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La Stampa Rassegna Stampa
17.11.2014 Isis: decapitato Kassig, l'americano che amava l'islam
Cronaca di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 17 novembre 2014
Pagina: 12
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «L'Isis decapita l'americano Kassig»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/11/2014, a pag. 12, con il titolo "L'Isis decapita l'americano Kassig", la cronaca di Maurizio Molinari.


Maurizio Molinari


Peter Kassig prima di essere decapitato da "Jihadi John"

Messaggio di sangue del Califfo a Barack Obama. L’ostaggio americano Peter Kassig è stato decapitato e lo Stato Islamico (Isis) sceglie di farlo sapere con un video che si distingue per la brutalità delle immagini tanto che il presidente Usa Barack Obama l’ha definito «pura malvagità».
Dura 16 minuti e inizia con la ricostruzione della genesi di Isis da cellula di Al Qaeda a Califfato, per poi spostare l’obiettivo fra gli stivali del killer, dove si vede la testa mozzata dell’americano di 26 anni, con una guancia coperta di sangue. La voce del killer ha lo stesso accento britannico di «Jihadi John», il terrorista già autore della decapitazione di almeno altri quattro ostaggi che la stampa britannica pensava morto nel blitz aereo Usa a Nord di Mosul dell’8 novembre scorso. «Questo è Peter Edward Kassig, un cittadino americano che aveva combattuto contro i musulmani in Iraq, i suoi ex compagni di cella hanno già parlato per lui, non aveva molto da dire» afferma con tono sprezzante «Jihadi John», che subito dopo si vede in altra immagine mentre partecipa alla decapitazione di massa di 18 soldati siriani, ognuno dei quali ha la testa mozzata da un jihadista.
Anche per gli standard sanguinari del Califfato si tratta di un video che eccede in brutalità, distinguendosi inoltre da quelli precedenti perché la qualità delle immagini è più bassa, meno professionale: la vittima non compare in una tuta arancione pronunciando le ultime frasi, se ne vede solo la testa nella polvere. Ciò può indicare che il Califfato è in una fase di difficoltà, non riesce ad operare più come prima e soffre la pressione militare della coalizione guidata dagli Stati Uniti che, fra l’altro, ha identificato il luogo dei video delle precedenti quattro decapitazioni in una collina vicino a Raqqa, in Siria.
Si spiega così il fatto che «Jihadi John» afferma in questa occasione di trovarsi a Dabiq, un villaggio della provincia di Aleppo menzionato nel Corano per essere stato teatro di una battaglia epica fra musulmani ed infedeli. Il terrorista conclude con queste parole: «Seppelliamo il primo crociato americano a Dabiq e bramiamo di veder arrivare il resto delle vostre armate».
Bernardette Meehan, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa, ammette: «Sapevamo del video e lo stiamo esaminando». Ma l’impressione è che Abu Bark Al-Baghdadi abbia voluto ribadire ad Obama di essere sopravvissuto al blitz aereo: se tre giorni fa aveva fatto diffondendo l’audio sull’appello alla Jihad globale e sulla «conquista di Roma», adesso a rincarare la dose con le teste mozzate è «Jihadi John».
La vittima, Kassig, 26 anni, era stato in Iraq nel 2007 con la divisa dei Rangers Usa e nel 2011 era andato in Libia come ufficiale medico negli ultimi giorni del regime di Gheddafi poi, dopo aver lasciato l’esercito Usa, si era trasferito a Beirut fondando una propria organizzazione di aiuti umanitari per soccorrere i profughi in arrivo dalla Siria nel Libano del Sud. Nel 2013 si era trasferito nel Sud della Turchia, a Gaziantep, recandosi spesso in Siria per assistere i civili. Il 1 ottobre 2013 mentre tentava di raggiungere Deir al-Zour è stato rapito da Isis e detenuto, prima ad Aleppo e poi a Raqqa dove in cella conobbe James Foley, Steven Sotloff, David Haines e Alan Henning, tutti decapitati prima di lui. A differenza di loro Kassig si era convertito all’Islam, scegliendo il nome Abdul-Rahman, ma non è servito a salvargli la vita. Un ex compagno di cella, liberato in cambio di un riscatto, afferma che Kassig «sapeva che lo avrebbero ucciso per il fatto di aver servito in Iraq».
I genitori dell’ex ranger si sono appellati ai media affinché non «facciano il gioco dei rapitori» e quindi evitino «di pubblicare le foto o i video diffusi» dai jihadisti. La famiglia, inoltre, ha chiesto che Peter sia ricordato per «l’importante lavoro svolto» e per «l’amore che ha dato ad amici e parenti».

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