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La Stampa Rassegna Stampa
14.07.2016 Oliver Sacks: in memoriam
Ferdinando Camon recensisce 'Gratitudine'; recensione di 'In movimento'

Testata: La Stampa
Data: 14 luglio 2016
Pagina: 1
Autore: Ferdinando Camon
Titolo: «Per leggere certi libri bisogna esserne degni»

Riprendiamo dalla STAMPA, con il titolo "Per leggere certi libri bisogna esserne degni", la recensione di Ferdinando Camon a "Gratitudine", di Oliver Sacks; segue la recensione diell'autobiografia di Sacks "In movimento".

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Ferdinando Camon

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Oliver Sacks

Oliver Sacks sta morendo di cancro, non c’è più niente da fare, uno dei ricordi più atroci è la maledizione di sua madre quando ha saputo della sua omosessualità, eppure si mette al tavolo e scrive un ringraziamento alla vita, commosso perché molto ha ricevuto ma qualcosa ha dato. Io credo che la commozione scatti soprattutto perché qualcosa ha dato. E come? Scrivendo libri. Il suo modo di vivere è stato scrivere. Lui muore, ma poiché i libri che ha scritto sono ancora vivi, lui resterà ancora vivo. Scrivere è un privilegio, e la gratitudine che, morendo, esprime alla vita, è per aver avuto questo privilegio. Morire è lo scacco della condizione umana, la sconfitta di tutti e di ciascuno. Qualcuno pensa che sopravvive chi è grande e perciò ammirato, è l’ammirazione lo strumento della nostra immortalità.

Oliver Sacks pensa che il sentimento che dobbiamo meritare per non morire sia un altro: l’amore, e lo scrittore che vuole ottenere l’amore dell’umanità non deve scrivere la bellezza, fare opere belle, ma scrivere la verità, una verità vera anche dopo che l’autore sarà morto. Allora il ricordo che l’umanità avrà di questo autore è la gratitudine. E la gratitudine dell’autore per aver scritto è il contraccambio di quel ricordo. Scrivendo “Gratitudine”, librino breve, intenso e inobliabile, Oliver Sacks, passata la soglia degli ottant’anni, dice ai suoi lettori: «Vi sono grato di essermi grati». E noi, finito di leggere questo addio, gli siamo grati perché l’ha scritto.

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La copertina (Adelphi ed.)

C’è un magistrato qui nella città in cui vivo, famoso per alcune inchieste sul terrorismo, che è anche un accanito lettore e tiene conferenze sui libri. Andando a parlare de La Città di Dio di Agostino confessò: «Finita l’ultima pagina, ho chinato la testa sul tavolo e mi son chiesto: Che cosa ho fatto io nella vita, per meritare di leggere questo libro?». Ci sono libri che bisogna “meritare” di leggere. Non tutti ne sono degni. Ogni libro ti fa un dono, ma ci sono libri che ti fanno un dono così prezioso, così completo, che ti chiedi se ne sei degno. Oliver Sacks ha avuto pazienti che morivano dicendo: “Ho avuto una vita piena, e adesso sono pronto ad andarmene”.

«Per alcuni di loro, questo significa andare in paradiso: sempre il paradiso e mai l’inferno, anche se Samuel Johnson e James Boswell tremavano entrambi al pensiero dell’inferno e s’infuriavano con David Hume che non aveva tali convincimenti. Io non credo in un’esistenza dopo la morte (né la desidero), se non nei ricordi degli amici, e nutro la speranza che alcuni dei miei libri possano continuare a “parlare” alla gente dopo la mia morte». La soglia oltre la quale si cambia il pensiero sulla vita e sulla morte è ottant’anni: “Quando si hanno ottant’anni, lo spettro della demenza o dell’ictus incombe: un terzo dei propri coetanei è morto, e molti di più, con gravi danni fisici o mentali, sono intrappolati in un’esistenza tragica”.

A ottant’anni ”si può avere un senso della storia, si riesce a immaginare che cosa sia un secolo”. Aggiungo io: se poi si passa dal Novecento al Duemila, si ragiona anche per millenni. Morale: “Non vedo l’ora di avere ottant’anni”. Ma non è vero, Sacks sta in guardia, cerca di tappare tutti i buchi per i quali potrebbe entrare la malattia, fa nuoto con una nevrotica compulsione. Tutto inutile: la malattia entra da un occhio. Un raro cancro all’occhio. Scoperto nel 2005, va in metastasi nel 2014, e porta all’exitus nel 2015. Quando Sacks ha ottantadue anni. È felice per due ragioni: ha finito la propria biografia e ha mostrato il suo compagno al cugino Robert John Aumann, premio Nobel per l’economia: si sente accettato in tutto quello che è, scrittore e omosessuale. Allora può anche ”lasciarsi andare al riposo”, come ogni ebreo fa quando arriva il Shabbat. La sua vita ha un senso, può concludersi. Regalerò questo libro al mio amico magistrato, chissà che non abbassi la fronte sul tavolo un’altra volta.

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Oliver Sacks: "In movimento" (Adelphi ed.)

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La autobiografia di Oliver Sacks: una rassegna di passioni, descritte con la lucidità dello scienziato, l'audacia dello psiconauta e con la schiettezza del diagnosta. Sarà un piacere per i lettori di Sacks sentirlo parlare di sé.

«Da bambino desideravo con tutto me stesso movimento ed energia, libertà di muovermi e poteri sovrumani. Godevo fugacemente di queste cose quando sognavo di volare». «Sono un uomo dal carattere veemente, con violenti entusiasmi ed estrema smoderatezza in tutte le mie passioni» scriveva Oliver Sacks in un articolo apparso il 19 febbraio 2015 sul «New York Times», nel quale annunciava, con brutale sobrietaà di soffrire di un male incurabile. È quindi inevitabile che In movimento, la sua autobiografia, sia innanzitutto una rassegna di passioni, descritte con la lucidità dello scienziato e l'audacia dello psiconauta, con la schiettezza del diagnosta e il gusto per la digressione di un dotto seicentesco. E sarà un piacere, per i lettori di Sacks, sentirlo parlare di sé: dell'ossessione per le moto e il sollevamento pesi, della dipendenza dalle amfetamine, del lacerante rapporto con il fratello schizofrenico e con la madre (il «più profondo e forse, in un certo senso, più vero della mia vita»), di quando disintegrò per l'ammirazione unita alla frustrazione un libro di Aleksandr Lurija, il fondatore della neuropsicologia e di quella «scienza romantica» a cui sarebbe sempre rimasto fedele.

Alla fine, non si potrà evitare di riconoscere che Oliver Sacks è stato il più romanzesco di tutti i personaggi romanzeschi di cui ha scritto. Soprattutto, questo resoconto di studi e amicizie, legami sentimentali e debiti intellettuali, abitudini e fissazioni è un'ulteriore riprova che per Sacks il «delicato empirismo» di Goethe non era un semplice metodo di ricerca, ma uno stile di vita.

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