venerdi 19 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
19.11.2015 Stato islamico: è scontro Russia-Usa, la propaganda dei terroristi festeggia le stragi
Tre servizi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 19 novembre 2015
Pagina: 8
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Schiaffo di Putin all'America: 'I suoi raid volutamente deboli' - 'Con una lattina abbiamo abbattuto l'aereo russo': l'Isis si mette in mostra - Con 25 dollari i foreign fighters superano il confine turco»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/11/2015, a pag. 8-11, con il titoli "Schiaffo di Putin all'America: 'I suoi raid volutamente deboli' ", " 'Con una lattina abbiamo abbattuto l'aereo russo': l'Isis si mette in mostra", "Con 25 dollari i foreign fighters superano il confine turco", tre servizi di Maurizio Molinari.

Ecco gli articoli:

Immagine correlata
Maurizio Molinari

 "Schiaffo di Putin all'America: 'I suoi raid volutamente deboli' "

Immagine correlata
Vladimir Putin, Barack Obama

«Gli Stati Uniti fanno un gioco pericoloso in Siria, evitando di nuocere troppo a Isis»: è il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, a lanciare alla volta di Washington l’accusa di «voler sfruttare i terroristi contro Bashar Assad» consentendo ai jihadisti del Califfo di «rafforzarsi». È il più duro affondo del Cremlino nei confronti dell’amministrazione Obama ed arriva all’indomani dell’ordine dato da Vladimir Putin alla flotta del Mediterraneo di operare assieme alla forze francesi «come si fa fra alleati».
Dai teleschermi del canale tv «Rossiya 1» Lavrov spiega alla Francia aggredita da Isis perché non può fidarsi di Washington: «Abbiamo analizzato i raid aerei della coalizione guidata dagli Usa nel corso dell’ultimo anno arrivando alla conclusione che sono realizzati in maniera selettiva, nella maggioranza dei casi non toccano le unità di Isis che sono capaci di portare le minacce più serie all’esercito del governo siriano».

«Un gioco pericoloso»
Per il braccio destro di Putin si tratta di un «gioco pericoloso» perché «vogliono che Isis indebolisca Assad il più in fretta possibile, per obbligarlo a lasciare, ed al tempo stesso non vogliono rafforzare troppo Isis perché ciò potrebbe consegnargli il potere». Sono parole destinate a delegittimare Washington come leader della coalizione anti-Isis, a meno di 48 ore dall’incontro ad Antalya fra Putin ed Obama. Proprio al summit G20 il Presidente Usa ha ribadito, in pubblico e privato, di non voler usare le truppe di terra contro Isis, mostrandosi esitante davanti allo scenario di un maggiore coinvolgimento militare e Mosca dà ora la propria spiegazione di tale ritrosia americana: «Se guardiamo bene i risultati dei loro raid hanno dato scarsi risultati, per non dire nessun risultato, tranne il fatto che Isis è cresciuto nei territori che controlla».

Russi più affidabili
Ciò significa suggerire ad europei ed arabi che la coalizione militare guidata dalla Russia è più credibile nella guerra a Isis rispetto a quella creata dagli Stati Uniti. Per questo Mosca anche ieri ha fatto volare i bombardieri strategici contro Raqqa. «La politica americana indebolisce la prospettiva della Siria di rimanere uno Stato laico, dove tutti i gruppi entici e religiosi saranno garantiti» aggiunge Lavrov, questa volta parlando all’opposizione siriana non-islamica per suggerirle di non fidarsi troppo dei «giochi pericolosi» della Casa Bianca.
È una maniera anche per rispondere alle critiche Usa sulle vittime civili causate in Siria dai raid russi e sul fatto di non bersagliare Isis: «Le accuse sui morti civili sono senza fondamento, i nostri raid mirano a colpire tutti i terroristi, senza eccezione, li colpiamo perché professano la stessa ideologia».

Sgambetto a Washington
Si tratta del secondo sgambetto a Washington in pochi giorni: al summit di Antalya Putin aveva usato informazioni in parte del Dipartimento del Tesoro Usa per rivelare che «individui di 40 Paesi finanziano Isis» inclusi cittadini di Turchia ed Arabia Saudita, alleate degli Stati uniti, ed ora va oltre suggerendo che dietro le ambiguità di Ankara e Riad ce n’è una, ben maggiore, della Casa Bianca. È una spallata con mire strategiche, punta a scavare un solco di sfiducia fra Washington e gli alleati al fine di allontanare gli Usa dalla regione. E pone degli interrogativi sulla sorte dei negoziati di Vienna perché John Kerry, Segretario di Stato, ne prevede il «successo in poche settimane con l’accordo sul cessate il fuoco» basandosi su un’intesa forte con Mosca che sembra in realtà assai precaria.

" 'Con una lattina abbiamo abbattuto l'aereo russo': l'Isis si mette in mostra"

Immagine correlata
"Dabiq", organo dello Stato islamico, celebra le stragi di Parigi

La foto della bomba che ha abbattuto l’aereo russo, due ostaggi giustiziati, il magazine che inneggia ai terroristi di Parigi e il ritorno di John Cantlie con la richiesta all’Occidente di riconoscere lo Stato Islamico: dal Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi arrivano una raffica di messaggi tesi a proiettare un’immagine vincente nello scontro con «infedeli e apostati» al fine di reclutare jihadisti ovunque possibile.

Nemici beffati
L’offensiva di propaganda di Isis segue di pochi giorni il massacro di Parigi e appare ben pianificata, al fine di accrescerne l’impatto. Lo strumento è la pubblicazione del nuovo numero di «Dabiq», il magazine di Isis redatto in più lingue, che si intitola «Just Terror» (Solo terrorismo) con una foto di copertina che esalta la strage del Bataclan. Dentro c’è l’immagine che al-Baghdadi aveva promesso di svelare «quando lo riterremo opportuno» per far sapere come è stato abbattuto il Metrojet russo sul Sinai, uccidendo le 224 persone a bordo. La foto mostra una lattina di Schweppes Gold a fianco di un detonatore e di un interruttore su uno sfondo blu.

L’intento è mostrare l’estrema facilità dell’esecuzione dell’attentato nell’aeroporto di Sharm, rendendo inoltre omaggio ai «mujaheddin» che lo hanno commesso pubblicando una seconda foto: qui si vedono alcuni passaporti russi delle vittime con la didascalia che spiega come «è stata scattata dai nostri combattenti». Ovvero, durante le indagini condotte sui resti dell’aereo dagli investigatori egiziani e russi.

L’offerta di tregua
Farsi beffa del nemico è un altro metodo con cui al-Baghdadi mira a moltiplicare i seguaci, trasmettendogli l’impressione dell’estrema facilità di compiere atti di terrore. Per questo, a fianco della foto della bomba, si spiega che «avevamo pensato di usarla contro un aereo occidentale ma quando sono iniziati i raid russi in Siria abbiamo scelto un aereo russo». Insomma colpiamo chi vogliamo, a piacimento.

La notizia dell’esecuzione dei due ostaggi per cui Isis aveva chiesto un riscatto - il norvegese Ole Johan Grimsgaard-Ofstad di 48 anni e il cinese Fan Jinghui di 50 - viene diffusa con la spiegazione che «sono stati abbandonati dagli infedeli» perché nessuno ha voluto pagare per liberarli. Nelle foto, i due ostaggi appaiono in abiti gialli simili a quello indosso a John Cantlie, il giornalista britannico divenuto megafono del Califfo, ripreso da «Dabiq». Cantlie non si vedeva da maggio, in molti si erano chiesti cosa gli fosse avvenuto ed ora ricompare non all’aperto ma dentro una camera, con la veste dei prigionieri, mentre scrive un lungo documento destinato all’«Occidente» incentrato su una richiesta politica: «È arrivato il momento di riconoscere il territorio di Isis come Stato legittimo dichiarando la tregua». Quasi un’offerta da parte del Califfo, che si sente in posizione di forza.

"Con 25 dollari i foreign fighters superano il confine turco"

Immagine correlata
Terroristi dello Stato islamico

Ankara e Washington lavorano assieme per sigillare il confine con la Siria ma i foreign fighter continuano a superarlo con estrema facilità. Per il Segretario di Stato John Kerry «su 804 km di frontiera ne rimangono solo 98 da chiudere e lo stiamo facendo» ma da Iskenderun, Gaziantep, Urfa, Mardin e Nusabyn il borsino del passaggio illegale del confine è salito di poco: da 10 a 25 dollari. Sono questi centri della Turchia meridionale gli snodi dell’«Autostrada della Jihad», come la definiscono gli esperti di anti-terrorismo europei ed americani, attraverso la quale almeno 20 mila volontari stranieri hanno raggiunto dal 2013 i territori oggi controllati dal Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. È un percorso a doppia corsia: consente ai volontari jihadisti di andare a combattere in Siria ed Iraq, e poi di tornare indietro nei Paesi di provenienza per andare a trovare le famiglie, trovare finanziamenti, reclutare o compiere attentati.

Ad averlo tracciato su un foglietto, con tanto di appunti geografici, è uno degli otto terroristi dell’Isis arrestati all’aeroporto Ataturk di Istanbul dove fingevano di essere turisti. In realtà si trattava di jihadisti maghrebini, in possesso di una rudimentale mappa che illustrava il tracciato del percorso suggerito: in bus fino a Smirne, in barca fino a Kos pagando 1200 dollari, ad Atene in traghetto pagando un biglietto da 60 euro e poi in bus attraverso Serbia, Croazia, Ungheria ed Austria fino all’arrivo alla meta finale in Germania. Ciò che la mappa non spiega è il passaggio della frontiera con la Siria, ma qui ad essere loquaci sono gli agenti delle dogane dell’aeroporto ammettendo che la «lista nera» con i nomi di 10 mila sospetti terroristi, compilata dalle polizie di mezzo mondo, serve a poco in quanto i foreign fighters passano i confini meridionali della Turchia con passaporti siriani contraffatti.

Sono i trafficanti di uomini che operano lungo la frontiera a gestire i laboratori di contraffazione dei documenti anche se i servizi di intelligence francesi e britannici sospettano che il Califfato stesso ne abbia di propri, essendo entrato in possesso di uffici governativi dove venivano emessi. In pratica, il Califfato emette passaporti siriani a favore dei foreign fighters, consentendogli di transitare senza eccessivi grattacapi ai posti di frontiera, mischiandosi al flusso dei profughi.

Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mai sottostante


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT