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Il Foglio Rassegna Stampa
29.08.2014 Prevenzione delle atrocità: come non funziona la commissione di Obama
Cronaca e analisi di Mattia Ferraresi

Testata: Il Foglio
Data: 29 agosto 2014
Pagina: 3
Autore: Mattia Ferraresi
Titolo: «L'atroce commissione di Obama per prevenire le atrocità»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 29/08/2014, a pag. 3, con il titolo "L'atroce commissione di Obama per prevenire le atrocità", l'articolo di Mattia Ferraresi.


Mattia Ferraresi


Barack Obama e Samantha Power

New York. Probabilmente Barack Obama non conosce l’adagio di Bettino Craxi secondo cui in Italia, quando non si riesce a risolvere un problema, si nomina una commissione, eppure ne pratica un’identica versione, soltanto modellata sulle esigenze dell’America che di fronte alle minacce globali oscilla tra l’inazione sistematica e le azioni tardive e circoscritte. Due anni fa, quando già la guerra civile in Siria faceva vittime nell’ordine delle decine di migliaia, il presidente ha creato una commissione per la prevenzione dei genocidi e delle atrocità di massa, detta Atrocities Prevention Board (Apb). L’obiettivo dell’organo era “coordinare una risposta del governo per prevenire stragi di massa e genocidi”. L’Apb è nato sulla spinta di alcuni consiglieri della Casa Bianca e diversi politici di fede liberal-umanitaria nella cui memoria erano ancora vive le tragedie del Rwanda e dei Balcani in cui l’America si era voltata dall’altra parte o aveva fatto troppo poco. Il rappresentante di questo gruppo era Samantha Power, allora consigliere di Obama e oggi ambasciatore americano all’Onu, che un anno prima della costituzione della commisione aveva redatto uno studio intitolato “Presidential Study Directive on Mass Atrocity Prevention”, documento d’indirizzo per il nascente organo. Obama non poteva che affidare a lei la guida dell’Apb. Power ha scelto 11 rappresentanti dei vari ministeri e agenzie – dal dipartimento di stato al Tesoro fino al dipartimento di Giustizia – e ha organizzato l’agenda degli incontri annuali, contando sul progressivo coinvolgimento delle Ong e di altri corpi intermedi. Tutto questo sfoggio di nobili propositi è presto sprofondato nelle sabbie mobili della burocrazia. I conservatori, già allora impegnati nella lotta contro la Casa Bianca per l’inazione in Siria, hanno accolto la nascita dell’ennesimo marchingegno burocratico con un generoso lancio di ortaggi. Charles Krauthammer aveva sintetizzato un sentimento diffuso: “La fede liberal nel potere della burocrazia e dei diagrammi, delle commissioni e dei report, è leggendaria. Ma qui siamo alla parodia”. Due anni più tardi la parodia è diventata palese anche fuori dai circoli conservatori. L’Apb non ha avuto alcun ruolo nella discussione intorno all’inziativa militare in Iraq, nemmeno quando si è trattato dell’operazione a un tempo bellica e umanitaria per salvare gli yazidi assediati dallo Stato islamico, prima circostanza in cui l’Amministrazione Obama ha usato la forza per prevenire un genocidio. Non pervenuta nemmeno nella discussione sulla comunità turcomanna di Amirli, città irachena a 150 chilometri da Baghdad, a sua volta assediata dalle forze del Califfato. La commissione è stata nascosta in un pertugio della Casa Bianca talmente remoto che il presidente non ha nemmeno firmato l’ordine esecutivo che aveva promesso per concedere all’Apb i poteri necessari a svolgere il suo lavoro di prevenzione. La decisione presidenziale avrebbe dovuto imporre contestualmente criteri di trasparenza, mai stabiliti né messi in pratica. Le organizzazioni non governative interessate a dare il loro contributo hanno scritto decine di lettere per proporre piani d’intervento o offrire a vario titolo il proprio contributo, ma che si sappia l’Apb non ha mai risposto. L’organismo deputato a fare luce sulle atrocità del mondo, teoricamente, dunque, dotato di zelo e senso della trasparenza è a sua volta lento e opaco, tanto che il deputato Frank Wolf in una lettera a Obama del 7 agosto ha esplicitato il pensiero di molti: “E’ ormai chiaro al paese e al mondo che le sue parole erano vuote. La ‘decisione presidenziale’ non era altro che un gesto simbolico”. Wolf non ha mai ricevuto risposta dall’organo fatto a immagine e somiglianza dell’Amministrazione.

Per esprimere la propria opinione al Foglio, telefonare 06/589090, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

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