiche dai militari e dalle organizzazioni per il rispetto dei diritti umani. Ma Sarkozy ha voluto provarci: perché, come il Medio Oriente insegna, senza atti di coraggio non si va da nessuna parte.

Da La STAMPA un articolo di Domenico Quirico su Bashar Assad:


Nessun dubbio, il protagonista è lui, questo quarantenne dall’aria casalinga e impiegatizia, allampanato, collo lungo e testa piccola; i baffetti che accentuano il sorrisetto enigmatico. Bachar al Assad, meglio: il mistero Assad, come è inevitabile in un Paese dove la decifrazione del potere richiede doti di veggente. Passando ieri in rassegna la guardia repubblicana nel cortile dell’Eliseo, il sorriso si è fatto per un attimo più fondo. Già: era stato qui sette anni fa, in cima allo scalone del Palazzo non c’era il piccolo Sarkozy ma il gigantesco Chirac, che gli stava alla pari. I giornali allora avevano prestato più attenzione alla giovane e splendida moglie che a lui, il figlio di Assad, il feroce protagonista delle guerre interminabili del Medio Oriente. Lui era semmai l’ex allievo del molto chic liceo francoarabo El Huttiyet, l’oftalmologo che le regole satrapesche del Baath avevano, a sorpresa, proiettato al potere. Gli esperti gli attribuivano solo il ruolo di facciata dinastica, le leve del comando ben salde nelle mani dei Vecchi ras, legati al padre. Poi, dopo quell’incontro, sette anni di vuoto. Peggio: l’emarginazione, l’isolamento. Il giovane oftalmologo era diventato uno dei gestori degli Stati canaglia, l’amico dell’Iran, il mandante sospetto dell’assassinio dell’ex premier libanese Hariri. Un amico personale di Chirac, uno schiaffo alla Francia.
Oggi è il giorno rivincita. Di nuovo a Parigi. Non è più la bestia nera, il seminatore di zizzania, il disturbatore della quiete pubblica. E’ molto di più che uno dei 43 capi di Stato attruppati per l’Unione mediterranea; è il leader più corteggiato del Medio Oriente, l’uomo che tiene in mano le fila della guerra e soprattutto della pace. E’ di nuovo frequentabile, a Damasco, vedrete, ci sarà la fila. Tutto grazie a Sarkozy. Oggi, nella sala del Grand Palais dove si svolge la conferenza, ci sarà anche l’israeliano Olmert. Come non immaginare che Sarkozy stia preparando un altro colpo di scena, ancor più clamoroso? Per Assad già un’altra stretta di mano, quella scambiata all’Eliseo con il presidente francese, è un gigantesco trofeo politico. Ancor più lo sarà la presenza come invitato d’onore alla parata del 14 luglio. Il «tiranno» Assad protagonista di uno dei riti della Francia dei diritti umani e della rivoluzione: quale consacrazione! Eppure per molti resta un despota senza complessi; «incoraggiarlo» togliendolo dall’isolamento, è un errore terribile.
Non lo turbano certo le manifestazioni di protesta degli ex caschi blu e delle famiglie dei 58 soldati morti nell’attentato alla caserma Drakkar di Beirut, di cui la Siria è considerata, ancora una volta, il mandante. Non lo turbano certo gli strepiti di mezza Francia perché viene offerta un’altra passerella parigina, dopo Gheddafi, a uno spietato dittatore. Per quello che qualcuno ha definito «il 14 luglio del cinismo e dell’ipocrisia». Non lo turba che Chirac domani non sia sulla tribuna per non essere al fianco di quello che considera un assassino.
Il dottor Assad, come il padre, non cura i dettagli, si fissa sull’essenziale. A Parigi ha ottenuto davvero molto. Concedendo pochissimo. Le ambasciate valgono come simbolo, ha ben altri strumenti. Diretti e indiretti, per continuare a manipolare e condizionare la politica libanese, per gestire «la colonia» libanese. Quello che conta è che il suo ruolo sia stato definito «essenziale per il Medio Oriente». Quanto alle trattative con Israele, sa che al presidente francese serviva la qualifica di (futuro) mediatore; meritava bene il regalo, ma le condizioni per trattare non ci sono ancora. Quanto agli amici di Teheran, lo ringrazieranno per aver ribadito con tanta foga che per lui sono sinceri quando negano di volere l’atomica. Ha ascoltato con il solito sorriso Sarkozy che lo incoraggiava ad andare avanti nel cammino della democrazia. Prima di partire per Parigi ha gettato in galera due esponenti della «Dichiarazione di Damasco», la piattaforma dell’opposizione.


Da La REPUBBLICA, l'analisi scarsamente obiettiva ed esageratamente ottimista di Bernardo Valli, che invoca un negoziato Siria-Israele, la "restituzione" del "Golan occupato" e loda lo scambio di ambasciate tra Beirut e Damasco: " valeva una messa, anche solenne, a Parigi".

All´inizio il progetto era ambizioso. Troppo ambizioso e troppo poco pensato. Insomma precipitoso. Era la grande idea della presidenza di Nicolas Sarkozy: un´Unione Mediterranea riservata ai ventun Paesi europei e non europei affacciati su quel mare. Poi Angela Merkel, ritenendosi esclusa con gli altri Paesi del Nord, ha imposto la sua volontà: tutti o nessuno.
Quindi oggi a Parigi ci saranno tutti i capi di Stato e di governo europei più quelli della sponda Sud. Totale: 43 presenti. Il solo assente sarà Gheddafi, che ha deciso di snobbare l´appuntamento. Un appuntamento molto meno ambizioso del previsto (l´Unione Mediterranea iniziale è stata ridimensionata a Unione per il Mediterraneo, e i temi principali saranno l´inquinamento e l´energia solare), ma molto più spettacolare, visto il numero dei partecipanti. La grandiosità compenserà lo svuotamento del progetto originario.
L´ironia sarebbe tuttavia fuori posto. Infatti se l´adunata di Parigi non segna la nascita dell´Unione mediterranea vagheggiata da Sarkozy (ma ricalca di fatto il più modesto Processo di Barcellona, vecchio di quasi tre lustri), il pletorico vertice sotto l´Arco di Trionfo non sarà un semplice avvenimento folcloristico. Sarà il teatro di tante manovre politiche con la possibilità di colpi di scena destinati a incidere non sui rapporti tra le due sponde del Mediterraneo ma sulla crisi mediorientale di cui anche il Mediterraneo è il cuore. Se l´obiettivo che Sarkozy originariamente si proponeva è in larga parte mancato, la grande cerimonia che sembrava destinata ad essere fine a se stessa offre occasioni impensate. Basta dare un´occhiata ai protagonisti. Quello mediorientali, beninteso, gli altri sono comparse di riguardo.
Anzitutto ritorna in società Bashar al Assad, presidente della Siria, Paese incluso dagli americani nell´Asse del Male, alleato dell´Iran e sostenitore degli Hezbollah, nemici di Israele. Dopo l´assassinio di Rafik Hariri, il primo ministro libanese, Jacques Chirac, suo grande amico (al punto che, abbandonato l´Eliseo, vive in un appartamento parigino della famiglia Hariri), escluse con decisione Assad dai suoi interlocutori mediorientali, ritenendo la Siria responsabile dell´assassinio. Il successore, Nicolas Sarkozy, ha chiuso quel capitolo e ha invitato il presidente siriano non solo alla riunione mediterranea ma anche alla parata del 14 luglio, infischiandosene di chi ricorda che i siriani furono complici degli attentati di Beirut contro i parà francesi negli anni Ottanta. L´audace passo di Sarkozy è stato ripagato, poiché Assad ha annunciato a Parigi che Beirut e Damasco si scambieranno delle ambasciate: vale a dire che la Siria non considera più il Libano una sua provincia, ma lo riconosce come Stato sovrano. Nella storia mediorientale è un evento storico. Tante tragedie sono avvenute nella regione per il rifiuto della Siria di riconoscere l´indipendenza del Libano e per la tenacia con cui cercava di tenerlo sotto il suo controllo, con la forza o con gli intrighi.
Altro protagonista del vertice parigino è l´israeliano Ehud Olmert, primo ministro del più potente Paese mediorientale ma anche il più malandato uomo politico della regione. Al punto che il quotidiano di Gerusalemme Haaretz ha definito il viaggio di Olmert in Francia «l´ultimo respiro di un moribondo». Moribondo politico, s´intende, perché entro luglio il milionario americano Morris Talansky deve spiegare davanti ai giudici israeliani come e perché ha versato 150 mila dollari all´amico Olmert. Promuovere un´importante iniziativa, compiere un gesto coraggioso da vero uomo di Stato prima di quella scadenza giudiziaria eviterebbe forse al Primo Ministro una dimissione senza gloria o delle elezioni anticipate ad alto rischio. Il suo ministro della Difesa, il laburista Ehud Barak, non aspetta altro, e il capo del Likud, il leader di destra Benyamin Netanyhau, è dello stesso avviso, perché pensa non a torto di poter prendere il posto di Olmert.
È opinione assai diffusa in Israele, tra gli avversari di Ehud Olmert, che egli, di solito tanto prudente, abbia avviato negli ultimi tempi numerose azzardate iniziative diplomatiche in tutte le direzioni per salvare quel po´ di prestigio che gli resta come Primo Ministro. Dopo avere ripreso all´improvviso in maggio, tramite la Turchia, i negoziati con la Siria, Olmert ha annunciato la sua presenza a Parigi sapendo che vi avrebbe trovato Bashar al Assad. Ci sarà una stretta di mano tra Olmert e Assad durante il soggiorno parigino? O una fotografia fianco a fianco? Sarebbe una prima assoluta. Molti ritengono impossibile un avvenimento tanto plateale. Il protocollo francese, è stato spiegato, ha studiato le cose in modo che gli avversari non si trovino mai troppo vicini. E lo stesso Nicolas Sarkozy ha tenuto a precisare ieri che i tempi non sono maturi per un dialogo diretto tra Damasco e Gerusalemme. Nessuno pensava che ci potesse essere una pace siro-israeliana all´ombra dell´Arco di Trionfo nelle prossime ore. Ma una certa suspense resta sulla possibilità di un gesto distensivo destinato ad assumere un forte valore simbolico, in vista di un dialogo diretto nel prossimo futuro. In fondo gli invitati sono in tutto una quarantina, non tanti da non potersi incontrare.
Tutti i Primi Ministri israeliani, ad eccezione di Sharon, hanno sognato invano di essere gli autori di una pace con la Siria, che resta un paese chiave della regione. Per Olmert sarebbe un salvagente che gli eviterebbe di naufragare negli affari giudiziari. O perlomeno che ne ritarderebbe gli effetti. È quel che pensano, non senza perfidia, i suoi nemici. Prevarranno alla fine gli interessi di Israele, ai quali Olmert deve piegarsi. Resta tuttavia che Parigi offre, se non un´occasione di pace, perlomeno la tentazione di un bel gesto.
Da anni, dal 2004, da quando Assad (succeduto nel 2000 al padre, detto il «Bismarck del Medio Oriente») è andato in visita ufficiale a Istanbul, i turchi sono diventati i mediatori tra Israele e la Siria. Negoziati indiretti avrebbero persino consentito di raggiungere un´intesa di massima sull´evacuazione (in dieci- quindici anni) del Golan occupato dagli israeliani, e delle rive del Lago di Tiberiade. Le puntuali crisi hanno poi aperto lunghi silenzi. Ma la posta in gioco essendo altissima, il dialogo a distanza è ripreso.
La Siria è alleata dell´Iran ed è il cordone ombelicale che unisce l´Iran agli Hezbollah. L´israeliano Ehud Barak non usa mezzi termini quando dice che se si potesse dissociare la Siria dall´Iran, quest´ultimo verrebbe ridimensionato, e quindi il mondo potrebbe respirare meglio. E aggiunge che «quando sarà venuto il momento, Israele saprà prendere decisioni difficili». Quali? Restituire il Golan occupato nel ‘67, e da allora rimasta una rivendicazione irrinunciabile per Damasco? Ma Damasco esige altro. Avrebbe chiesto in cambio, per divorziare dall´Iran, un trattamento finanziario e militare simile a quello concesso dagli Stati Uniti all´Egitto. E questo George W. Bush lo rifiuta, e lascia la Siria nell´Asse del Male.
Si può concludere che la festa per un´Unione mediterranea mancata avrebbe un finale a sorpresa, e comunque grandioso, se l´israeliano Olmert cercasse il siriano Assad e gli stringesse la mano. O viceversa. In fondo saranno lì a due passi l´uno dall´altro. Ma chi osa sperare tanto? Forse neppure Sarkozy. Il quale ha tuttavia avuto ragione di invitare Assad. L´annuncio dello scambio di ambasciate tra Beirut e Damasco valeva una messa, anche solenne, a Parigi.

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