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Il Foglio Rassegna Stampa
18.02.2012 Divampa la guerra ai cristiani d'islam
Analisi di Giulio Meotti, editoriale sulla Siria

Testata: Il Foglio
Data: 18 febbraio 2012
Pagina: 4
Autore: Giulio meotti- La direzione del Foglio
Titolo: «Nel 2012 divampa la guerra ai cristiani d'Islam. Adesso tocca alla Siria-Sindrome Stinger sulla Siria»

Si inasprisce nel mondo arabo-musulmano la guerra contro i cristiani. Ne dà un ampio resoconto Giulio Meotti sul FOGLIO di oggi, 18/02/2012, a pag. 4, in un articolo dal titolo " Nel 2012 divampa la guerra ai cristiani d'Islam. Adesso tocca alla Siria ". Sullo stesso giornale, a pag.3, un editoriale sulla Siria, dal titolo "Sindrome Stinger sulla Siria".
Ecco gli articoli:

Giulio Meotti: " Nel 2012 divampa la guerra ai cristiani d'Islam. Adesso tocca alla Siria "


                                                       Giulio Meotti

Roma. “The war on christians”. La guerra ai cristiani. Così ha titolato la copertina di Newsweek. Il servizio di otto pagine della rivista era firmato da Ayaan Hirsi Ali, la dissidente e apostata di origini somale attualmente residente a Washington, dove lavora per l’American Enterprise Institute for Public Policy Research. Adesso un nuovo rapporto dell’organizzazione no profit Open Doors getta nuova luce sulle dimensioni di questa agonia nel mondo islamico. Nel documento annuale World Watch List 2012, Open Doors elenca otto su dieci paesi islamici fra le nazioni dove la fede cristiana viene di più perseguitata. Gli altri due, Corea del nord e Laos, sono regimi comunisti in cui l’anticristianesimo è dogma di stato. A Pyongyang, da quando si è instaurato il regime comunista nel 1953, sono scomparsi circa 300 mila cristiani e adesso si stima che vi siano dai 50 ai 70 mila cristiani nei terribili campi-prigione a causa della loro fede. Ma più generalmente ben 32 delle 50 nazioni della classifica sono islamiche. “Si tratta di un genocidio in corso che meriterebbe un allarme globale”, scrive Ayaan Hirsi Ali. “La cospirazione del silenzio che avvolge quest’espressione di intolleranza religiosa deve finire”. Un consistente peggioramento è registrato per i cristiani in Pakistan, che entra nella top ten, mentre il Sudan passa dal 35esimo al sedicesimo posto. La Nigeria vanta il più alto numero di martiri cristiani e passa dal 23esimo al tredicesimo posto. Nell’Egitto della “primavera araba” scenari di attentati a chiese e gruppi di cristiani portano il paese dalla diciannovesima alla quindicesima posizione. L’Afghanistan è al secondo posto, seguito dall’Arabia Saudita, custode della Mecca e di Medina, che vieta ufficialmente ogni culto non islamico. Poi troviamo la Somalia e l’Iran, dove un pastore aspetta la condanna a morte per apostasia. Questa preziosa World Watch List, la lista nera dei paesi ove la persecuzione è più dura, è compilata attraverso un questionario appositamente progettato, composto da cinquanta domande sui vari aspetti della libertà religiosa. Dal 2003 a oggi, oltre 900 cristiani iracheni (per gran parte assiri) hanno trovato la morte negli attacchi terroristici nella sola Baghdad e 70 chiese sono state date alle fiamme. Nel 2011 estremisti islamici hanno ucciso almeno 510 cristiani in Nigeria, dato alle fiamme o distrutto più di 350 chiese in dieci stati del nord. Impiegano armi da fuoco, bombe di benzina, persino machete, gridando “Allah Akbar” (Dio è grande) quando attaccano gruppi di cittadini. Tra i loro obiettivi si contano chiese, pub, consigli comunali, saloni di bellezza, banche Gli islamisti di Boko Haram si sono concentrati nell’eliminazione dei cattolici Nel Sudan meridionale i cristiani sono bersaglio di bombardamenti aerei, omicidi mirati, sequestri e altre atrocità. Per la fine dell’anno, oltre 200 mila cristiani d’Egitto avranno abbandonato le loro case. Tutti gli occhi sono adesso puntati sulla Siria, dove si è passati da una rivolta contro il regime di Bashar el Assad a una guerra religiosa fra la maggioranza sunnita e le minoranze che detengono il potere: alawiti, ismailiti, cristiani, drusi e curdi. I cristiani rappresentano poco meno del dieci per cento, tanto quanto gli alawiti, mentre i tre quarti dei siriani sono sunniti. Adnan al Aroor, sceicco esiliato in Arabia Saudita e fra i leader della rivolta contro Assad, ha incitato i seguaci, attraverso appelli e sermoni, a “fare a pezzi, tritare e dare in pasto ai cani” la carne dei cristiani, bollati come “collaborazionisti”. La condizione dei cristiani è stata denunciata in un recente rapporto dell’agenzia cattolica Asia News: “Rivoluzione più ‘islamica’, cresce la violenza contro i cristiani”. A Homs, epicentro degli scontri, si contano già più di 230 cristiani uccisi. Nei quartieri misti l’80 per cento degli abitanti cristiani sono partiti e si sono stabiliti presso amici o parenti nelle regioni cristiane, spesso nei rifugi sulle montagne. I cristiani di Hama e della sua provincia fanno lo stesso. Il fenomeno è progressivo e implacabile. Il paese si sta spaccando attorno alle linee etniche e confessionali. Musulmani sunniti non entrano più nei quartieri alawiti e viceversa. Al Qaida ha allungato le mani nella rivolta. Insieme al Libano, la Siria è oggi l’unico paese arabo dove l’islam non è formalmente definito religione di stato e la religione non è riportata sulle carte d’identità. Il regime degli Assad ha sempre usato la laicità per tenere assieme le etnie e dominare il paese. Nel 1971, con la presa del potere da parte del colonnello Hafez el Assad, dal progetto di Costituzione venne omesso ogni riferimento all’islam come “religione di stato”. Migliaia di persone, mobilitate dai Fratelli musulmani, scesero in piazza per denunciare il “testo ateo”. Agnès-Mariam de la Croix, una delle voci più significative oggi della comunità cristiana siriana, ha dichiarato che “fino a ieri i cristiani non erano stati oggetto di una persecuzione ‘diretta’. Ma oggi sembra che il dato stia cambiando. Come se la tendenza che covava stia diventando una consegna”. Il 25 gennaio è stato ucciso il primo prete cristiano, Basilios Nassar. Uno slogan della resistenza anti Assad promette scenari poco edificanti: “I cristiani a Beirut e gli alawiti al muro”.

Editoriale: " Sindrome Stinger sulla Siria "

Sembrava che in Siria la fase istruttoria del caso morale potesse procedere spedita. La scena di quello che succede giorno per giorno è chiara: da una parte l’asse nazionalsocialista-sciita tra il partito unico Baath di Bashar el Assad e il governo dell’Iran, spalleggiato in Consiglio di sicurezza da Russia e Cina, dall’altra i civili disarmati, massacrati nelle strade durante le proteste, e ora finalmente difesi da un servizio d’ordine coraggioso quanto poco armato che si fa chiamare Esercito libero di Siria. “E così non dovremmo mandare armi ai siriani? – ha detto il senatore John McCain – Ditelo agli iraniani e ai russi”. Sintesi sanguigna, ma efficace. Tutto facile dunque: lasciamo che gli oppositori si proteggano armi in pugno (quelle che gli manderà l’occidente) dalle colonne corazzate degli Assad, del resto lo abbiamo già fatto in Libia. E invece, peggio che in Libia, il quadro si sta complicando di ora in ora. Giovedì il direttore dell’intelligence americana, James Clapper, ha detto che al Qaida in Iraq si sta mescolando con l’opposizione siriana. Il flusso di terroristi e armi che durante la guerra scorreva da Damasco verso Baghdad si è invertito e ora va a ritroso: le autobomba che hanno colpito bersagli governativi nella capitale e ad Aleppo sono opera degli stessi che attaccano i mercati e i palazzi della capitale irachena. E’ abbastanza per proiettare sulla resistenza siriana l’ombra di una sindrome Stinger, o sindrome Bin Laden, ovvero il ricordo doloroso della guerra dei mujaheddin contro l’Unione sovietica che negli anni Ottanta fece da incubatrice ad al Qaida e all’orrore infinito che seguì. Gli Stinger sono quei missili terra- aria distribuiti dagli americani con cui gli afghani fecero strage di aerei russi. Salvo che poi la Cia penò un decennio per recuperare quelli che non erano stati utilizzati, sospettando che potessero essere usati contro aerei di linea civili scelti come bersaglio dagli estremisti. Ieri i ribelli di Homs, la Sarajevo sunnita, hanno annunciato la creazione di una brigata di martiri votata agli attacchi suicidi. I toni e le parole ricalcano quelli dei gruppi iracheni, anche se per ora la deriva ultraviolenta e settaria non c’è. I paramilitari del governo, secondo la Bbc, hanno cominciato a decapitare i prigionieri. I ribelli rispondono uccidendo i loro. Immettereste altre armi in questo scenario? Il caso morale si è di colpo offuscato.

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