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Il Foglio Rassegna Stampa
18.10.2016 Unesco, Italia: chi ha dato l'ordine di astenersi?
Editoriale di Claudio Cerasa, l'ironia di Andrea Marcenaro, analisi di Matteo Matzuzzi, E.C.

Testata: Il Foglio
Data: 18 ottobre 2016
Pagina: 1
Autore: Caludio Cerasa - Andrea Marcenaro - Matteo Matzuzzi - E.C.
Titolo: «Si va in piazza contro l'Unesco - Andrea's Version - L'antisemitismo congenito dell'Unesco - Perché l'Italia si è astenuta all'Unesco. Parlano Cicchitto e Della Vedova»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 18/10/2016, a pag. 1, con il titolo "Si va in piazza contro l'Unesco", l'editoriale di Claudio Cerasa; "Andrea's Version", di Andrea Marcenaro; con il titolo "L'antisemitismo congenito dell'Unesco", l'analisi di Matteo Matzuzzi; a pag. II, con il titolo "Perché l'Italia si è astenuta all'Unesco. Parlano Cicchitto e Della Vedova", l'analisi a firma E.C.

Chi ha ordinato all'Ambasciatore italiano presso l'Unesco Vincenza Lomonaco di astenersi sulla risoluzione che nega le radici ebraiche di Gerusalemme? Nessuno lo dice, lo chiediamo noi. Che il responsabile di questa vergogna esca allo scoperto.

Tra i molti ad aver scritto la propria indignazione al governo italiano, anche la Gran Loggia Nazionale Italiana, con un duro comunicato.

Claudio Cerasa: "Si va in piazza contro l'Unesco"

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Claudio Cerasa

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Nella vergognosa indifferenza di alcuni tra i più grandi paesi dell’occidente, Italia compresa, venerdì scorso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, l’Unesco, ha scelto di inviare un messaggio negazionista al mondo intero votando a larga maggioranza, a proposito di Educazione, una risoluzione sostenuta da alcuni paesi islamici (Algeria, Egitto, Marocco, Oman, Qatar e Sudan) che negando l’identità ebraica di alcuni siti di Gerusalemme, tra i quali il Monte del Tempio e il Muro del Pianto, il luogo più sacro agli ebrei del mondo intero, ha dato vita a quella che giustamente viene definita una grande Shoah culturale della memoria.

Quattromila anni spazzati via con una mozione che cancella la vita millenaria della Gerusalemme ebraica e che contribuisce a negare la legittimità dell’esistenza di Israele attraverso un escamotage culturale: la negazione della sua storia. Come abbiamo ricordato sabato sul Foglio, contro questa mozione sono stati appena sei i paesi a votare contro (Stati Uniti, Gran Bretagna, Lituania, Olanda, Germania ed Estonia) e questo giornale si augura che il viaggio in America del presidente del Consiglio Matteo Renzi possa essere un buon auspicio per portare anche l’Italia a ribellarsi contro quello che è uno dei passaggi di una grande e silenziosa guerra culturale di delegittimazione combattuta contro Israele (dall’Unione europea che sceglie di marchiare i prodotti delle colonie israeliane, con lo stesso stile con cui un tempo si imponevano le stelle gialle di Davide; fino alla scelta della Ue di tenere Hamas fuori dalla lista delle organizzazioni terroristiche).

Tra lunedì e martedì della prossima settimana la risoluzione sarà sottoposta a un voto definitivo e nei prossimi giorni il Foglio ospiterà i commenti dei suoi lettori sul tema. Ma faremo anche di più. L’Unesco ha scelto di cancellare il Muro del Pianto dalla storia di Israele e degli ebrei e noi per un giorno, domani, mercoledì 19 ottobre, alle 15 trasformeremo la sede dell’Unesco a Roma (Piazza di Firenze, 27, a pochi passi dal Parlamento) nel nostro Muro del Pianto: portando di fronte alla sede italiana dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura le lettere del Foglio e dei nostri lettori per spiegare che cancellare la storia di Israele non è Educazione, non è Scienza, non è Cultura: è semplicemente una Shoah culturale.

Andrea Marcenaro: "Andrea's Version"

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Andrea Marcenaro

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Il Muro Occidentale, a Gerusalemme

E così, secondo l’Unesco e i tromboni manutengoli dell’Onu, gli ebrei non hanno a che vedere col Muro del Pianto, e il Monte del Tempio, HarHaBait, è scomparso per via di una mozione, e il Kotel Hamaaravì (il Muro occidentale) dovrà chiamarsi da ora in poi al Buraq, dal nome del cavallo di Maometto, e i siti storici degli ebrei sono stati cancellati da un tratto di penna, per cancellarne la storia e l’esistenza. Ed è stata un’istituzione nata a presidio della cultura, a sventrare in questo modo la cultura e la storia. E l’Italia ufficiale non ha trovato il coraggio di opporsi. Si è astenuta. E la stampa italiana non ha trovato la questione degna di nota. Si è astenuta. E non si assisteva a un’infamia del genere dal 16 ottobre del 1943, quando, come bene hanno illustrato, l’altro ieri, le istituzioni civili e politiche italiane (con il sentito e diffuso cordoglio della stampa italiana), gli ebrei del Ghetto di Roma deportarono ad Auschwitz 1.259 membri della Gestapo e ne sopravvissero soltanto 16.

Matteo Matzuzzi: "L'antisemitismo congenito dell'Unesco"

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Matteo Matzuzzi

Roma. Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco e segretario generale dell’Onu mancata, fa la voce grossa e prende le distanze dall’Agenzia che lei stessa dirige. Fa pubblicare comunicati in cui spiega che “il patrimonio di Gerusalemme è indivisibile” aggiungendo che “negare, nascondere o voler cancellare una o l’altra delle tradizioni ebraica, cristiana o musulmana significa mettere in pericolo l’integrità del sito”. Bokova conosce meglio di chiunque altro l’orientamento manifestamente antisemita dell’Unesco, anche perché è grazie alla drammatica spaccatura che si concretizzò (proprio sull’accusa di antisemitismo al principale candidato alla carica) sette anni fa all’atto di eleggere il nuovo direttore generale che lei ha potuto conquistare l’agognata poltrona.

Il favorito di allora, da tempo annunciato, era il ministro della Cultura egiziana, Farouk Hosni, che già dieci anni prima aveva fatto il possibile per andare a dirigere l’Unesco, senza riuscirci. Poteva contare su un appoggio trasversale: Unione africana, Organizzazione della conferenza islamica e tanta Europa (Italia compresa). L’unica (debolissima) alternativa, più che altro di bandiera, era quella dell’austriaca Benita Ferrero-Waldner. Toccava a Hosni anche in virtù del solito e burocratico meccanismo della rotazione: dopo un giapponese toccava a un arabo. Tutto era pronto, sennonché iniziarono a essere resi pubblici i pensieri del promesso capo della grande Agenzia mondiale della cultura, e i giochi si riaprirono. “L’odio per Israele è nel nostro latte materno”, disse, irrobustendo tale linea ideologica con misure pratiche a tutti comprensibili: se mai avesse trovato libri israeliani nella biblioteca di Alessandria – disse – “li brucerò io stesso”.

Accortosi d’averla fatta grossa, Farouk Hosni si corresse. Disse d’essere stato frainteso, male interpretato e perfino mal tradotto. Si scusò, precisando che la sua elezione avrebbe rappresentato il ponte (di pace, ça va sans dire) tra occidente e oriente, tra mondo cristiano e mondo islamico. Insomma, avrebbe governato con sapienza ed equilibrio l’istituzione che Hosni Mubarak voleva accaparrarsi grazie anche alle intese bilaterali con diversi paesi dell’Unione europea. Eppure, proprio Hosni aveva vietato la circolazione in Egitto di “Schindler’s List”, il film sull’Olocausto diretto da Steven Spielberg.

Un caso? Per niente, visto che quella fu solo la prima pellicola con riferimenti a Israele e alla persecuzione ebraica fatta sparire dai cinema egiziani. E sempre lui aveva autorizzato la traduzione e la vendita dei “Protocolli dei savi di Sion” e del “Mein Kampf” hitleriano, come risposta alla “diabolica abilità” degli ebrei nel “diffondere menzogne”. Bernard-Henri Lévy, Claude Lanzmann ed Elie Wiesel lanciarono un appello internazionale contro la candidatura di Hosni, tentando di sensibilizzare le cancellerie occidentali, costringendole a cercare qualcun altro che non avesse detto – come aveva fatto nel 2001 il ministro della Cultura del Cairo – che “Israele non ha mai contribuito alla civilizzazione, in nessun’epoca, perché non ha mai fatto altro che appropriarsi del bene altrui” e che “la cultura israeliana è una cultura inumana, aggressiva, razzista, pretenziosa, che si basa su un principio semplicissimo: rubare quello che non le appartiene per poi pretendere di impradronirsene”.

Nel 1977 era addirittura in opposizione ad Anwar al Sadat, presidente egiziano poi assassinato da un estremista islamico: Hosni si dichiarò infatti “nemico accanito” d’ogni processo che potesse portare al riconoscimento diplomatico reciproco tra i governi di Gerusalemme e del Cairo. Lévy, Lanzmann e Wiesel sostenevano che “il signor Farouk Hosni non è degno di tale ruolo; il signor Hosni è il contrario di quello che è un uomo di pace, di dialogo e di cultura; il signor Hosni è un uomo pericoloso, un incendiario dei cuori e degli spiriti; resta solo poco, pochissimo tempo per evitare di commettere il grave errore di elevarlo a uno dei più eminenti incarichi. Invitiamo quindi la comunità internazionale a risparmiarsi la vergogna che rappresenterebbe la nomina di Hosni, già data come quasi acquisita dall’interessato, a direttore generale dell’Unesco”. Nonostante ciò, a dispetto delle decine di articoli che ovunque nel mondo ritraevano il ministro della Cultura egiziano come un prode censore di testi e libri non ortodossi, l’urna gli assegnò ben ventinove dei cinquantotto voti del Comitato esecutivo chiamato a raccomandare all’Assemblea generale il profilo del nuovo direttore generale. E così andò avanti per cinque giorni, fino a quando il fronte dei paesi che giudicavano inaccettabile la designazione di Hosni riuscì a far prevalere la bulgara Irina Bokova. D’un soffio: 31 a 27 al quinto e definitivo scrutinio.

E.C.: "Perché l'Italia si è astenuta all'Unesco. Parlano Cicchitto e Della Vedova"

Peccato che non dicano chi ha impartito l'ordine di astenersi all'ambasciatrice Vincenza Lomonaco, non sarà stato per caso il capo degli uscieri della Farnesina...

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Fabrizio Cicchitto, Benedetto Della Vedova

Roma. “I diplomatici italiani responsabili di questo bel capolavoro avrebbero dovuto pensarci dieci volte prima di astenersi sulla risoluzione Unesco”. Fabrizio Cicchitto, presidente della commissione Esteri della Camera, è estremamente critico sulla decisione dell’Italia di astenersi durante il voto per l’approvazione preliminare di una risoluzione dell’agenzia culturale onusiana che di fatto nega di fatto ogni rapporto tra ebraismo e il Monte del Tempio e il Muro del Pianto, gesto di tale gravità simbolica da spingere il governo israeliano a tagliare tutti i rapporti con l’Unesco. La risoluzione è stata approvata in via provvisoria con il voto favorevole di ventiquattro paesi membri del consiglio esecutivo dell’Unesco, in buona parte paesi arabi, e soltanto sei voti contrari. Ventisei paesi hanno invece deciso di astenersi, e tra questi c’è l’Italia.

L’astensione italiana “è stata un errore grave, acuito dal fatto che i nostri principali partner, dagli Stati Uniti alla Germania al Regno Unito, hanno votato contro”, continua Cicchitto. L’Italia ha avuto “un atteggiamento alla Ponzio Pilato che contraddice quella che finora è stata la linea del governo, che ha tenuto i rapporti con il mondo arabo ma è sempre stato attento alle ragioni di Israele. Ricordiamo che uno dei discorsi più belli di Matteo Renzi è stato quello tenuto alla Knesset, il Parlamento israeliano. E’ probabile che il voto sia frutto di una manovra diplomatica, ma non c’è manovra che tenga davanti a una questione di principio di questa rilevanza”.

Delle asperità della diplomazia parla anche Benedetto Della Vedova, sottosegretario di stato al ministero degli Esteri, che ricorda come fosse proprio una proposta italiana quella di definire nella risoluzione Unesco il Monte del Tempio con il suo nome ebraico, e come l’astensione sia da considerare un atto più che altro di dissenso. “Storicamente, la posizione italiana è stata di ricerca di soluzioni di dialogo, ma casi come questo devono rafforzare la convinzione che Israele sia l’interlocutore di riferimento in quanto l’unico paese democratico e rispettoso dei diritti umani nell’intera regione. Questo principio deve essere difeso in un momento in cui si rinnova nelle sedi internazionali il protagonismo dei paesi arabi, che in troppi casi diventa assertività anti israeliana”.

“Gli attacchi contro la comunità ebraica israeliana preoccupano molto”, continua Della Vedova, “e la difesa di Israele deve aumentare in maniera proporzionale all’aumento delle pressioni esterne”. “Il voto presso l’Unesco ha generato una forzatura storica e dettata dalla faziosità politica dei paesi promotori vicini alla causa arabo palestinese, che non fa che complicare la situazione in un quadro delicatissimo”, dice Fabrizio Cicchitto. “Sarebbe un’idiozia anche fare il contrario, cioè dare assoluta preminenza ebraica ai luoghi sacri di Gerusalemme. Ma questo non avviene. Al contrario, questo e altri episodi sono sempre interessati da una preoccupante vena anti israeliana, anti ebraica e anti storica. Da tutti questi ‘anti’, la presunzione che temiamo fondata è che poi si sfoci facilmente nell’antisemitismo”.

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