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La Stampa Rassegna Stampa
24.07.2016 'L'islamismo in espansione. Anche in Europa il Califfato ha già piantato radici'
Boualem Sansal intervistato da Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 24 luglio 2016
Pagina: 22
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Il Califfato comincia con la fine del colonialismo»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/07/2016, a pag. 22, con il titolo "Il Califfato comincia con la fine del colonialismo", l'intervista di Francesca Paci a Boualem Sansal.

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In principio fu la decolonizzazione. È nell’indipendenza dei paesi arabi, sostiene lo scrittore algerino Boualem Sansal, che l’Occidente avrebbe dovuto riconoscere i segni di quell’ambizione espansionista coltivata dall’islamismo con mezzi violenti o «moderati» sin dagli albori dell’islam. Sansal, classe 1949, è un intellettuale vecchio stile, ovverossia molto scomodo. Ex funzionario del ministero dell’Industria, ha visto la decennale guerra civile in Algeria in cui all’insegna dello jihadismo oggi globale morirono almeno 200 mila connazionali, ma, sopravvissuto alle minacce dei fondamentalisti, è stato poi allontano dalla giunta militare per le sue critiche alla gestione del potere. Dal 2003 risiede in Francia, dove nel 2012, in barba all’ostruzionismo dei paesi arabi, furiosi per la sua partecipazione al Festival degli scrittori di Gerusalemme, ha ricevuto il prestigioso Prix du Roman Arabe. Il suo ultimo romanzo, 2084, la fine del mondo (Neri Pozza), è una profezia orwelliana che descrive un mondo futuro dove gli incubi di questi mesi si concretizzano in una feroce teocrazia totalitaria, il regno di Abistan.

A pochi mesi dall’uscita del suo libro la minaccia pare diventata realtà: il Bataclan, Bruxelles, Orlando, Dacca, Nizza. Stiamo davvero andando verso il 2084, l’anno del non ritorno?
«Il Califfato mondiale è il fine dell’islam. Per i musulmani è un sogno o addirittura un’assurdità del passato. Gli islamisti ci credono sul serio e fanno di tutto per arrivarci. I primi passi verso il 2084 sono iniziati quando l’islam si è liberato del colonialismo con le indipendenze dei paesi arabi, tra il 1950 e il 1960, quando nel ’79 la rivoluzione khomeinista ha creato la prima repubblica islamica e quando, dieci anni dopo, i talebani hanno cacciato i sovietici. Le primavere arabe hanno accelerato il processo e l’Isis va oltre: porta la guerra in Occidente. Siamo già al punto di non ritorno, perché la lotta degli islamisti non si fermerà più».

Le primavere arabe però, chiedevano democrazia.
«Ci sono aspetti positivi nelle primavere arabe, ma sono marginali, il loro maggiore effetto è stato permettere agli islamisti di riorganizzarsi e prendere il potere nel momento in cui i democratici, soprattutto i giovani tunisini, si sono rivelati pochi, divisi e inesperti. Le forze che agiscono sul lungo termine sono quelle conservatrici, gli islamisti, le tribù feudali, le oligarchie capitalistiche che hanno secoli d’esperienza nell’arte di preservare i propri privilegi e quelle derivanti dai partiti al potere nell’era di Ben Ali, come l’attuale presidente Caid Essebsi, che sanno riciclarsi. Inoltre i giovani non sono per forza democratici, molti di quanti manifestavano a Tunisi, al Cairo e altrove hanno poi affiancato il potere o, peggio, gli islamisti. I movimenti democratici sono sempre nati dalla borghesia moderna, educata, industriale, ossia quella che non esiste nei paesi arabi e se esiste vive in Europa o manda i figli a studiare in Europa».

Molti studiosi sostengono da tempo che ci sia una «fitna», uno scontro interno all’islam. È così?
«Penso di sì. Gli islamisti esigono che tutti i musulmani si riuniscano sotto la loro bandiera per realizzare il Califfato mondiale. Il loro piano è eliminare gli sciiti e forzare i sunniti a seguirli. Ma con i musulmani tutto è complicato, gli islamisti sono a loro volta divisi così come lo sono i moderati e non condividono gli stessi obiettivi né la stessa agenda».

Lei ripete che gli islamisti voglio convertire l’umanità con il terrore, mentre i musulmani pacifici preferiscono la «via dolce» della persuasione, la «da’wa». Non c’è uno spazio intermedio?
«L’islamismo si diffonde in tutto il mondo, dal Canada all’Australia, dal Brasile al Giappone. Se il terreno è favorevole va veloce, s’installa, converte, recluta. Se non lo è, semina e attende. L’islamismo può insediarsi facilmente nei paesi in cui esistono un’estrema destra o un’estrema sinistra. Se c’è una comunità musulmana può reclutare con agilità, se non c’è deve importare predicatori, convertire persone, chiedere a ricchi sponsor come l’Arabia o il Qatar di finanziare attività culturali in loco, costruire una moschea. L’Europa, il Canada, gli Usa e i paesi scandinavi sono tutti terreni favorevoli dove l’islamismo è già radicato».

Il suo libro evoca 1984 di Orwell: l’islamismo è il totalitarismo del nuovo millennio?
«Dal mio punto di vista sì. L’islamismo che vuole dominare il mondo dovrà anche vanificare un altro sistema totalitario che regna e si rafforza di giorno in giorno, la mondializzazione, il cui centro nevralgico è Wall Street. Per il momento convivono, ma alla fine si affronteranno».

La furia fondamentalista nell’Algeria del 1992 ha anticipato il nuovo jihadismo dell’Isis?
«È lo stesso fenomeno che si declina diversamente a seconda delle epoche e dei contesti. L’islamismo è nato nei primi anni dell’islam e poi ha imposto la sua visione dell’islam e del mondo. La gente non sa che la guerra civile algerina si è conclusa con due vittorie, quella del potere e quella degli islamisti, un epilogo ufficializzato dalla legge di riconciliazione nazionale e un’amnistia generale. Da allora gli islamisti sono al governo, in assemblea nazionale, dominano l’educazione e la giustizia: sono loro ad aver cambiato la società. L’Algeria s’è ispirata al modello turco. Finché l’islam non avvierà una riforma che lo porti alla secolarizzazione la democrazia sarà impossibile o a rischio di essere rimessa in discussione in ogni momento».

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