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La Stampa Rassegna Stampa
24.11.2014 Arabia Saudita-Iran: è guerra petrolifera e corsa agli armamenti tra sunniti e sciiti
Analisi e commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 24 novembre 2014
Pagina: 10
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Riad fa la guerra a Teheran a colpi di ribassi di petrolio - Mosca in pressing sull'alleato Iran per il nodo nucleare»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/11/2014, a pag. 10-11, con il titolo "Riad fa la guerra a Teheran a colpi di ribassi di petrolio", l'analisi di Maurizio Molinari; a pag. 11, con il titolo "Mosca in pressing sull'alleato Iran per il nodo nucleare", il commento di Maurizio Molinari.


Maurizio Molinari

"Riad fa la guerra a Teheran a colpi di ribassi di petrolio"


E' guerra petrolifera tra Arabia Saudita e Iran

A tre giorni dal summit dell’Opec di Vienna è duello sui prezzi del greggio fra Iran e Arabia Saudita, riproponendo sul terreno dell’energia la sfida per la supremazia regionale che tiene già banco nella guerra civile siriana. Il ministro dell’Energia di Teheran, Bijan Namdar Zanganeh, chiederà ai 12 Paesi produttori di tagliare la produzione di 1 milione di barili al giorno per frenare il crollo dei prezzi, scesi del 27% dall’inizio dell’anno.

Lo scontro all’Opec
Teheran può contare sul sostegno di Venezuela, Qatar, Libia e Nigeria, ma sul fronte opposto l’Arabia Saudita dà battaglia, difendendo con il ministro del Petrolio Ali Al-Naimi la «politica della stabilità della produzione», ovvero lasciare tutto immutato senza scendere sotto i 30 milioni di barili al giorno. Sulle previsioni del summit gli analisti petroliferi sono spaccati: metà è convinto che l’Iran prevarrà e l’altra metà ritiene che saranno i sauditi a spuntarla. «Si tratta di uno dei vertici più incerti», riassume Ed Morse, autorità mondiale sui mercati del greggio, spiegando che le divergenze nascono anzitutto dagli opposti bilanci: l’Iran ha bisogno di un petrolio oltre i 90 dollari per raggiungere il pareggio, mentre a Riad basta non scendere sotto i 46 dollari. Poiché il prezzo attuale balla attorno ai 75 dollari sono gli ayatollah a essere in difficoltà. E ancora: i prezzi bassi del greggio aiutano Riad nel duello con lo «shale oil» nordamericano, la cui convenienza nell’estrazione viene meno se il prezzo scende sotto i 60 dollari.

Il nodo Siria
Ma non è tutto perché, come aggiunge Lawrence Solomon, direttore esecutivo di «Energy Probe», «di mezzo c’è soprattutto la Siria» perché i sauditi sono in difficoltà, sul piano militare e strategico, nel tentativo di rovesciare Bashar Assad per troncare l’asse Damasco-Teheran, e dunque ricorrono ora all’arma del petrolio per mettere alle strette il rivale iraniano. «I prezzi bassi puniscono tutti i nemici di Riad in Siria - sostiene Solomon - ovvero Iran e Russia, sostenitori di Assad, e anche Isis, che esporta illegalmente greggio per finanziarsi». Da qui la linea dura di Riad e anche il tentativo di Mosca di cercare una mediazione.

Gli interessi di Mosca
Si spiega così la scelta del ministro degli Esteri del Cremlino, Sergei Lavrov, di invitare a Mosca il collega saudita Saud al-Faisal nella cornice del «comitato economico congiunto». Mosca non fa parte dell’Opec ma è uno dei maggiori produttori mondiali e considera i prezzi bassi una minaccia strategica. Per questo Lavrov ha tentato di trovare un accordo con al-Faisal, mettendo sul piatto proprio la Siria. Da un lato Lavrov ha espresso sostegno per la posizione saudita «contraria a tagli della produzione globale di greggio» e dall’altro ha ribadito fedeltà alla «ricerca di una soluzione in Siria basata sull’integrità territoriale» senza fare alcun riferimento esplicito a Bashar Assad, che Riad vuole vedere fuori dal potere. La timida convergenza fra Mosca e Riad su greggio e Siria conferma la decisione di re Abdullah di sfruttare i prezzi bassi per accelerare la caduta di Assad.

L’offensiva americana
Fonti diplomatiche europee, ad Ankara e Londra, ritengono inoltre che l’offensiva saudita sul greggio abbia alle spalle il sostegno dell’amministrazione Obama, interessata a mettere in difficoltà Putin, facendogli pagare un prezzo economico alto per l’annessione della Crimea e la violazione della sovranità dell’Ucraina.
Sul fronte opposto, l’Iran gioca in attacco: Namdar Zanganeh è in visita negli Emirati del Golfo per convincerli a non seguire Riad a Vienna in una scelta «che non ha alcuna giustificazione possibile se non voler punire l’Iran».


Una raffineria di petrolio in Iran

"Mosca in pressing sull'alleato Iran per il nodo nucleare"


John Kerry                               Vladimir Putin

È la Russia di Vladimir Putin a tentare di conciliare in extremis le perduranti differenze fra Occidente e Teheran sul programma nucleare iraniano per evitare il corto circuito a Vienna.
Dopo 72 ore di infruttuosi colloqui fra il Segretario di Stato statunitense John Kerry, i colleghi europei ed il ministro degli Esteri Javad Zarif, l’arrivo ieri in tarda serata del plenipotenziario russo Sergei Lavrov ha segnato l’impegno del Cremlino a tentare di favorire un’intesa, magari solo sul prolungamento dei negoziati, entro la scadenza di oggi.
La difficoltà nasce dal fatto che, come riassume il presidente Usa Barack Obama in un’intervista tv, «le differenze fra noi sono ancora grandi» sui tre dossier aperti: arricchimento dell’uranio, modalità di verifica e sorte degli impianti sospettati di ospitare il programma militare. Mosca ha più carte da giocare essendo reduce da un patto nucleare con Teheran per la costruzione di otto centrali nei prossimi 20 anni, oltre al fatto di continuare a rifornire di combustibile nucleare il reattore di Teheran. Ed anche Pechino, che arriva col ministro degli Esteri, è in partita. L’incertezza sull’esito dell’ultimo miglio dei negoziati innesca però un domino di fibrillazioni in Medio Oriente dove attorno al nucleare iraniano si ridisegnano gli equilibri fra potenze regionali: Riad fa sapere a Washington che «se Teheran avrà l’atomica, noi seguiremo presto», il Kuwait adopera un linguaggio analogo, il ministro israeliano Yuval Steinitz rammenta che «l’opzione militare resta sempre valida» e gli Hezbollah libanesi ribattono «i nostri missili posso raggiungere Dimona», la centrale israeliana nel deserto del Negev.
È l’incertezza a tenere la regione con il fiato sospeso. Kerry tenta di rassicurare il premier israeliano Benjamin Netanyahu con una lunga telefonata e fa altrettanto con Riad, invitando il ministro degli Esteri Faisal a pranzo.
Tutti gli occhi sono puntati su Teheran perché in Iran qualcosa sembra muove: nell’arco di 48 ore prima è stato liberato il blogger iraniano-canadese Hossein Derakhsan accusato di essersi recato in visita in Israele e poi, ieri, esce da prigione l’anglo-iraniana Ghoncheh Ghavami per essere andata a vedere una partita di pallavolo.
L’ipotesi sulla quale Lavrov lavora è concordare un prolungamento dei negoziati - forse 12 mesi - ma anche qui le difficoltà non mancano: Teheran vuole in cambio un allentamento delle sanzioni che nessuno è disposto a concedergli mentre Kerry sa bene che un compromesso debole con Teheran sarebbe bersagliato dal Senato, a guida repubblicana, favorevole a interrompere da subito ogni dialogo con gli ayatollah.

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