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La Stampa Rassegna Stampa
22.11.2015 Israele: come affrontare le minacce senza cambiare stile di vita
Cronaca da Gerusalemme di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 22 novembre 2015
Pagina: 2
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Vivere sotto le minacce: fidatevi della sicurezza e non chiudetevi in casa»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/11/2015, a pag.2. con il itolo "Vivere sotto le minacce: fidatevi della sicurezza e non chiudetevi in casa", la cronaca da Gerusalemme di Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari

Per l’Europa scossa dal massacro di Parigi, attraversata da paure collettive sul futuro ed alle prese con la moltiplicazione di pregiudizi e sospetti nella vita quotidiana può servire riflettere sul caso israeliano. Negli ultimi 22 anni 1554 cittadini israeliani sono stati uccisi da atti di terrorismo in ondate successive di attentati con bombe, autobombe, kamikaze, sparatorie e accoltellamenti in luoghi pubblici ma nello stesso periodo la popolazione è cresciuta da 5,2 a 8,2 milioni e il pil nazionale è balzato da 65,93 a 304,2 miliardi di dollari. Per comprendere come sia possibile vivere e progredire a dispetto di una minaccia costante nei confronti della sicurezza personale e collettiva bisogna ascoltare Ofer, piccolo imprenditore di Gerusalemme con quattro figli, quando dice: «Se mi svegliassi ogni giorno pensando che mi vogliono uccidere non vivrei più, penso invece che lo Stato mi protegge, e dedico le mie risorse a lavorare, alla mia famiglia». La vita continua È un approccio che spiega perché le strade più colpite dagli attacchi dell’Intifada dei coltelli - da Pisgat Zeev ad Armon Anaziv - sono affollate come prima. Piccoli negozi, uffici pubblici e fermate dell’autobus sono popolate da cittadini come Yaakov,elettricista di 42 anni, secondo il quale «il rischio di attentati in Israele non è una novità, abbiamo imparato a conviverci, protetti da soldati che consideriamo nostri figli». Il rapporto con la minaccia in agguato, il nemico dietro l’angolo, è costante. Moshe, padre del bambino di 13 anni ferito a coltellate mentre era in bicicletta, lo dice in un corridoio dell’ospedale Hadassa: «Mi sono opposto a farlo fotografare ferito perché quegli assassini non devono vedere come lo hanno ridotto, ne trarrebbero forza per altri attacchi». L’immagine del figlio non è mai apparsa perché giornali e tv hanno condiviso l’approccio. E Moshe è tornato al suo impiego: «Per guardare avanti ed far arrivare mio figlio all’università ». Il demografo Yoram Ettinger spiega tali comportamenti con il «fondamentale ottimismo » che distingue una «società in guerra proiettata su crescita, e fare figli, per esorcizzare un nemico immanente». Assaf Gavron, scrittore 46enne autore de «La Collina» sulla vita negli insediamenti, parla di una società israeliana «talmente avvolta nel conflitto da viverci dentro in maniera disordinata ». Ciò che accomuna gli studenti che salgono sul treno leggero di Tel Aviv - più volte colpito da attacchi - e gli automobilisti che percorrono la strada 60 in Cisgiordania - bersagliata da agguati di ogni tipo - è la consapevolezza che il pericolo di essere colpiti esiste ma non c’è alternativa a vivere, tantopiù che le forze di sicurezza fanno di tutto per proteggerli. «Posso produrre pollame perché ai terroristi ci pensa l’esercito» dice Yedidia, dell’insediamento di Efrat. «Vivere immersi in una situazione di costante rischio non è certo la situazione ideale - aggiunge Carole, madre di tre figli, uno dei quali appena arruolato - ma sappiamo che è una realtà permanente, e dobbiamo riuscire a guardare comunque in avanti».

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