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La Stampa Rassegna Stampa
26.06.2015 Lo Stato Islamico fa strage di curdi a Kobane: se l'Occidente non si decide a inviare truppe perderà
Cronaca di Maurizio Molinari, commento di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 26 giugno 2015
Pagina: 15
Autore: Maurizio Molinari - Domenico Quirico
Titolo: «Nuovo blitz dell'Isis a Kobana, la città-simbolo sotto assedio - Un rovescio che spazza l'illusione di battere il Califfato solo con i curdi»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/06/2015, a pag. 15, con il titolo "Nuovo blitz dell'Isis a Kobana, la città-simbolo sotto assedio", la cronaca di Maurizio Molinari; con il titolo "Un rovescio che spazza l'illusione di battere il Califfato solo con i curdi", il commento di Domenico Quirico.

Ecco gli articoli:

Maurizio Molinari:  "Nuovo blitz dell'Isis a Kobana, la città-simbolo sotto assedio"


Maurizio Molinari


Combattenti peshmerga

I miliziani dello Stato Islamico (Isis) attaccano Kobane e Hassakah, nel Nord della Siria, per strappare ai peshmerga curdi il controllo della strategica frontiera con la Turchia.

Travestiti da peshmerga
Gli assalti sono avvenuti nelle stesse ore. A Kobane, dove Isis era stata sconfitta in gennaio, i jihadisti si sono infiltrati fra gruppi di profughi che tornavano in città e hanno iniziato «a fare fuoco sulla gente che dormiva» - secondo le testimonianze locali raccolte dall’Osservatorio sui diritti umani in Siria, di base a Londra - nella notte fra mercoledì e giovedì, subito dopo l’esplosione di almeno due autobombe per un bilancio complessivo di almeno 50 vittime di cui 20 - donne e bambini - nel villaggio curdo di Bakha Botan.

I miliziani di Isis «erano vestiti con divise peshmerga» e «almeno una delle due autobombe» sarebbe entrata dalla Turchia, secondo fonti del partito curdo siriano Ypg, a conferma del tacito sostegno di Ankara per i jihadisti. Ma il portavoce turco Tanju Bilgic parla di «bugie senza fondamento».

Il ritorno di Isis nelle strade di Kobane è un successo tattico che si accompagna all’offensiva su Hassakah, la maggiore città del Nord-Est siriano anch’essa nelle mani dei peshmerga, bersagliata da colpi di artiglieria. La simultanea offensiva avviene a una settimana di distanza dallo smacco subito da Isis a Tal Abyad, la città al confine Siria-Turchia che si trova sulla strada che unisce Kobane e Hassakah. La sconfitta di Tal Abyad è stata pesante per Isis perché si tratta del maggiore punto di transito via terra fra la Turchia e Raqqa, la maggiore città del Califfato in Siria. I jihadisti stanno dunque tentando di aggredire la fascia di territorio controllata dai curdi al confine con la Turchia al fine di mantenere aperte le vie di comunicazione da dove continuano a ricevere volontari, armi e rifornimenti grazie ad ogni sorta di traffici illegali, incluso quello del greggio. Nel conflitto fra peshmerga e jihadisti «Ankara aiuta il Califfo» accusa Salih Muslim, leader del partito democratico curdo siriano Pyd, secondo il quale «alcuni miliziani di Isis sono arrivati dalla Turchia».

Ambiguità dei turchi
Il nuovo capitolo della guerra civile siriana, iniziata nel 2011 e costata oltre 200 mila morti, sottolinea la scelta dei jihadisti di andare ad una resa dei conti con le minoranze meglio armate: se Isis al Nord attacca i curdi, i rivali di Al Nusra nel Sud hanno aggredito almeno un villaggio druso, causando molte vittime. Curdi e drusi hanno avuto per decenni un rapporto di tacita coesistenza con il regime di Assad e vedono nella sua possibile caduta l’opportunità di creare proprie aree semi-indipendenti che stridono con il progetto islamico di impossessarsi dell’intera nazione.

Proprio ieri Isis ha reso pubblica la creazione di un «Governatorato del Nord Caucaso» nei territori di Dagestan, Cecenia, Inguscezia, Kabarda, Balkaria e Karachay in un aperto gesto di sfida alla Russia di Vladimir Putin. A guidare il «Wilayat Qawqaz» è Abu Muhammed al-Qadari.

Domenico Quirico: "Un rovescio che spazza l'illusione di battere il Califfato solo con i curdi"


Domenico Quirico


Due soldatesse curde peshmerga

È la visione di una guerra implacabile in cui sono aboliti i termini di tempo e di luogo, come la visione di un altro pianeta. Non c’è intreccio. Il suo ritmo è quello di una eruzione vulcanica e di un terremoto. Gli avvenimenti: una terra sconvolta dai bombardamenti, dai kamikaze, l’esplosione di un astro.

A tratti nel dipanare, a fatica, il bandolo delle battaglie del califfato pare di trovarsi su un piano ribollente, a tratti sulle lastre di un disgelo polare. I mezzi sono moderni, carri armati, cannoni, droni; ma il racconto ha echi leggendari, come le guerre di Erodoto.

Guerra per procura
Si lotta per città sconvolte, azzannandosi come animali in una terra colpita dall’incendio o dall’inondazione. La terra si lacera come un cratere e a essa si aggrappano inutilmente gli esseri umani, gli islamisti e i loro avversari.
Kobane era il nome, fino a ieri, di una possibile speranza. Il lume di una vittoria, l’unica. Ecco: i jihadisti non sono invincibili, non tutti fuggono davanti a loro, i bravi curdi li cacceranno indietro, riconquisteranno per noi il terreno perduto, la piana di Ninive, Mosul, il confine con la Turchia. La strategia della guerra per procura: fornire armi, ne abbiamo gli arsenali pieni, denaro, lodi e medaglie.
Per difenderci contiamo, insomma, sui nostri difetti. I guerrieri della montagna ci risparmieranno antiestetiche invasioni, vittime nostre, penose polemiche sugli interventismi. Soprattutto allontaneranno il momento in cui dovremo verificare se l’Occidente ha ancora il coraggio di battersi: per una giusta causa o per sopravvivere. Non c’è qualità più irritante di questa furberia paesana, travestita di retorica o di machiavellismo di latta.

I curdi a Nord, gli sciiti a Sud: la tenaglia perfetta in cui schiacciare il califfato. Strategie di mediocri, alambicchi di maldestri Napoleoni da cocktail.
Eppure le troppo sbandierate «avanzate» curde avevano suscitato in Occidente uno dei pochi slanci popolari di questa guerra sciagurata vissuta come un incubo esotico e fastidioso. Il popolo della montagna che lottava, una fatica antica, aggrappato alle sue pietre era come il ricordo lontano di cose che un tempo avevano valore ed erano considerate la grandezza dell’uomo. Faceva battere il cuore, come i finlandesi che da soli tenevano a bada l’orso staliniano, molto tempo fa.

Cambio di fronte
Purtroppo i curdi, e ancor meno gli sciiti, non basteranno. Il califfato non retrocede, avanza. La frontiera turca è vitale per i suoi traffici, i rifornimenti, il passaggio degli uomini e del denaro. Non può perderla, resterebbe tagliato fuori dal suo unico vero alleato, Erdogan. I miliziani di Abu Bakr al Baghdadi sembrano disporre delle migliori virtù guerresche, la malvagità astuta, la perseveranza della formica, la perversa ostinazione. Perdono una battaglia? Cambiano fronte. Rispondono con un’offensiva, sono rapidi, efficaci, senza pietà. L’orrore li precede come una avanguardia che squarcia la strada. Tornano a riprendersi ciò che avevano perduto. Veterani dell’era delle guerre del fanatismo sono assorbite da lei, li assimila come un lungo interminabile intestino; stende il suo calore sui loro volti, sulle mani, diviene familiare al loro tatto. E si è insinuata col fiato muffito nell’anima di questi giovani.

È una nuova specie umana che avvampa, gli odiatori senza speranza a cui i loro comandanti possono chiedere tutto. Il veleno è bevuto, la stregoneria è fatta.

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