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Il Foglio - Il Riformista - Il Giornale - Informazione Corretta Rassegna Stampa
14.06.2007 La guerra civile interpalestinese
cronache e analisi

Testata:Il Foglio - Il Riformista - Il Giornale - Informazione Corretta
Autore: Carlo Panella - Emanuele Ottolenghi - Fiamma Nirenstein - Deborah Fait
Titolo: «Una logica feroce a Gaza e a Beirut - Il successo del nuovo stato islamico di Gaza - Anp, una guerra civile annunciata - Ma ormai è tardi per spegnere il fuoco - Rivogliamo Israele»

L'editoriale del FOGLIO del 24 giugno 2007:

La ferocia disumana è il tratto saliente dei combattimenti a Gaza. Non violenza cieca e bestiale, passioni insane di una guerra fratricida. Qualcosa di peggio, di freddo. Vediamo miliziani con eccellente professionalità, che si muovono secondo piani precisi, con tempi segnati dal cronometro. Sparano alle gambe ai prigionieri che si arrendono, prelevano il cuoco di Abu Mazen, lo legano mani e piedi, lo trasportano per i 15 piani di un edificio e lo scaraventano al suolo: eloquente messaggio per il suo principale. Vediamo miliziani di Fatah che entrano in un ospedale, uccidono un membro di Hamas ferito, sparano nelle corsie. Non l’esplosione improvvisa di una faida, ma l’esecuzione di un chirurgico piano militare. E’ ferocia da jihad.
Naturalmente, c’è chi, come Massimo D’Alema, legge anche in questo una colpa di Israele: “La spirale di violenza che è riesplosa a Gaza è frutto di una situazione senza speranza in cui ha messo le radici un estremismo folle e violento”. La responsabilità morale, dunque, è di chi, secondo D’Alema, ha condannato i palestinesi a “una situazione senza speranza”. Ma se D’Alema frequentasse finalmente la storia della Palestina scoprirebbe che un’identica ferocia si scatenò nella guerra civile interpalestinese del 1936-39, quando gli antesignani di Hamas gettavano gli antesignani di Fatah nei pozzi pieni di scorpioni e 4.500 palestinesi furono massacrati da palestinesi. Prenderebbe finalmente atto che l’estremismo jihadista folle e violento che caratterizza il movimento palestinese da anni è ciò che ha obbligato Israele alle sue scelte. Prenderebbe atto, infine, di quello che non vuole vedere: Hamas, Hezbollah e la Siria si muovono di concerto e l’attentato che ha ucciso ieri a Beirut il parlamentare antisiriano Walid Eido e suo figlio non è una coincidenza. Infiammata Gaza, s’infiamma il Libano. La logica del jihad è ferrea.

Un articolo di Carlo Panella:

Sulle sponde del Mediterraneo sta nascendo nel sangue un nuovo stato. Uno stato islamico, in cui vengono fatti saltare in aria gli Internet cafè, in cui le donne devono girare velate, nella cui costituzione materiale – lo statuto di Hamas – è scritto che gli ebrei sono “porci e scimmie”. Uno stato nato in una feroce guerra civile, dominato da un partito, Hamas, che ha dimostrato di sapere costruire un’eccellente rete di consenso popolare, alleanze internazionali di rispetto, e che dispone di milizie che hanno saputo mettere in atto in modo eccellente un disegno preparato da mesi, che ha sbaragliato prima politicamente, poi militarmente le milizie avversarie. Gaza non è soltanto una “Hamas-land”, è qualcosa di più e di peggio: è il successo pieno di una strategia di espansione della rivoluzione jihadista che ha il suo motore a Teheran, le sue basi d’appoggio in Siria e nel Libano degli Hezbollah, e che ha saputo trasformare consenso politico e successo elettorale in un eccellente trampolino per imporre con le armi la logica inflessibile del Partito di Dio, che è partito unico. Da oggi uno stato in cui vige la sharia più rigida e retriva governa su un milione e mezzo di palestinesi e inizia i suoi passi massacrando a raffiche di mitra le gambe dei suoi prigionieri e sparando sui cortei dei pacifisti. La vittoria militare di Hamas non è frutto di un golpe, ma di una piena vittoria politica, non contrastata da nessuno, se non da Israele e dagli Stati Uniti. L’imbelle impotenza degli Stati arabi – Egitto e Arabia Saudita in testa – e l’ignavia dell’Unione europea, gli ammiccamenti, i corteggiamenti di tante cancellerie del Vecchio continente – Italia inclusa – non soltanto non hanno contrastato, ma hanno favorito colpevolmente il successo dei disegni del premier fondamentalista Ismail Haniye. La vittoria di Hamas avrà un effetto dirompente nel mondo arabo, perché dimostra che il jihad vince perché convince e perché spara. Da oggi, chi vuole distruggere Israele ha in Gaza una nuova, insanguinata capitale a cui guardare.

Dal RIFORMISTA, l'analisi di Emanule Ottolenghi:

La strisciante guerra civile palestinese in corso ormai da mesi è nell’ultima settimana esplosa in tutta la sua violenza. Anche se in maniera più sporadica e meno acuta dei drammatici sviluppi degli ultimi giorni, che ci fosse una guerra civile era evidente e inevitabile, almeno fintantoché non si fosse verificata una decisiva azione di disarmo di tutte le milizie e organizzazioni paramilitari presenti nei territori palestinesi. La comunità internazionale, l’Europa in particolare, ha fallito nel compito di spingere i palestinesi a riportare da soli l’ordine nella Striscia di Gaza dopo il ritiro israeliano. Nessuno stato può stabilire la propria autorità e sovranità senza il monopolio dell’uso della violenza sul proprio territorio e il disarmo delle milizie sarebbe dovuto essere il primo passo di affermazione di sovranità palestinese all’indomani del ritiro israeliano nell’estate 2005. La decisione palestinese di evitare o ritardare il confronto tra bande armate, milizie, e forze di polizia e di sicurezza varie va certamente compresa nell’ambito della logica interna palestinese - nel desiderio di evitare la guerra civile e fratricida primo tra tutti. Ma è stato un errore, con conseguenze gravi non soltanto per la tragica perdita di vite umane, ma anche perché esso rappresenta la più grande minaccia alle aspirazioni palestinesi di uno stato. Il tentativo di barricarsi dietro a scuse di vario genere, addossando la responsabilità del clima violento a Gaza sull’occupante israeliano, è servito più che altro come esercizio retorico per i facilmente suggestionabili e come scusa,ma non ha evitato il disastro in corso.Tuttavia, esso è un sintomo, insieme alla guerra civile in corso, di come i palestinesi non siano capaci di autogovernarsi. Non soltanto il caos, l’anarchia e il governo delle bande armate domina i territori, rendendo impossibile il funzionamento regolare di qualsiasi servizio pubblico, ma l’esistenza di forze armate indipendenti da un’autorità centrale ha portato ad azioni terroristiche contro Israele su cui l’Autorità palestinese non ha alcun controllo né è in grado di intervenire. Quand’anche un accordo di pace fosse raggiunto tra Israele e l’Anp, in queste condizioni l’Anp non sarebbe in grado, insomma, di attuare gli impegni presi. All’implosione della società palestinese, che presa tra corruzione, incompetenza gestionale e anarchia si è sempre più prestata alla “protezione”di bande armate locali, fa ora seguito la guerra civile,con lo spettro di una divisione fondamentale dei territori, tra Gaza e la Cisgiordania - l’una sotto Hamas e l’altra sotto Fatah. Un accordo è insomma da escludersi, quest’anno e forse ben oltre. Mai, come oggi, i palestinesi sono stati lontani dall’attuazione delle loro aspirazioni nazionali. E come in passato la colpa ricade sui loro leader. L’Europa, di fronte a tale accelerazione della guerra civile palestinese, ha mostrato ripetutamente una mancanza di realismo e incomprensione della situazione. Insistendo su un accordo politico complessivo che risolvesse tutti i problemi in un colpo e puntando sull’auspicata moderazione di Hamas a seguito dell’entrata al governo e dell’accordo di unità nazionale con Fatah,l’Europa non ha saputo vedere quanto era chiaro e inevitabile ormai da almeno due anni a questa parte: la guerra civile e il crollo finale della società palestinese.Annunciando il rilassamento dell’embargo economico all’Anp lunedì, mentre Hamas e Fatah buttavano i rispettivi guerriglieri giù dai tetti di Gaza,l’Europa ha chiarito come intenda sprecare in maniera irresponsabile i quattrini del contribuente, invece che prendere le misure necessarie per ristabilire l’ordine.Di fronte a quanto sta accadendo a Gaza, i tentativi di levare l’embargo economico contro l’Anp e il governo guidato da Hamas appaiono patetici. Più seria, ma altrettanto inefficace, è l’idea di inviare una forza d’interposizione al confine tra Gaza e l’Egitto, per prevenire il traffico d’armi. L’Europa ha già una presenza, per altro sporadica visti i rischi, con 70 osservatori incaricati di monitorare il passaggio frontaliero. E’ un po’ come mettere una porta in mezzo al deserto, ben dotata di lucchetti e telecamere, pensando che chiunque attraversi il deserto passerà per forza da quella porta. Certo, una forza più robusta e con un mandato più aggressivo potrebbe impedire ulteriori consegne d’armi, ma il problema non è solamente economico, sociale, o di sicurezza (anche perché un controllo effettivo del confine comunque non disarma chi sta già a Gaza): è un problema politico dell’effettiva impossibilità di attuare in queste circostanze la visione di uno stato palestinese. Invece che curare la malattia insomma, tali misure puntano ad alleviare i sintomi o ritardare il collasso del paziente. Ma la violenza degli ultimi giorni, con 70 persone uccise in meno di una settimana, centinaia di feriti, le brutali violenze che le hanno accompagnate e la fuga verso l’Egitto di chi può permetterselo indicano come la situazione sia senza speranza. Né i leader palestinesi brillano, come in passato, per coraggio e determinazione. Nel momento del bisogno, la nomenklatura di Fatah - Mahmoud Abbas, Mahmoud Dahlan e altri comandanti e ufficiali - era assente da Gaza, proprio quando occorrevano coraggio e leadership. Cosa fare dunque? Gli aiuti umanitari alleviano temporaneamente la sofferenza della popolazione, ma nel lungo periodo l’Europa, che tanto ha investito nell’indipendenza palestinese, non può più ignorare la realtà e deve inviare truppe e amministratori. Non come in Libano, a far da forza d’interposizione. Ma per creare un vero e proprio protettorato, sulla falsa riga dell’esperienza in Bosnia e Kosovo, dotato di amministrazione, forze armate, polizia, ordine giudiziario e quant’altro occorre per far funzionare uno stato, e che, una volta ristabilito l’ordine a Gaza, con la forza se necessario, insegni ai palestinesi

L'offensiva di Hamas promossa dall'Iran. E' l'analisi di Gianandrea Gaiani su LIBERO:
Hamas ha iniziato a investire le tre principali sedi della sicurezza palestinese - legata ad Al Fatah - a Gaza, capitale della Striscia, con colpi di mortaio e lancio di granate. I militanti del gruppo islamista hanno assunto il controllo della quasi totalità della Striscia, hanno intimato la resa agli agenti dell'Anp; ieri mattina l'organizzazione estremista aveva dato due giorni di tempo alle forze di al Fatah per deporre le armi, mentre a Nablus miliziani delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, braccio armato del partito del presidente laico Abu Mazen, hanno sequestrato dodici attivisti di Hamas. Con gli 8 morti di ieri salgono a 52 le vittime degli scontri di questi ultimi giorni. LO SCENARIO Rispetto alle scaramucce precedenti quella condotta dai miliziani di Hamas in questi ultimi giorni è una vera e propria offensiva coordinata da una struttura militare di comando e controllo. Le operazioni condotte dagli uomini di Hamas e l'attacco ai comandi delle milizie di Fatah e delle forze di sicurezza dell'ANP lasciano intendere la precisa volontà degli attaccanti di assumere il controllo politico e militare dell'intera Striscia di Gaza. L'ultimatum posto agli uomini di Fatah per ottenerne la resa e il loro sbandamento, con decine di miliziani fedeli al presidente Abu Mazen in fuga in Egitto, denotano ampie capacità di pianificazione e condotta dell'operazione. Un colpo di stato, come lo ha definito il portavoce della Sicurezza nazionale palestinese, Abu Khussa, che per il momento rischia di spaccare in due i territori palestinesi con Gaza in mano ad Hamas e la Cisgiordania ancora controllata da Fatah anche se gli scontri di Ramallah potrebbero indicare l'intenzione di assumere il controllo di tutti i territori amministrati dall'ANP. Un'operazione di questa portata non poteva essere messa a punto senza il supporto dell'Iran, da sempre lo sponsor di Hamas che nell'ultimo anno ha donato beh 50 milioni di dollari all'organizzazione estremista oltre alle armi inviate a Gaza tramite i tunnel lungo il confine egiziano utilizzati dai contrabbandieri. Un supporto che ha permesso di triplicare i miliziani, da 3.000 a 9.000, molti dei quali hanno effettuato corsi di addestramento al combattimento, guerriglia e terrorismo nei campi degli Hezbollah libanesi (i due movimenti sono legati da un patto d'alleanza siglato nel 2000) o direttamente in Iran. Alla fine di aprile il generale israeliano Yoav Galant, comandante della regione militare meridionale (colpita ogni giorno dai razzi Qassam lanciati da Gaza) aveva denunciato la presenza nella Striscia di consiglieri militari iraniani appartenenti ai pasdaran, attivi anche in Libano e Iraq. LA TENAGLIA Il successo militare di Hamas consentirà all'Iran di poter trasformare Gaza in un nuovo Libano meridionale, fornendo armi sempre più potenti ai miliziani e completando l'accerchiamento di Israele. Con la Siria già alleata di Teheran, l'eventuale caduta della Cisgiordania nelle mani di Hamas metterebbe tutti i confini di Israele alla mercé delle milizie filo-iraniane. Con la tensione sempre più alta in Libano da dove gli analisti israeliani si attendono nuovi attacchi da parte di Hezbollah, Israele potrebbe presto essere costretto a nuove offensive esponendosi ai rischi di una rioccupazione dei territori palestinesi. La strategia iraniana viene denunciata anche da Washington e Londra che puntano il dito contro il ruolo di Teheran nella destabilizzazione di Iraq e Afghanistan.

Dal GIORNALE, il commento di Fiamma Nirenstein:

E che altro doveva accadere se non che Shimon Peres, divenisse finalmente, com’è avvenuto ieri, primo cittadino di Israele? Che altro, se non che Ehud Barak, ex primo ministro e capo di Stato maggiore, fosse eletto martedì capo della sinistra, pronto a sostituire finalmente Peretz nel ruolo di ministro della Difesa e domani in quello di candidato a Primo ministro, l’unico che possa battersi con Netanyahu? E infine, in questi giorni in cui alcune ineluttabili verità si sono condensate in un appuntamento già fissato con la storia, che altro poteva accadere, se non la deflagrazione palestinese dovuta alla presenza di una forza integralista islamica al potere fra i palestinesi, e nella parte a essa opposta, allo spappolamento morale e all’inferocimento di Fatah a causa del regno di Arafat e della sua Intifada del terrorismo suicida?
C’è una logica molto moderna in quello che accade, carica di presagi di cui tener conto. Peres a 84 anni, figlio spirituale di Ben Gurion, padre sia delle strutture atomiche israliane che del processo di pace, farà nel suo nuovo ruolo di cui ha subito sottolineato la apoliticità, una quantità di politica: passi verso accordi anche temporanei, che dispiaceranno alla destra, ma che salvaguarderanno l’immagine di un Paese in pericolo di vita, che ha bisogno di consenso di fronte all’aggressione islamista iraniana; Barak, rimetterà in onore a sinistra le politiche di deterrenza, laddove invece ci si è alquanto spenzolati verso partner inesistenti incapaci di prevedere che l’Iran, gli hezbollah, Hamas fossero tanto pericolosi. E i palestinesi... qui sta il punto davvero dolente e fatale.
Quello che sta accadendo in queste ore prelude alla conquista di Gaza da parte di Hamas, più forte militarmente di Fatah. Il terremoto sta già scuotendo anche il West Bank, che, anche se Fatah resterà nei Territori, avrà una porosità maggiore al terrorismo proveniente dal nord, quello che viene da Damasco e dal Libano. Via le prospettive di accordi prossimi venturi con Israele, via la speranza alimentata oltre la ragione che Hamas nascondesse una natura mite che sarebbe venuta fuori col potere; e che Abu Mazen potesse regnare su una situazione in cui invece la furia islamista si è presentata intera e ha sbaraccato ogni residuo di vecchio nazionalismo; e via anche l’idea che l’Egitto, la Giordania e anche l’Arabia Saudita abbiano voglia di prendere per le corna il toro di Hamas. Più di tutto, la pena per la sorte dei palestinesi, che abbiamo visto avviarsi in fuga su vecchi taxi verso il passaggio di Rafiah che porta in Egitto, non deve obliare che Hamas, con tutta la sua crudeltà, è cresciuta a dismisura proprio nella balorda credenza, anche italiana, che potesse convertirsi; anche gli uomini di Fatah hanno ricevuto armi e denaro da parte europea e anche americana nell’illusione che potessero domare Khaled Mashaal. Non vogliamo certo maramaldeggiare, ma è indispensabile osservare la dinamica interna degli scontri di questi giorni per potere più avanti essere utili nel superarla. Guardiamo dunque alla condanna dell’Human Rights Watch di «gruppi armati palestinesi», una vera novità nell’ambito delle decisioni delle ong sempre e soltanto antisraeliane: sono state compiute, ha detto l’ong, violazioni dei diritti umani e anche crimini di guerra. Basta pensare agli edifici pubblici e alle case private incendiati, agli autentici bombardamenti di razzi katiusha e Nun Tet lanciati da Hamas e da Fatah su moschee e ospedali, alla gente rinchiusa in casa in preda al terrore. Racconta Khaled Abu Toameh, giornalista palestinese, che Jamal Abu Jadian, leader di Fatah, vestito da donna, è fuggito con la famiglia dalla casa assediata da Hamas; ferito, giunto all’ospedale, Kamal Udwan, dove voleva farsi medicare insieme ai suoi, quaranta pallottole gli hanno letteralmente fatto volare via la testa. Muhammed al Ra’fati, predicatore di una Moschea in odore di Hamas, è stato sequestrato e ucciso a sangue freddo. Uomini di Fatah hanno assediato moschee di Hamas, e Hamas le moschee di Fatah. In uno scontro a fuoco con le finestre di un ospedale pieno fino all’incredibile di gente ferita e moribonda (uno dei tanti) c’è stato un morto di Fatah e uno di Hamas. Il cuoco ventottenne della guardia presidenziale di Abu mazen, Muhammad Swairki, è volato dal quindicesimo piano.
Gli egiziani intenti alla mediazione, i quali temono che la situazione di Gaza possa creare idee sbagliate nella loro Fratellanza Islamica e in Al Qaida che si aggira per il Sinai, denunciano «alcune modalità dello scontro simili a quelle irachene», in particolare la mutilazione dei corpi segnalerebbe la presenza dei seguaci di Bin Laden. Ed è del tutto evidente agli analisti che il fuoco è tenuto al calor bianco dalla solita impresa Iran-Siria-Hezbollah-Hamas che ne fa un’arma di ricatto verso tutto il mondo. L’ambito culturale dunque di queste imprese, l’abiezione morale delle operazioni di guerra che infieriscono su donne e bambini dei campi avversi, non potevano altro che portare, in una di quelle consuete imprese che cercano di provocare Israele per ricompattare i palestinesi, all’attentato terrorista andato a vuoto quando ieri al varco di Erez sono state arrestate due aspiranti terroriste suicide armate di cintura dirette a Natania e a Tel Aviv, una di 30 anni, madre di 4 bambini e l’altra di 39, madre di 9, incinta, ambedue in possesso di documenti che permettevano loro di andare a farsi curare in ospedali israeliani, come vuole la legge di Israele. Madri, incinte, con falsi documenti umanitari... è orribile, ma si tratta della morale religiosa messianica e integralista che del resto mostra il popolare videoclip della tv palestinese, uno dei tanti, in cui una madre si fa saltare per aria, e i suoi bambini sono contenti perché la rivedranno in cielo.
L’ispirazione dei guerrieri di Fatah e di Hamas, anche se ci sono evidenti differenze fra di loro, è tuttavia identica quando si pensa che la cultura più diffusa in questi anni è stata quella del selvaggio uso della violenza contro i civili. Mi si chiede se l’elezione di Peres potrà avere un’influenza benefica sull’area. Potrà far piacere. Ma né Peres né Barak né nessun altro attore internazionale possono oggi aiutare i palestinesi se restano chiusi, Fatah e Hamas insieme, in un mondo votato alla guerra, alla distruzione di Israele, e nel caso di Hamas, dell’Occidente. E ci dispiace.

Il commento di Deborah Fait:

Per 40 anni gli ammiratori dei palestinesi  hanno messo in croce Israele!

Per 40 anni hanno urlato, bruciato bandiere, scandito slogan su Israele che deve morire, su Israele che e' nazista, su Israele che occupa la terra dei palestinesi.
Per 40 anni hanno considerato Arafat un santo e hanno sempre negato che fosse la mostruosita'  che in realta' era e il peggior nemico dei palestinesi portati da lui alla distruzione morale e materiale.
Per 40 anni hanno travolto  la verita' storica giurando che i palestinesi erano gli autoctoni , anche se arrivati solo alla fine dell'800 dai paesi arabi circostanti, e che gli ebrei, qui da 5000 anni,  avevano rubato le loro terre, per 40 anni hanno accusato Israele di ogni nefandezza e porcheria e negato il diritto degli ebrei di vivere nel proprio paese. 
Per 40 anni ci hanno derisi perche' dicevamo  che l'unico obiettivo palestinese era la distruzione di Israele affinche' tutto il territorio diventasse arabo e la Palestina mandataria fosse divisa tra Giordania e Siria.
Per 40 anni hanno negato che i paesi arabi  usassero questa gente solo come arma per la distruzione di Israele e come propaganda per mettere il mondo contro di noi e non avessero nessuna intenzione di dar loro un paese.
Per 40 anni Israele e' stato ritenuto e accusato di essere l'unico responsabile delle disgrazie palestinesi e per 40 anni ogni tentativo di arrivare ad un accordo e' stato considerato inadeguato ai diritti presunti dei palestinesi.
Persino la maggioranza dei territori, persino Gerusalemme Est, niente era abbastanza, volevano tutto, volevano Tel Aviv, Jaffo, Haifa e , come predicava sputacchiando il loro leader, volevano gli ebrei in mare. 
Per 40 anni ci hanno perseguitati con risoluzioni ONU , Israele  ne ha ricevute a centinaia, infinite volte di piu' di paesi come l'Uganda, la Cina, le dittature arabo/islamiche. 
E per 40 anni hanno rotto i coglioni e minacciato Israele, condannato Israele, demonizzato Israele, boicottato Israele, negato a Israele il diritto di esistere e di difendersi dal terrorismo. Hanno gridato "Palestina libera Palestina rossa" e adesso che la Palestina e' rossa di sangue saranno soddisfatti.  
Bene, benissimo ,  i nodi vengono  al pettine., l'ANP e' ormai un rottame alla deriva e Hamas sta prendendo il potere su tutta la Striscia di Gaza, la guerra civile e' scoppiata e i palestinesi si ammazzano tra loro con la stessa ferocia con cui ammazzano gli israeliani.
Il mondo e' preoccupato, finalmente e, dopo aver tentato di censurare le guerra interna palestinese per non far sfigurare i loro protetti, i media parlano apertamente di quello che sta accadendo a Gaza ma non danno soluzioni.
Strano, ne hanno sempre date a iosa a Israele, doveva fare questo, doveva  fare quello, doveva  accettare tutte le condizioni, doveva ritirarsi e quando si ritirava sbagliava comunque perche' doveva restare per insegnar loro a lavorare, poverini. Se Israele rifiutava di ritirarsi dentro le linee armistiziali del 67 o del 48  allora era intrasnsigente  e, se attaccato dal terrorismo, era anche  inadeguatamente esagerato nelle reazioni.
Adesso questi paladini del nulla  hanno il quadro della situazione, i territori sono scoppiati, da una parte hamas col primo ministro dell'ANP Hanniyeh, terrorista e criminale.
Dall'altra Fatah col presidente dell'ANP , Abu Mazen, imbelle e quasi incapace di parlare.
Tra i due vediamo faide e bande di gangster che si ammazzano a vicenda e una popolazione che dopo aver adorato per 40 anni il folle assassino che li ha portati alla rovina, ha irresponsabilmente votato Hamas che sta completando l'opera di Arafat detto Arraffa.   
Stanno scappando, stanno demolendo le reti di confine tra Gaza e l'Egitto per allontanarsi dai territori.
Intanto due di loro, per non perdere l'abitudine alla morte,  due mamme, una di queste incinta, hanno tentato di andare a fare le kamikaze in Israele, dovevano ammazzare ebrei, ammazzandosi, a Tel Aviv e a Natanya.
Ma dove hanno la testa? ma dove hanno il senso della vita? Dove hanno l'anima?
L'unica popolazione che per 60 anni accetta di stare rinchiusa nei campi profughi, l'unica popolazione che, avendo l'opportunita' di votare, elegge il peggio del peggio forse non merita niente di piu' di quello che ha.
Non mi fanno pena, mi dispiace ma non mi fanno pena,  sono responsabili della loro rovina, colpevoli di aver sempre accettato l'idea che Israele andava distrutto, rei di aver educato i loro stessi figli nella cultura della morte e di averli mandati a morire per ammazzare gli ebrei.
Adesso gridano di voler di nuovo Israele.
Sanno che la palestina non esistera' mai perche' un popolo deve essere pronto per avere uno stato, un popolo deve essere soprattutto un popolo non un'accozzaglia di bande  mafiose.
Hanno gettato alle ortiche ogni possibilita' di fare qualcosa, di avere qualcosa, di creare e costruire, hanno scelto la morte e la distruzione e adesso sono nelle mani degli eredi del demonio che li ha ridotti cosi'.
Andassero almeno a sputare sulla sua tomba.

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