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La Stampa Rassegna Stampa
08.07.2014 In fuga dai Boko Haram
libere 63 ragazze sequestrate dagli islamisti: la cronaca di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 08 luglio 2014
Pagina: 11
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Nigeria, in fuga nella foresta le ragazze rapite dai Boko Haram»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/07/2014,  a pag. 11, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo "Nigeria, in fuga nella foresta le ragazze rapite dai Boko Haram".


Domenico Quirico


Le ragazze sequestrate da Boko Haram

Di fronte a alcuni avvenimenti dovremmo assomigliare ai personaggi dei racconti di fate: non si stupiscono mai di nulla. Arriva al galoppo il cocchio che è appena uscito fuori da una zucca. E Cenerentola non dà un grido di stupore. Sale tranquillamente, e se ne va in carrozza incontro alla sua eccelsa fortuna. Così nel Nord est della Nigeria. Una sessantina di ragazze, alcune pare addirittura bimbe e adolescenti, erano da un mese prigioniere dei tremendi Boko Haram, i fondamentalisti islamici che vogliono incendiare l’Africa intera sbandierando un loro Dio feroce e implacabile: che assomiglia, ahimè, un po’ troppo a quello invocato dalle montagne afghane ai deserti iracheni alle sabbie saheliane.
Se le prime, confuse versioni arrivate dalle fonti ufficiali sono vere, ragazze e bimbe hanno beffato i loro sequestratori e sono fuggite. Approfittando, ha raccontato un comandante delle discusse squadre di civili armati formate in quelle disperate località, della assenza dei loro carcerieri impegnati in un’azione militare.
Ecco: tutto il mondo era in ansia (ad esser sinceri oggi l’angoscia è assai più tenera e sbiadita di ottanta giorni fa quando a Chibok furono duecento le ragazze rapite e scesero in campo anche le Primedonne d’Occidente, l’esercito nigeriano, basculante tra impotenza e violenza cieca, promise offensive implacabili e risolutive; e gli americani spedirono i droni per cercar le rapite, e si dice anche le forze speciali...).
Non è accaduto nulla. Le umili contadinelle e studentesse del villaggetto di Kummabza, stato di Borno, rapite il 24 giugno, hanno fatto tutto da sole: svelte e impavide sono tornate a casa. Peripezie ed esiti che sarebbero da Mille e una notte se non fossero vita vera, e tragedia e sofferenza.
Chissà se nella loro solitudine nella foresta avevano capito tutto: che l’occidentale sgomento dura poco, quanto basta per dare una lustratina alle pubbliche virtù, e che la Nigeria è un posto sudicio, ma non accidentalmente sudicio, lo è in modo essenziale, costante, pacato: dove il destino delle ragazze in realtà non importa a nessuno, non ai politici che hanno con i Boko Haram commercio, reciproco e consolidato, di cortesie e di lusinghe; ci sono le elezioni presidenziali il prossimo anno, i deliri islamisti possono esser utili, poi questi fanatici si potrà banalizzarli e, forse, emarginarli. Pietoso machiavellismo! Quel che conta sono le bustarelle miliardarie da incassare con il petrolio, il prima possibile, prima che sia troppo tardi. E poi ci si chiede da quale costola son nati gli islamisti.
Ha ragione Aisha Yesufu che guida il manipolo di animosi riuniti in «Bring back our girls», ridateci le nostre ragazze: proprio il giorno in cui loro fuggivano nella foresta con il cuore in gola, ha tentato di manifestare ad Abuja, la capitale, davanti al palazzo del presidente, per gridare che da ottanta giorni le studentesse innocenti sono scomparse e nessuno fa niente. Li hanno cacciati via.
A Chibok ancora gente che sfila, per invocare addirittura l’intervento delle Nazioni Unite e l’apertura di trattative con i terroristi: non perché li amino, anzi, ma poiché nessuno riesce a fermarli. Da aprile quando le ragazze sono state sequestrate solo in questa zona del paese i ribelli islamisti hanno saccheggiato una ventina di villaggi e ucciso duecento persone. Nella più totale indifferenza.
Vorremmo vedere ora queste ragazze con i loro occhi di smalto, occhi furtivi, occhi notturni di chi attorno a sé respira la quotidianità del male, della miseria, della fatica di vivere, ascoltarle con i loro vezzi, i trasporti, le collere, gli abbandoni di donna mentre raccontano dei loro sequestratori, dei giorni da ostaggi in cui la solitudine è come l’aria che si respira, se ne serve senza vederla, dei giorni come bestiame nel recinto; i rapitori, uomini da preda, segnati, ed è per loro che vengono le guerre, per cui il Peccato è in tutto giacché non è identificabile e la religione si esaurisce in una formula, «la yadjuz», non è permesso.
Le presenze tremende che è toccato loro conoscere, come si sfogliano le immagini di un bestiario infernale o le reliquie di un incantesimo malefico, servono a far da platea al loro duello con l’insensatezza speculare del mondo. Sicché è senza paura che le vediamo incamminarsi a riprendere la loro libertà, la loro giovinezza raggiante e minacciata. E si apprestano a una nuova vita sull’ala della speranza, e sono forse felici perché l’unica felicità concreta che esiste qui è quella imminente.

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