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La Stampa Rassegna Stampa
29.01.2015 Trattare con i terroristi significa legittimarli
Cronaca di Maurizio Molinari, Paolo Mastrolilli intervista Giandomenico Picco, ex funzionario Onu

Testata: La Stampa
Data: 29 gennaio 2015
Pagina: 9
Autore: Maurizio Molinari - Paolo Mastrolilli
Titolo: «Scambio di prigionieri: la Giordania dice sì all'Isis - 'Sbagliato trattare con il Califfato, così lo legittimiamo come nazione'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/01/2015, a pag. 9, con il titolo "Scambio di prigionieri: la Giordania dice sì all'Isis", la cronaca di Maurizio Molinari; con il titolo "Sbagliato trattare con il Califfato, così lo legittimiamo come nazione", l'intervista di Paolo Mastrolilli a Giandomenico Picco, ex funzionario Onu.


Kenji Goto, ostaggio giapponese nella mani dello Stato islamico

Ecco gli articoli:

Maurizio Molinari: "Scambio di prigionieri: la Giordania dice sì all'Isis"


Maurizio Molinari

La Giordania sceglie di trattare con il Califfo dello Stato Islamico (Isis) sullo scambio di prigionieri ma vuole la liberazione del proprio pilota Muath Kassasbeh. A rendere nota la decisione del re Abdullah è il ministro degli Esteri, Nasser Judeh, con un comunicato scritto ampiamente ripreso da tv e giornali del regno: «Siamo pronti a liberare la terrorista Sajida al-Rishawi in cambio del nostro pilota eroe Kassasbeh, completamente in vita».

La contromossa del re
Amman accetta dunque la sfida di Isis e rilancia: se il video diffuso martedì dai jihadisti chiedeva la liberazione della terrorista in cambio del rilascio dell’ostaggio giapponese Kenji Goto, che mostrava per l’occasione una foto del pilota giordano catturato a fine dicembre, la contromossa è l’offerta di uno scambio alla pari. Il ministro dell’Informazione, Mohammad Momani, lo spiega così, parlando dai teleschermi: «La nostra priorità è riavere il pilota». Dunque ora è Amman a porre condizioni a Isis perché «aspettiamo prove concrete del fatto che è ancora in vita». A dimostrazione della serietà dell’offerta, il re autorizza la fuoriuscita dal carcere della terrorista e fa divulgare la notizia. È una maniera per mettere Isis sotto pressione: lo scambio alla pari è possibile, in tempi stretti, se i jihadisti rilasceranno il «nostro eroe».

Il passo di Amman introduce una novità nel rapporto, finora esclusivamente cruento, fra Isis e le capitali arabe moderate: è la prima volta che si tenta una trattativa diretta con Abu Bakr al-Baghdadi, puntando ad esaltare la differenza fra i due «prigionieri». Da un lato c’è una donna terrorista, condannata all’ergastolo per aver partecipato nel 2005 agli assalti agli hotel di Amman in cui morirono 61 persone, e dall’altra c’è un pilota dell’aviazione ovvero un soldato scelto, nel quale si riconoscono i militari e i clan beduini da cui proviene, innescando una ventata di nazionalismo che può giovare alla stabilità della monarchia.

In piazza per il soldato
Se il Califfo puntava a mettere alle strette la corona hashemita chiedendole l’umiliazione di sottostare al ricatto, la mossa del re ha cambiato l’equilibrio innescando nella capitale manifestazioni popolari a favore del soldato, dove la folla si stringe attorno al padre, Youssef al-Kasasbeh, divenuto in poche ore l’uomo più amato del regno, in un’atmosfera di nazionalismo hashemita di cui si aveva scarsa memoria in un Paese dove la maggioranza degli abitanti è composta da palestinesi oppure da profughi iracheni o siriani. È d’altra parte vero che re Abdullah non aveva molte opzioni a disposizione: il pilota proviene da un grande clan tribale di Karak, uno dei più importanti del regno beduino, e dunque abbandonarlo alla sua sorte rischiava di creare un solco fra la monarchia e le tribù che più la sostengono.

Da Tokyo intanto il premier Shinzo Abe guarda alle mosse giordane sperando che possano portare alla liberazione del connazionale ancora in ostaggio: la disponibilità di Amman allo scambio di fatto consente di sperare in un accordo. «Abbiamo chiesto al governo giordano di cooperare per accelerare il rilascio di Goto e questo continueremo a fare» fanno sapere i portavoce nipponici al fine di comunicare a Isis che sta avvenendo proprio quanto avevano richiesto.

Paolo Mastrolilli intervista Giandomenico Picco: "Sbagliato trattare con il Califfato, così lo legittimiamo come nazione"


Paolo Mastrolilli                             Giandomenico Picco

Giandomenico Picco questo scambio di prigionieri non lo farebbe: «Significa cedere alle condizioni di un gruppo terroristico che usa mezzi dell’età della pietra, e così riceverà legittimazione nel suo tentativo di destabilizzare l’intero Medio Oriente». Però capisce le ragioni della trattativa: «Da una parte ci sono le pressioni dei famigliari, e probabilmente del Giappone. Dall’altra la necessità del re giordano di difendere la difficile stabilità del suo Paese».

Lei negoziò la liberazione degli ostaggi internazionali in Libano: perché qui la situazione è diversa?
«Io trattai a nome dell’Onu, con il consenso degli Stati Uniti, parlando prima con l’Iran, poi con Hezbollah, e quindi con Israele. Qui siamo davanti a un gruppo terroristico come nulla prima, e fatico anche a capire la dinamica».

Cosa vuol dire?
«Con chi si negozia? Non credo che queste decisioni le prenda al Baghdadi; penso piuttosto che dipendano dal capo militare dell’Isis, cioè Izzat Ibrahim al Douri, il braccio destro di Saddam sfuggito alla cattura. Ma non penso che questo basti».

Si spieghi.
«Se io dovessi fare una trattativa per liberare un ostaggio dell’Isis, probabilmente la prima cosa che farei sarebbe andare a Riad. Dubito che il re giordano abbia preso questa iniziativa senza almeno informare il collega saudita».

Sta dicendo che l’Arabia sostiene l’Isis?
«Chi legge questo fenomeno solo in chiave siriana o irachena non ha capito cosa sta succedendo. Gli equilibri creati nella regione dall’accordo Sykes-Picot del 1916 sono ormai saltati, e il futuro si gioca tutto nella lotta fra sciiti e sunniti, ossia fra Iran e Arabia. Il fenomeno Isis, che con il recente attacco alla scuola di Peshawar in Pakistan si è saldato con i taleban, fa parte di questo gioco. L’Arabia formalmente lo osteggia, ma poi dice che non può impedire ai suoi cittadini privati di finanziarlo».

In sostanza l’Iran combatte l’Arabia attraverso Assad e gli sciiti di Hezbollah, e Riad usa l’estremismo sunnita per rispondere. Ma perché i sauditi appoggerebbero Abdullah nello scambio?
«Capiscono i problemi interni del re giordano, verso cui sono riconoscenti perché li ha aiutati contro i Fratelli Musulmani, altro elemento che minaccia direttamente l’Arabia».

Ma ormai i sauditi non considerano anche l’Isis un pericolo?

«Sì e no. Agli Usa rispondono che per loro è un po’ come il fenomeno dei ricchi americani che finanziano le elezioni».

Trattare con l’Isis legittima l’ambizione di essere uno Stato?
«Sì, e pagare i riscatti significa alimentare il terrorismo, anche se ormai la stessa logica dell’Isis è superata, perché gli Stati in Medio Oriente stanno sparendo».

Quindi lei non farebbe lo scambio per ragioni politiche.
«Sul piano umano capisco l’angoscia dei famigliari, e su quello politico le necessità dei governi giordano e giapponese. Ma qui serve una soluzione complessiva fra gli unici Paesi in grado di negoziarla, cioè Arabia e Iran».

Il nuovo re saudita Salman può cambiare la dinamica?
«Il ministro degli Esteri iraniano, Zarif, è stato ai funerali di Abdullah. Speriamo che si siano scambiati messaggi».

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