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La Stampa Rassegna Stampa
26.08.2014 Siria:Assad chiede aiuto agli Usa. Egitto: l'ascesa di Al Sissi
Commenti di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 26 agosto 2014
Pagina: 10
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «L'Isis avanza in Siria, Assad apre agli Usa 'si può collaborare'- Adesso Al Sissi punta al ruolo di guardiano della regione»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 26/08/2014, due servizi di Maurizio Molinari, a pag.10, con i titoli: "L'Isis avanza in Siria, Assad apre agli Usa 'si può collaborare' ", e "Adesso Al Sissi punta al ruolo di guardiano della regione"

L'Isis avanza in Siria, Assad apre agli Usa 'si può collaborare'


Maurizio Molinari


Bashar Assad

Le milizie jihadiste del Califfo Ibrahim (Isis) conquistano la base aerea di Tabqa completando il controllo della provincia siriana di Raqqa e il regime di Damasco reagisce allo smacco invitando gli Stati Uniti a compiere blitz analoghi a quelli in Iraq. Washington esita a replicare perché deve gestire una sorpresa militare: Egitto ed Emirati Arabi Uniti mettono a segno raid aerei contro i jihadisti in Libia aprendo un altro fronte della guerra agli estremisti islamici in atto nel mondo arabo. II successo di Isis a Tabqa è lampante: al termine di una settimana di combattimenti gli uomini di Abu Bakr Al Baghdadi, detto Califfo Ibrahim, hanno catturato una delle maggiori basi aeree siriane con tanto di squadroni aerei, elicotteri, carri armati, pezzi di artiglieria e depositi di munizioni. Il regime di Bashar al Assad aveva inviato rinforzi per difendere uno dei suoi più ricchi arsenali ma Isis ha prevalso al termine di una battaglia cruenta che lo ha visto perdere oltre 100 miliziani, uccidere 170 soldati governativi e catturarne altri 150. Fra questi ultimi gli ufficiali - secondo fonti locali - sarebbero stati decapitati e i corpi esposti in pubblico in maniera analoga a quanto avvenuto nelle altre due basi militari di Damasco catturate da Isis nell'ultimo mese: i quartier generali delle divisioni 17 e 93 . Il risultato è, come fa notare Rami Abdulrahman direttore dell'Osservatorio siriano sui diritti umani, di base a Londra, che «Raqqa è la prima provincia siriana interamente nelle mani dei ribelli» dopo oltre tre anni di guerra civile e, secondo stime Onu, almeno 191 mila vittime. Al Baghdadi riscatta così con le vittorie in Siria settentrionale e orientale i colpi subiti nell'Iraq dell'Ovest, a causa dei raid Usa, e punta ora a dare l'assalto ad Aleppo - la più popolosa città della Siria - dopo essersi fatto strada eliminando le postazioni di altri gruppi ribelli. Sono sviluppi che vedono Assad in difficoltà e il regime reagisce con una mossa politica inattesa. E il ministro degli Esteri, Walid Muallem, ad incontrare i reporter per affermare: «Siamo favorevoli a raid Usa contro Isis anche in Siria ma solo con il nostro avallo». Per Muallem «la Siria è il perno della coalizione internazionale contro Isis» e possono dare un «contributo importante anche agli Stati Uniti»: «Con noi il blitz per liberare il reporter James Foley non sarebbe fallito». Assad vede nella lotta ad Isis un'occasione per rilegittimarsi e Mosca lo sostiene: «Si ai raid Usa solo con l'assenso dei governi locali». D'altra parte l'Onu accusa Isis di «pulizia etnica e religiosa» in Iraq offrendo ad Assad una carta in più per uscire dall'angolo. La sfida di Damasco all'amministrazione Obama, che finora ha invocato il rovesciamento di Assad, non potrebbe essere più evidente ma Washington esita a replicare perché è alle prese con un'emergenza in Nord Africa: Egitto ed Emirati avrebbero messo a segno diversi raid aerei in Libia contro le milizie jihadiste senza informare gli Stati Uniti e aprendo un nuovo fronte di guerra in uno scenario regionale già in decomposizione. Le rivelazioni su questi blitz in Libia arrivano dal «New York Times» e II Cairo si affretta a smentirle, ma per Washington ciò che conta è uno scenario libico sempre più simile a quello siriano: conflitti interni endemici coniugati all'intervento di potenze regionali.

Adesso Al Sissi punta al ruolo di guardiano della regione


Abdel Fattah Al Sisi e Re Abdullah dell'Arabia Saudita

 L'intervento militare egiziano in Libia cela l'intesa con il re saudita Abdullah per liquidare i jihadisti sunniti e nasce dalla volontà di Abdel Fattah Al Sisi di imporsi come leader della controrivoluzione araba, dal Nord Africa al Medio Oriente. II nuovo raiss egiziano persegue la demolizione del fronte jihadista sin dal primo giorno del mandato perché la considera essenziale al fine di «annientare i Fratelli Musulmani» in casa propria. L'intelligence militare egiziana, da cui Al Sisi proviene, è convinta che i Fratelli Musulmani di Mohammed Morsi avevano creato un network jihhadista che vedeva le milizie libiche trasferire ex armi del regime di Muammar Gheddafi nel Sinai dove servivano a potenziare i gruppi di Beit Al Maqqdis, addestrati da istruttori di Hamas che era poi la destinataria dei pezzi più pregiati degli arsenali libici. Al Sisi ritiene che tale network servisse, in ultima istanza, a depotenziare l'esercito governativo e consolidare il potere dei Fratelli Musulmani al Cairo, trasformando l'Egitto in una roccaforte jihadista. Da qui l'impegno nello smantellare, pezzo per pezzo, l'intero network: prima ha liquidato i Fratelli Musulmani in casa - con migliaia di arresti e centinaia di ergastoli - poi ha inviato le truppe corazzate nel Sinai contro Beit Al Maqqdis, quindi ha dato luce verde a Israele per la resa dei conti con Hamas e ora, ultimo tassello, vuole depotenziare i jihadisti libici. Per questo le forze egiziane hanno costruito una zona cuscinetto de facto oltre frontiera, hanno sostenuto il colpo di mano del generale Khalifa Haftar in Cirenaica ed ora - a dispetto delle smentite ufficiali - consentono ai jet degli Emirati Arabi Uniti di mettere a segno raid su Tripoli contro i miliziani. Le mosse di Al Sisi sono possibili grazie all'intesa con il re saudita Abdullah e proprio nel summit di Gedda del 14 agosto sarebbe stato discusso il «fronte libico», secondo fonti arabe. II contributo di Riad è nel finanziare Al Sisi e anche guidare l'offensiva contro l'unico Paese arabo che sostenne i Fratelli Musulmani di Morsi: il Qatar. Da marzo i sauditi hanno ritirato l'ambasciatore da Doha - assieme a Emirati e Bahrein - arrivando ad ipotizzarne l'espulsione dal Consiglio di cooperazione del Golfo e nell'incontro di ieri a Gedda i tre Paesi hanno ribadito le «differenze con il Qatar», a cui si chiede la fine immediata del sostegno al jihadismo da esportazione, fino al punto da invocare la chiusura della tv Al Jazeera. Ecco perché i blitz aerei di Egitto ed Emirati Arabi Uniti - la cui aviazione fu già impiegata in Libia contro Gheddafi, a fianco della Nato - sono la cartina tornasole di una più vasta resa dei conti dentro il mondo sunnita, che vede Al Sisi e re Abdullah puntare a prevalere per poi dedicarsi al vero, e più importante, duello per la supremazia in Medio Oriente: con l'Iran degli ayatollah. E non c'è da sorprendersi se II Cairo e Riad hanno tenuto all'oscuro Washington dei blitz in Libia: la controrivoluzione sunnita considera il presidente Barack Obama alla stregua di un fiancheggiatore dei Fratelli Musulmani.

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