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La Stampa Rassegna Stampa
18.05.2015 Stati islamici: dalla Libia all'Iraq, l'offensiva dei nuovi barbari
Due servizi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 18 maggio 2015
Pagina: 10
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La guerra mediatica del generale Haftar per avere armi e spazi - Palmira è salva, ma l'Isis dilaga in Iraq»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/05/2015, a pag. 10, con il titolo "La guerra mediatica del generale Haftar per avere armi e spazi", la cronaca di Maurizio Molinari;  a pag. 14, la cronaca "Palmira è salva, ma l'Isis dilaga in Iraq".

Ecco i servizi:


Maurizio Molinari e il suo recente libro "Il Califfato del terrore"

"La guerra mediatica del generale Haftar per avere armi e spazi "

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Il generale Khalifa Haftar

Il governo di Tobruk avverte l’Europa sul rischio dell’arrivo di terroristi dello Stato Islamico (Isis) a bordo dei barconi di clandestini al fine di testimoniare la necessità di una rapida abolizione dell’embargo alle forniture di armi. Votato dall’Onu nel 2014 con la risoluzione 2174, l’embargo proibisce la vendita di armamenti alle fazioni in lotta in Libia ma Khalifa Haftar, capo di Stato Maggiore delle forze di Tobruk, ritiene che sia diventata una proibizione unilaterale: mentre Turchia e Qatar fanno arrivare navi di armi alle milizie islamiche di Tripoli, Europa e Usa non fanno altrettanto con Tobruk, dove si trova il governo legittimo.

Il ruolo dell’Egitto
L’Egitto sostiene la richiesta di Haftar e quando, la scorsa settimana, una delegazione di Tobruk si è recata a Washington, ha chiesto con forza «armi di ogni tipo e in fretta». La scelta di Haftar di colpire una nave turca in avvicinamento a Derna, porto nelle mani di Isis, sottolinea quanto Tobruk consideri pericolosi i rifornimenti via mare di Ankara. Se ora Abdul Basit Haroun, consigliere del governo di Tobruk, va oltre è perché percepisce la possibilità di ottenere dall’Ue il passo desiderato.

La scelta degli europei di chiedere all’Onu l’autorizzazione ad una missione di polizia nel Mediterraneo viene infatti considerata da Haftar come l’annuncio di una nuova risoluzione sulla Libia e contro il terrorismo che potrebbe includere l’abolizione dell’embargo. Si spiega così la ricchezza di dettagli della testimonianza di Haroun, che afferma di aver saputo dai trafficanti di uomini che «i terroristi vengono tenuti in luoghi separati e poi fatti salire all’ultimo momento sui barconi diretti in Italia» al fine di «sfuggire ai controlli». Haroun dice ad alta voce quanto Haftar, e i suoi alleati egiziani, da tempo ripetono al riparo dei riflettori nelle cancellerie europee: «Possiamo stabilizzare la Libia e ridurre il pericolo di attacchi verso l’Europa se ci fornirete le armi per combattere i jihadisti».

Fine dell’embargo
Poiché il testo della risoluzione Onu sarà per una missione di polizia anti-trafficanti nel Mediterraneo, Tobruk preme per una formulazione che includa la fine dell’embargo perché la lotta ad Isis sul terreno del Maghreb aiuterà i pattugliamenti dell’Ue. Finora ogni tentativo di Tobruk di chiedere armi è stato rigettato dall’Ue ma Haftar è convinto di poter far leva sui timori degli europei al punto da fargli cambiare idea.

"Palmira è salva, ma l'Isis dilaga in Iraq"

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Il sito archeologico di Palmira, in Siria

I miliziani del Califfo si allontanano da Palmira ma dilagano a Ramadi. Sugli opposti fronti, in Siria e Iraq, i comandanti jihadisti dello Stato Islamico (Isis) confermano la tattica di muovere in fretta le truppe, indietreggiando o avanzando ove possibile.

A Palmira la scelta è di abbandonare i sobborghi di Tadmur, dove i jihadisti erano entrati sabato notte, allontanandosi dai tesori archeologici della «Venezia delle Dune». È Maamoun Abdulkarim, capo del Dipartimento Antichità di Damasco, a far sapere che «i reperti artistici non hanno subito danni e i vandali di Isis si sono allontanati su pressione delle forze governative». In realtà Isis sembra piuttosto aver scelto di ripiegare su posizioni più sicure attorno a Palmira: testimoni locali parlano di unità jihadiste «poco distanti dalla città» e in particolare «a Est, nei pressi di campi di gas naturale» nonché «impegnate nell’assalto ad un carcere locale». L’impressione dunque è che le forze di Bashar Assad siano riuscite solo ad allontanare temporaneamente Isis, che ha ripiegato a pochi km di distanza, rinviando l’assalto alle rovine dopo combattimenti costati ad entrambe le parti un totale di almeno 300 vittime.

L’assalto nella notte
A Ramadi invece lo scenario è tutt’altro. Le unità jihadiste hanno lanciato un massiccio assalto contro le ultime posizioni dell’esercito di Baghdad, alla periferia Ovest, riuscendo a travolgerle e potendo reclamare, a notte avanzata, il «totale controllo di Ramadi».

Sarebbero oltre 500 le vittime irachene nel capoluogo dell’Anbar, la più estesa provincia dell’Iraq roccaforte di una popolazione sunnita che ha dimostrato di restare fredda davanti alle richieste di aiuto da parte del governo iracheno. Sheik Ali al-Hatim, leader di una delle maggiori tribù di Ramadi, spiega il successo di Isis con «l’errore commesso dai governativi nello schierare unità di volontari sciiti filo-Iran». Ciò ha spinto i sunniti di Ramadi a sostenere Isis, causando la caduta delle ultime caserme. Alcune testimonianze raccolte dalle tv locali descrivono militari assediati e impauriti che parlano di «una pioggia ininterrotta di mortai di Isis» assieme a «miliziani del Califfo in ogni strada». Ciò significa che Abu Suleiman al-Naser e Abu Waheed, comandanti di Isis nell’Anbar, sono riusciti a portare le truppe sull’autostrada che raggiunge a Baghdad, a circa 130 km di distanza.

La fuga dei governativi da Ramadi ricorda quanto avvenuto la scorsa estate da Mosul, sollevando ulteriori dubbi sull’efficienza dei governativi. Ecco perché il premier Haider Al-Abadi fa sapere che a «riprendere Ramadi» saranno le «milizie sciite» ovvero gli avversari che Isis preferisce perché gli consentono di reclutare sunniti a volontà.

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