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La Stampa Rassegna Stampa
02.10.2014 Anversa, Belgio: è qui la capitale del jihad in Europa
Commento di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 02 ottobre 2014
Pagina: 1
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Anversa, fra predicatori rap e spacciatori cresce la legione dei jihadisti-ragazzi»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/10/2014, a pag. 11, con il titolo "Anversa, fra predicatori rap e spacciatori cresce la legione dei jihadisti-ragazzi", il commento di Francesca Paci.


Francesca Paci


La pagina Internet di Sharia4Belgium

«L’ultima volta che ho visto Brian avevamo litigato come sempre da quando si era fatto crescere la barba, recitava il Corano e mi vietava minigonne e musica. Portava la tuta di quando era normale, forse voleva che lo ricordassi così bello.
La notte è partito per la Siria, era il 2012, mi ha lasciato il selfie di un bacio nel cellulare, non l’ho più sentito». Rosanna Rodriguez, brasiliana e cattolica, trema di pianto e antidepressivi nel tribunale di Anversa, l’edificio futuristico dalle guglie puntute che i marocchini chiamano «Ku Klux Klan» affollato per il primo processo ai neo jihadisti locali e ai reclutatori di Sharia4Belgium (S4B). Brian de Mulder, 22 anni, imputato in contumacia, replica alla madre attraverso lo stimato studioso Montasser AlDe’emeh, reduce da un mese a Aleppo con la legione belga di al Nusra: «Brian non chiama perché dice di non voler rimproveri, giura di essere realizzato. In Belgio è cresciuto infelice, genitori divorziati, brutto rapporto col padre, non aveva futuro. In Siria ha una moglie, Sara, un salario, nuota, mangia gelati, ha un ruolo».

Benvenuti a Anversa, ex capitale dello zucchero scopertasi epicentro del nuovo fantasma che s’aggira per l’Europa. Da qui, 500 mila anime paciose tra tetti fiamminghi, 43 moschee, 30 sinagoghe e l’eco di 179 nazionalità, sono partiti 75 dei 400 volontari belgi arruolatisi dopo il 2012 con i qaedisti di ultima generazione. Tra i 90 di loro tornati a casa gli 007 cercano potenziali emuli di Nemmouche, il killer della sinagoga di Bruxelles. Come sono mutati geneticamente i tanti sforzi multiculturali, si chiede ora il paese che segue il processo come una seduta di psicoanalisi collettiva?

«Questi ragazzi sono esclusi sociali, se studiano non trovano lavoro, sanno poco di vita e di religione figurarsi di Assad, mi aspetto di vederne altri sulle orme di Hisham Chaib, che veniva a mangiare qui prima di radicalizzarsi e andare in Siria» racconta la titolare praghese del ristorante marocchino Sindab, cuore di Borgerhout, il ghetto detto con sprezzo «Borgerocco» dove l’80% della popolazione è immigrata, la disoccupazione è al 40% e i giovani sono terra di conquista per spacciatori e pifferai d’estremismo come Abu Imra, il leader di S4B. Dall’altro lato di Kerkesraat c’è Buenos&Lunch, dove s’incontravano i suoi adepti prima di essere messi fuorilegge e arrestati pochi mesi fa. Dietro al bancone c’è un salafita doc, barba irsuta e pantaloni zompa-fosso, ma cede austero la parola all’adolescente che consuma falafel: «Se la prendono sempre con noi arabi. Se vado in discoteca fanno entrare i neri ma lasciano fuori me perché mi chiamo Mohammed». Secondo uno studio di «Gazet van Antwerpen» solo il 30% dei musulmani tra 15 e 25 anni si sente integrato e il 60% crede che non lo sarà mai.
La frustrazione però non basta a spiegare l’onda anomala in un Paese dove la Miss Lindsey Van Gele annuncia serena il suo passaggio all’islam per sposare il calciatore N’Diaye. C’è chi va in Siria per avventurismo come il 19enne Jejoen Bontinck e torna col padre che, dopo essere andato a riprenderselo, spera di ammorbidire i giudici con l’ingenuità del figlio in camicia bianca davanti alla Corte. Ma c’è pure Ahmed Dihaj in fuga dalla polizia, il 22enne epilettico Elouassaki, il rapper di ricca famiglia Feisal Yamoun, c’è Michael Delefortie, 26 anni, rientrato dopo poche settimane di trincea siriana perché, spiega fuori dal tribunale, «non volevo uccidere musulmani, ma non cambio idea e non denuncio i compagni». La sorella, piercing e tatuaggi, non sa credere che rischi 10 anni di galera: «Si è convertito 8 anni fa ma non ha mai criticato il mio essere lesbica. Gli ho tagliato i capelli prima di salutarlo, dalla Siria mandava foto con le armi per mostrarsi grande come da bimbo con le pistole giocattolo».
«Da un lato c’è il fenomeno delle città neo-secolari con la visibilizzazione del religioso nello spazio pubblico affermata soprattutto dai musulmani, dall’altro c’è la terza generazione di immigrati, cittadini che faticano a pensarsi tali e tendono a isolarsi in una società segnata dall’ateismo militante» spiega Felice Dassetto, luminare dell’Università Cattolica di Lovanio. Invita a non generalizzare («ci sono tanti islam e c’è una maggioranza silenziosa di musulmani non estremisti che non riesce a esprimersi»), ma segue i giovani: «Chi aveva 12 anni l’11 settembre 2001 è cresciuto in un clima inizialmente ostile, è una generazione che si sente all’indice».
Nelle zone dove S4B sguazza sin dal 2010 si fiutano tensione e sconforto. Tra le case popolari del distretto 2060, dov’è cresciuto Michael, tra i palazzoni dalle finestre anguste di Keil, intorno al metrò Handel con l’odore di hashish misto al grill di Bilal, che i combattenti belgi rimpiangono su YouTube, nel piccolo-borghese Saint Andries con la spazzatura differenziata.
«C’è una grande distanza tra i ragazzi e le figure religiose di riferimento, imam troppo vecchi che parlano solo in arabo e di teologia astratta» nota Hicham El Mzairh, consigliere comunale di sinistra e anima della comunità marocchina, la maggiore. I reclutatori, figure intermedie tra i vecchi jihadisti e i giovani a perdere, colmano il gap: «I predicatori di S4B e i salafiti takfiri hanno meno di 40 anni, conoscono le lingue, sanno usare la cultura urbana come il rap, dominano il web e comunicano facilmente con chi ha 14 anni, sa poco di Corano e ha tanti problemi sociali».
La sera è dolce-amara nelle vie in cui, denuncia la preside dell’Atenheum Karin Heremans, si appostano falchi islamisti e non solo, se nella patria della birra si legge «Vietato bere». Ebrei ortodossi sfrecciano ma, dice Michael Freilich del giornale «Joods Actueel», «non più ansiosi del solito» rispetto all’antisemitismo che stimano riguardi l’80% degli arabi.
«Il target degli jihadisti di prima generazione è dividere la società belga dalle comunità musulmane» osserva una fonte dell’intelligence che ha preso da Guantanamo i quaedisti belgi liberati. Sono qui, cauti, usano Skype consci di essere intercettati, tessono la rete europea degli ex Gitmo, sono diversissimi dalla nuova leva ma la usano: «Questi giovani sono solo criminali, ma se i vecchi minacciano più i Paesi arabi loro sono un pericolo per noi». Lo psicologo Timon Dias chiama questo il fenomeno «gangster islam».
Chi vincerà la battaglia per il cuore e le menti del domani? La sfida riguarda anche i musulmani, ammette Ibrahim Azzouz, padre della squadra di calcio Antwerp Piranha che «recluta» nei ghetti facendo concorrenza ai salafiti: «Quando Mohammed Bali ha iniziato a giocare coi pantaloni lunghi non ho capito che lo stavo perdendo, era uno da serie A. Invece è morto in Siria e io non ho saputo spiegargli quanto il mio islam non valesse meno di quello dei profeti dell’odio».

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