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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Giornale-Libero-Corriere della Sera Rassegna Stampa
31.12.2006 Il mondo senza Saddam
i commenti di Nirenstein,Pezzana,Gluksmann

Testata:Il Giornale-Libero-Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein, Angelo Pezzana, André Gluksmann
Titolo: «Saddam impiccato»

Sulla condanna a morte di Saddam Hussein pubblichiamo tre commenti. Fiamma Nirenstein dal GIORNALE, Angelo Pezzana da LIBERO, André Glucksmann dal CORRIERE della SERA, di oggi 31/12/2006

Fiamma Nirenstein, IL GIORNALE, pag.1, titolo:  "Una lezione esemplare per i satrapi".

La vista di Saddam Hussein col cappio al collo, l'ultima paura, quella che non potrà mai essere narrata, negli occhi quando il boia gli spiega la procedura che lo attende, è estrema per l'occhio occidentale; guardarla sullo schermo televisivo, oltre alla sensazione di assistere a un evento storico ci ha dato anche il sospetto non peregrino che la maggioranza di noi occidentali spiasse l'attimo privato della dipartita di un uomo, oltre che di un dittatore. Lo spettacolo dell'esecuzione pubblica ormai è fortunatamente in disuso presso tutti i popoli occidentali, presso quasi tutti è stata eliminata la pena di morte, e questo per ottimi e profondi motivi. Con questo, vogliamo anche affermare che di sicuro, chiunque obbietti all'esecuzione della condanna dal punto di vista della sacralità della vita per motivi di etica religiosa o laica, non può che avere ragione. Eppure questo non ci esime, a meno che non ci si consideri in prima persona ambasciatori del Cielo, dall'osservazione del Medio Oriente e di come l’esecuzione di Saddam Hussein interagisce con le sue dinamiche.
Cercando di schematizzare al massimo, quattro ci sembrano i punti essenziali. Il primo: Nuri el Maliki, il primo ministro iracheno, ha detto una profonda verità quando ha affermato che la condanna di Saddam costituisce una «forte lezione» ai suoi colleghi e ai suoi seguaci, e ha ragione anche quando dice che non bisogna mancare di rispetto alle centinaia di migliaia di vittime della sua dittatura discutendo la scelta del tribunale. Tradotto in politica, è la prima volta che un dittatore arabo ritenuto intoccabile, grondante sangue violenza e guerre, ha subìto una condanna eseguita da un tribunale regolare, quali che possano essere stati i limiti nell'applicazione della legge, così fresca e esercitata in clima controverso.
Tuttavia, avvocati, giudici, guardie, emanazione della novella democrazia che gli iracheni hanno dimostrato disperatamente in mezzo agli attentati di volere,

hanno pagato anche con la vita per aver voluto sottoporre alla giustizia pubblica il loro dittatore. Il mondo mediorientale che guarda, adesso sa che fino in fondo, senza scherzi e senza trucchi, un dittatore che uccide, minaccia, taglieggia, trascina il suo popolo in una continua aggressione verso l'esterno, può anche pagare con la vita. Si può essere certi che durante la giornata di ieri parecchi brividi sono corsi lungo le schiene di rais che comunque, anche se la guerra in Irak è stata tanto vituperata, dai tempi dell'intervento americano discutono la democrazia; fra loro alcuni intraprendono riforme (come Mubarak) altri si avventurano in proposte di pace (molto meno credibile, Bashar Assad di Siria). Altri, come Ahmadinejad e i leader di Hamas e degli Hezbollah, preparano una guerra dura. Ma tutti adesso sanno che non si scherza.
Bisogna figurarsi cosa sarebbe accaduto se Saddam fosse stato graziato, o la sua pena fosse stata commutata, ambedue peraltro soluzioni molto difficili a norma della legge irachena: il mondo arabo avrebbe visto in questo un segnale di enorme, ridicola debolezza sia della già molto provata democrazia irachena, che dell'idea della democrazia stessa in Medio Oriente (che pure deve essere riletta correggendo gli errori e le ingenuità dell'Occidente), come anche dei regimi islamici moderati, degli Usa e dell'Occidente in generale. Le risate di scherno avrebbero dato forza a un'ulteriore spallata terroristica contro queste entità.
In secondo luogo: molti temono adesso una recrudescenza del terrorismo. Non è escluso, naturalmente. Non che i rischi di crescita del terrorismo, tuttavia, adesso fossero trascurabili. Rischi impellenti, come quello di un ulteriore impegno iraniano, e rischi straordinari. Per esempio mi dice uno fra i più autorevoli osservatori del Medio Oriente, Uri Lubrani, israeliano di origine iraniana, capo di un prestigioso quanto segreto ufficio al ministero degli Esteri, che non è mai sparita la preoccupazione che Saddam potesse trovare una via di fuga fra le rovine del terremoto iraniano,

negli scontri fra sciiti e sunniti. «Era una possibilità verificata come reale, e la temevamo più di ogni altra - ci dice Lubrani -: Saddam non si trovava a Sant'Elena».
In quel caso il bagno di sangue non avrebbe avuto confini: Saddam avrebbe allora rimesso in funzione la più pericolosa fra le sue macchine di potere, ovvero l'ambizione che lo aveva portato a perseguire la bomba atomica, a lanciare 35 missili contro Israele durante la prima guerra del Golfo, a armarsi di armi chimiche e biologiche verificate dalle missioni dell'Onu in fasi successive, a invadere il Kuwait, a minacciare l'Arabia Saudita, a fare una guerra con milioni di morti contro l'Iran, a gasare i curdi nell'88, a ordinare stragi continue e immani di sciiti, a pagare 25mila dollari alla famiglia di ogni terrorista suicida palestinese che portasse sangue ebraico come trofeo, a fare di Bagdad un centro del terrore mondiale. Non bisogna nella pietà, che pure ha tutti i diritti di esprimersi, dimenticare chi fosse Saddam: uno dei personaggi che porta la responsabilità dello stato pietoso del Medio Oriente odierno. La sua scomparsa può, sì, senz'altro creare un periodo di ulteriore terrore; eppure dobbiamo deciderci a smontare l'idea che l'aggressività sia causata prevalentemente dai nostri errori, da quelli americani o israeliani, e a identificare nella enorme insorgenza jihadista del nostro tempo il vero responsabile.
Terzo punto: il regime iraniano ha rilasciato una delle poche dichiarazioni di soddisfazione per l'esecuzione. Non ci si poteva aspettare niente di diverso, dal tempo della guerra Iran-Irak, sanguinosa e orrenda, ogni iraniano odia con sentimento personale il dittatore iracheno. Tuttavia, le ragioni della gioia di Ahmadinejad in prospettiva sono alquanto conturbanti: il presidente iraniano infatti ha già fatto del suo meglio, e con successo, per giuocare il ruolo del grande agitatore contro la democrazia irachena con esportazione di armi e uomini, ha spinto la parte sciita sul fronte antiamericano e antioccidentale come parte del suo disegno egemonico.

Angelo Pezzana da LIBERO, pag 1, titolo: " Queste immagini sono necessarie".

Che Saddam Hussein vivo sia stato un problema, per le forze alleate come per il legittimo governo iracheno, è più che sicuro. Le cose sarebbero andate diversamente se il rais fosse stato eliminato al momento della cattura. Ma così non è andata, e gli americani sono talmente poco figli di Machiavelli per poter immaginare una soluzione, diciamo così, aggiustata. Mai e poi mai, come per le mai trovate armi di distruzione di massa. Che ci voleva a riempire qualche bottiglia con qualche soluzione chimica adeguatamente preparata, nasconderle sotto un po’ di sabbia, ed ecco le armi che tutti cercano, specialmente in Europa, dove la loro inesistenza è stato uno dei leit motiv più frequentemente usati in funzione antiamericana. Le stragi di Saddam non  essendo mai state giudicate sufficienti per condannarne il regime. Eppure no, per gli americani il rispetto della verità storica viene prima di ogni altra considerazione, costi quello che costi.  Con Saddam in prigione è stato lo stesso. Certo, il processo, checchè ne dicano i suoi critici, è stato regolare e persino garantista, tanto le prove dei crimini erano schiaccianti. C’è però un aspetto che l’opinione pubblica occidentale in genere non valuta, come ci ricorda il professor Efraim Inbar, docente di strategia politica all’Università Bar Ilan in Israele.

 

“Certo, quando è stato catturato, è stato commesso un errore nella sottovalutazione delle sue forze” ci dice,” ma ciò che conta è liberarsi da quella palla al piede che sono i luoghi comuni quando si parla di mondo arabo. Dove il problema non è l’islam ma la politica. Gli arabi non sono in favore del dialogo, rispettano il potere  e a quello ubbidiscono”. Per questo Saddam in vita, magari anche condannato all’ergastolo, come è abituale nel mondo occidentale quando si giudicano degli imputati per crimini particolarmente efferati, avrebbe soddisfatto noi europei, che da tempo abbiamo abolito la pena di morte. Ma non avrebbe risolto il problema Iraq, dove dalla cattura di Saddam ad oggi gli attentati e le stragi sono aumentate a dismisura, perche il capo, anche se in prigione, è ancora vivo, e può usufruire di un potere reale. Nella mentalità araba il capo, il leader, finchè è vivo continua a incutere timore e paura”,  dice il prof. Inbar. Questo ragionamento porta dritto a Israele e alla sua politica nei confronti del terrorismo. In Israele non esiste la pena di morte,   l’ha applicata una sola volta nella sua storia di Stato libero e democratico, quando catturò Adolf  Eichman, l’esecutore della soluzione finale. Fu un processo epocale  a Gerusalemme, tutte le atrocità commesse da Hitler e dalla sua banda vennero rievocate con la testimonianza del massimo fra gli esecutori. Al termine del processo la sentenza fu uguale a quella toccata a Saddam, impiccagione.  Israele è un paese che per difendere il diritto di esistere deve ricorrere, come estrema possibilità, alla politica degli omici mirati, proprio Israele che non ammette la pena di morte nel suo sistema giudiziario. Potrebbe sembrare una contraddizione, ma tale non è. Perchè, come ci diceva il prof.Inbar, la testa del serpente va tagliata se si vuole eliminarne la pericolosità. Noi dovremmo smetterla di ragionare da europei, quando ci riferiamo ai paesi arabi. Abbiamo visto gli iracheni ballare per le strade di Bagdad dopo aver seguito in televisione l’esecuzione. Avevano ballato anche i palestinesi, quando nel 1991, durante la prima guerra del golfo, Saddam Hussein aveva lanciato i missili Scud contro Israele. “ Amato Saddam, colpisci Tel Aviv “, gli gridavano anche allora festanti per le strade. Ma anche allora andò diversamente da come Arafat e i suoi speravano. Sembra abbia detto “ La Palestina è araba “,  mentre gli mettevano il cappio al collo. Non  ha pensato alle centinaia di migliaia di persone che aveva fatto uccidere,  è rimasto uguale a quello che è sempre stato, uno spietato assassino. Ci saluti gli altri della banda, da Stalin a Mao, da Hitler a Arafat, e già che c’è anche lo sceicco Yassin, il più noto fra i caduti delle eliminazioni mirate israeliane. Fatevela buona, laggiù al caldo. E se vi sentite soli, abbiate pazienza. La lista d’attesa c’è, ed è ben nutrita.

Andrè Gluksmann, sul CORRIERE della SERA, a pag.1, titolo " Si scannano nel nome dello stesso Dio".

L'esplosione senza frontiere dei terrorismi alimenta il fantasma di un «ritorno del religioso». E suscita, imprevista ma logica, una reazione di rigetto: l'82% dei britannici — stando a un sondaggio diffuso la vigilia di Natale — ritiene che la religione faccia più male che bene!
In Francia, «figlia primogenita della Chiesa» ma oggi paladina dell'ignoranza, il numero dei cattolici dichiarati diminuisce del 25% in 15 anni e, di questi, meno di 1 su 20 è praticante regolare.Gli europei vivono «come se Dio non esistesse», ebbe a rimarcare Giovanni Paolo II. Ma tale declino del religioso non va ricondotto alle letture pagane né alle tirannidi del consumismo, poiché gli Usa rifuggono da una simile scristianizzazione. La cruda e triste realtà è che l'europeo si sente perfettamente a proprio agio: ha sperimentato, durante tutto un secolo, una violenza distruttiva più forte di Dio stesso. L'Islam, dal canto suo, sembra in preda a un impulso di morte di portata globale. Evocate
urbi et orbi da papa Benedetto XVI a Ratisbona, tali questioni assillano tutte le anime.
Forse che, alla chetichella, già si accendono i fuochi di una Terza guerra mondiale? Siamo ancora in tempo per scongiurarla? E come? O magari il famoso «scontro di civiltà» tra Occidente e Islam, che angustia Samuel Huntington ed entusiasma Bin Laden o Ahmadinejad, campeggerà sull'anno che si schiude, infiammerà il prossimo decennio, devasterà il XXI secolo? Uno scontro con il miliardo e mezzo di seguaci del Corano ci spingerà alla nostalgia? Rimpiangeremo la Guerra fredda con i due blocchi che si astennero, per mezzo secolo, dall'ascendere gli apocalittici gradini della dissuasione nucleare?
Nisba. Le nostre angosce, come succede agli Stati-maggiori, sono indietro di una guerra. Non esistono due blocchi, Islam e Occidente. Certo, un tempo c'era un mondo libero e uno totalitario. Ma oggi il presunto «mondo musulmano» è tutto fuorché uniforme. La «via araba» è pura fantasmagoria. Le bombe umane che si fanno esplodere in nome di Allah colpiscono in primissimo luogo correligionari. Chi uccide chi, in Iraq? A forza di vetture imbottite di esplosivo e di attentatori suicidi, ogni mese il numero dei civili iracheni rispediti al Padreterno supera quello dei Gi o degli altri «occupanti» morti da tre anni a questa parte. Ogni mese, a Bagdad, le milizie terroristiche «musulmane» massacrano tanti civili musulmani quante vittime Mohamed Atta e il suo commando fecero l'11 settembre a Manhattan. Prendiamo il Darfur: oppressori e oppressi, sfruttatori e sfruttati, carnefici e vittime adorano in modo identico il Profeta. O, ancora, quando i fanatici di Dio passano all'azione a Bali, Casablanca, Kabul o Algeri, sono semplici musulmani a essere torturati, lapidati e mandati all'inferno. Dov'è il sodalizio suggellato dagli zeloti di Maometto?
L'Iran si rallegra dell'impiccagione di Saddam. La maggioranza dei portavoce musulmani fingono di deplorarla senza insistere troppo (da parte mia non mi sento autorizzato al perdono al posto degli iracheni che gioiscono per l'esecuzione capitale quando sono genitori, figli o parenti del milione di vittime assassinate da un tiranno infinitamente peggiore di Mussolini. Mi dispiace solo che il despota sfugga così a un processo in stile Norimberga, che avrebbe mostrato in pubblico i suoi crimini più efferati e le complicità interne e internazionali delle quali si è servito). Si è portati a pensare che il governo iracheno non teme la «piazza araba» e la sua pretesa unanimità, visto che procede all'esecuzione il giorno stesso in cui due milioni di pellegrini si ammassano alla Mecca: prova supplementare che il «campo coranico» non è un campo, non è saldo né diplomaticamente né militarmente e meno ancora ideologicamente. Sarà bene ricordare come, l'estate scorsa, Egitto, Arabia Saudita e Giordania abbiano stigmatizzato gli attacchi dell'Hezbollah libanese aizzato contro Israele da Siria e Iran. Certo, sfide e conflitti infuriano, e rischiano di precipitare vertiginosamente, ma sono lungi dal contrapporre un blocco, il quale si rifarebbe alla Mezzaluna, a un altro blocco, l'Occidente, votato alla croce, alla Torah o alla laicità.
La destrezza e la maestria nello scannarsi reciprocamente in nome di uno stesso Dio, celeste o terrestre, sono assai familiari agli europei. Non occorre rievocare le guerre di religione. La Prima guerra mondiale vide schierati cristiani contro cristiani, molti dei quali affermavano di trovare nel conforto della fede l'energia per sopportare e perpetrare quattro anni di massacri ininterrotti. Non occorre stupirsi dello strano lassismo delle autorità morali musulmane di fronte alle peggiori atrocità commesse dai jihadisti. I nazisti non hanno forse beneficiato della cecità, della compiacenza, dell'inerzia o addirittura della complicità di altrettanti cristiani europei, dalla base al vertice della piramide gerarchica? La gerarchia ortodossa non si è forse tappata gli occhi, le orecchie e la bocca quando milioni di «sovietici» crepavano nei gulag? E, più di recente, non ha forse benedetto i carri armati che partivano per radere al suolo la Cecenia? Oggi, la fede coranica è ostaggio degli ingegneri delle bombe umane proprio come ieri i fascisti omicidi e suicidi giuravano
Viva la muerte! all'insegna di Cristo Re. Il Ventesimo secolo ha dato i natali all'Opa lanciata dalle ideologie del massacro sulle credenze celesti e laiche dell'europeo medio. Il Ventunesimo ha raccolto il testimone. Tocca ora all'Islam essere strumentalizzato dai fautori del crimine. Dopo le Ss e la Ceka, demoni incappucciati, religiosi, razzisti o nazionalisti perpetuano la danza macabra.
I conflitti dei lustri a venire non vedranno contrapposti Islam e Cristianesimo, Occidente e Oriente, Nord e Sud, ricchi e poveri. Di fronte a chi ama ricevere e infliggere morte e contro i fanatici di un potere conquistato e conservato grazie alla capacità di colpire e distruggere, ci sono i semplici mortali animati da una stessa inquietudine. Seguaci di diverse religioni o agnostici dichiarati, conservatori o progressisti, sognatori o realisti devono inventarsi una nuova strategia per vigilare su un pianeta pronto a infiammarsi. Le minoranze incendiarie e senza scrupoli (i nichilisti attivi) rivaleggiano in crudeltà approfittando del lassismo delle maggioranze intorpidite (i nichilisti passivi). A patto che si sappia identificare, di volta in volta, il volto degli incendiari, non è mai troppo tardi per lottare contro le fiamme.

In altra pagina altri commenti, pro e contro la sentenza.


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