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La Stampa Rassegna Stampa
29.06.2015 Il piano per la pace tra palestinesi e Israele: un nuovo fallimento di Obama all'orizzonte
Commento di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 29 giugno 2015
Pagina: 12
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Obama studia un piano per rilanciare il dialogo fra Israele e i palestinesi»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/06/2015, a pag. 12, con il titolo "Obama studia un piano per rilanciare il dialogo fra Israele e i palestinesi", il commento di Paolo Mastrolilli.

Ogni intervento dell'amministrazione Obama nella politica del Medio Oriente si è, finora, risolto in un fallimento, e anche questa ipotesi di un piano per una 'road map' verso la pace tra autorità palestinese e Israele presenta due difetti evidenti.
Innanzitutto, non verrà mai accettata dal dittatore "moderato" Abu Mazen e dai suoi seguaci, che si pongono l'obiettivo di danneggiare Israele il più possibile.
L'altro difetto, sintomo della cecità di Obama, è che a questo piano il Presidente Usa antepone una intesa con l'Iran che comporti la rimozione di tutte le sanzioni. Una posizione suicida, dal momento che l'Iran è il principale elemento di destabilizzazione dell'area mediorientale.

Ecco l'articolo:


Paolo Mastrolilli


Benjamin Netanyahu con Barack Obama

Il presidente Obama non ha rinunciato a far fare la pace tra israeliani e palestinesi, nonostante tutte le emergenze mediorientali che deve affrontare, dal negoziato nucleare con l’Iran all’Isis, e nonostante i contrasti avuti col premier Netanyahu. A confermarlo sono i suoi stessi collaboratori, come Mike Yaffe, a cui il capo della Casa Bianca ha chiesto di presentargli una serie di proposte per rilanciare la trattativa, dopo la conclusione del negoziato con Teheran. Al momento sul tavolo ci sono quattro idee, che «La Stampa» è in grado di rivelare.

La strategia
L’amministrazione ha ben presente l’emergenza Isis, ma in questo momento la politica estera americana ruota soprattutto intorno all’accordo nucleare con l’Iran, che non servirebbe solo a disinnescare la sua minaccia atomica. Se infatti Teheran accettasse di interpretare un nuovo ruolo responsabile nella regione, potrebbe diventare la chiave per risolvere il conflitto in corso fra sciiti e sunniti, aprendo un dialogo con l’Arabia che tornerebbe utile anche per fermare il Califfato.

In questo quadro molti analisti ritengono che la pace fra israeliani e palestinesi, inseguita inutilmente dal segretario di Stato Kerry durante i primi due anni del suo mandato, sia quasi irrilevante. Il Presidente però continua a coltivare l’ambizione di favorirla, perché sarebbe un risultato storico, e aiuterebbe comunque a stabilizzare il Medio Oriente. Perciò ha chiesto ai suoi collaboratori più stretti al Consiglio per la Sicurezza Nazionale e al dipartimento di Stato di elaborare proposte per salvare la «soluzione dei due Stati», da lanciare dopo la trattativa nucleare con l’Iran. Il dossier è in mano all’inviato speciale Frank Lowenstein e appunto a Mike Yaffe, che hanno cominciato ad allertare le diplomazie dei Paesi alleati.

Le quattro ipotesi
Il dibattito è in una fase molto preliminare, ma al momento le ipotesi allo studio sono soprattutto quattro. Prima, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che incoraggi la ripresa del negoziato di pace sulla base di punti fermi condivisi anche dagli Usa, dando però garanzie sull’identità ebraica di Israele e sul futuro di Gerusalemme. Seconda, una dichiarazione del Quartetto, che poi verrebbe fatta propria dal Palazzo di Vetro come «road map» per le trattative. Terza, la pubblicazione degli «Obama Parameters», ossia i parametri considerati equi da Washington per rilanciare il dialogo, prima che i dati di fatto sul terreno rendano impossibile la creazione di due Stati. La pubblicazione di questi parametri sarebbe seguita da un invito delle parti alla Casa Bianca e poi un round negoziale, sul modello del tentativo fatto e fallito da Clinton alla fine del suo secondo mandato. Quarta, una pressione coordinata della comunità internazionale sulle parti, affinché riprendano le trattative dirette nella regione.
Quando il dibattito interno sarà completato, e la pratica iraniana chiusa in qualche maniera, le proposte saranno definite e presentate al presidente. Lo stesso Kerry ha continuato a lavorarci, anche quando era in ospedale a Boston con la gamba rotta. L’amministrazione non si fa illusioni, e ha letto il recente discorso di Netanyahu alla Herzliya Conference come la volontà di seppellire la soluzione dei due Stati. Washington però non vede alternative, anche per salvare Israele dall’isolamento, e non ha rinunciato a riaprire la trattativa.

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