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La Stampa Rassegna Stampa
15.04.2014 Dall'Italia volontari per la jihad
Analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 15 aprile 2014
Pagina: 15
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Italiani guerrieri per l’Islam, gli adepti crescono in Rete»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 15/04/2014, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Italiani guerrieri per l’Islam gli adepti crescono in Rete".

                            
Maurizio Molinari                   Mohammed Jarmoune          

Giuliano del Liguristan, Mohammed della Valcamonica e Anas del Bresciano: sono i loro casi ad alzare il velo sul jihadismo autoctono italiano, pericoloso quanto fenomeni analoghi in Europa seppur ancora più contenuto nei numeri. A descrivere quanto accade sul fronte del terrorismo islamico in Italia è il rapporto “Jihadismo autoctono in Italia” firmato da Lorenzo Vidino, esperto internazionale sul jihadismo, per la “European Foundation for Democracy” e dell’Ispi che lo presentano oggi in Parlamento.
Il primo jihadista “formatosi in Italia” che tenta di farsi saltare in Italia è il libico Mohammed Game, a Milano il 12 ottobre 2009: è un immigrato giunto nel nostro Paese in età adulta ed è «il primo indicatore dell’arrivo del jihadismo autoctono nel nostro Paese», scrive l’ex magistrato delle inchieste sull’antiterrorismo Stefano Dambruoso nella prefazione allo studio. Ma sono gli arresti - dal 2012 - a descrivere come anche l’Italia è in grado di «produrre jihadisti». Nel marzo 2012 la Digos arresta Mohammed Jamoune, marocchino ventenne cresciuto in Italia impegnato a pianificare un attacco contro la comunità ebraica di Milano, e l’inchiesta che innesca svela l’esistenza di un network di simpatizzanti jihadisti, molti dei quali convertiti, sparsi in Italia, che traducono e diffondono testi fondamentalisti su blog, forum e social network consentendo di dedurre che «Internet conta più della moschea», come osserva Vidino per descrivere il metodo di propagazione dell’islamismo radicale, individuando l’inizio di questa tendenza nei blog gestiti dalla convertita milanese Barbara Aisha Farina nei primi anni Duemila. Nel giugno 2013, a finire in manette è Anas el-Abboubi, anch’egli marocchino, cresciuto nelle montagne del Bresciano, con l’accusa di aver creato il gruppo “Sharia4” ma viene assolto e poco dopo la sentenza si trasferisce in Siria, dove entra nei ranghi dello “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” (Isis), una delle organizzazione jihadiste più sanguinose e meglio organizzate.
Proprio in Siria, nello stesso mese di giugno 2013, viene ucciso Ibrahim Giuliano Delnevo, un genovese convertito all’Islam, che parla della sua terra natale come il “Liguristan” e muore armi in mano, fra i ribelli islamici che si battono contro il regime di Bashar Assad. Sebbene questi casi di jihadisti autoctoni italiani siano meno delle centinaia registrati in Francia, Germania, Paesi Bassi e Gran Bretagna - dove l’immigrazione musulmana è iniziata oltre venti anni prima rispetto a noi - le pagine di Vidino li descrivono con una dovizia di dettagli tesi a lanciare l’allarme sulla possibilità che il fenomeno si sviluppi in maniera simile.
Se i volontari italiani in Siria sono stati 10-15, rispetto agli almeno 400 francesi, ciò significa che da noi si affaccia lo stesso pericolo. A suggerirlo è l’indagine “Niriya” che porta all’arresto di Jarmoune, in Italia dall’età di 6 anni e residente a Niardo in Valcamonica, svelando l’estensione delle attività online ispirandosi al trattato di Anwar Al-Awlaki, ex leader di Al Qaeda in Yemen, sui “44 modi per sostenere la Jihad”, e adoperando in gran parte le chat. Anas el-Abboubi, in Italia dall’età di 7 anni, ha in comune con Jarmoune i natali in Marocco, la passione per Internet e i manuali di Al-Awlaki.
Ma in più non fa mistero della volontà di andare ove possibile per battersi con le armi - dal Mali alla Siria - si fa fotografare con la tunica, il Tricolore e la “Shahada” - professione di fede islamica - e si addestra in montagna, puntando a moltiplicare la “Street Dawa”, il proselitismo islamico in strada. E’ l’approccio che lo porta ad Aleppo, Siria, dove - come scrive su Facebook - afferma di sentirsi «libero di correre come una rondine in cielo». Riesce ad arrivare in trincea contro Bashar Assad grazie ad un network slavo-albanese che opera fra Italia, Balcani e Medio Oriente. Finisce nei ranghi dell’Isis, un gruppo jihadista ribelle simile a quello nel quale milita e cade Giuliano Ibrahim Delnevo, nato a Genova nel 1989 e cresciuto in uno dei quartieri più multietnici della Penisola, dove è un compagno di classe marocchino a fargli conoscere l’Islam. Delnevo, assieme a un altro convertito, creano un piccolo nucleo di attivisti che si sentono protagonisti del “Liguristan”. Fino alla scelta di partire per la Siria. «Casi come quelli di Jarmoune, el-Abboubi e Delnevo indicano che un jihadismo autoctono è arrivato in Italia con caratteristiche simili a quelle di altri Paesi europei - conclude Vidino - perché non sono episodi isolati ma la punta di un iceberg» sullo sfondo di uno jihadismo di «network tradizionali basati in gran parte in Lombardia ma anche in Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Campania» con i tunisini di “Ansar al-Sharia” fra i meglio organizzati.

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