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La Stampa Rassegna Stampa
19.09.2013 Aleppo, reportage dal Paese del Male
di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 19 settembre 2013
Pagina: 29
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Aleppo, qui c’erano i sogni che si sono divorati a vicenda»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 19/09/2013, a pag. 29, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo "Aleppo, qui c’erano i sogni che si sono divorati a vicenda".


Domenico Quirico                 Aleppo

Aleppo: tutti gli orrori dell’uomo vengono a depositarsi lì, impossibile allungare la mano, volgere gli occhi senza il rischio di infettarsi per una metastasi. Aleppo, arcanamente bella, fasciata dalla morte come da un turbante, un carnaio dove il sangue non si coagulerà presto e dove nel fondo dei mille stridori della guerra, così spesso assordanti, dorme, ahimè, un profondo silenzio morale. Mi piange il cuore a chiamare così una terra antica, non carica, sovraccarica di storia dove soffrono lottano e vengono uccise creature viventi e il sadismo trova un soffice guanciale. Ci sono gli uomini, lì, c’era una rivoluzione. Ma che importano gli uomini se il loro sacrificio è vano? C’erano i sogni, i progetti di cambiare un Paese, la Siria, e un mondo. Ma che importano i sogni se quelli cattivi annullano i buoni e se divisi in due campi opposti si divorano l ’ un l’altro?

La Siria è un carnaio dei principi veri e falsi, libertà e fanatismo religioso, delle buone e delle cattive intenzioni. Nelle strade di Aleppo, nei quartieri rasi al suolo dall’artiglieria e dalla aviazione, pianura di cemento non benedetta da nessuna erba, i proiettili di mitragliatrice schioccano all’altezza delle spalle, ci si abitua facilmente ai morti, alla vista e all’odore del sangue. Uomini stanchi dividono la loro ultima crosta di pane, bevono insieme l’ultima borraccia di acqua puzzolente e con le grosse mani impacciate da dolore, invocando un dio che non ha il coraggio della pietà, ficcano un intero pacchetto di bende nell’antro spalancato di un ventre, nel quale cade a gocce il sudore della loro fronte. Fabio Bucciarelli è stato lì con la macchina fotografica, impegnando, come in Libia, il proprio essere, la propria sincerità profonda: per imparare che il dono quotidiano di sé non inclina a nessuno dei sentimenti, odio, invidia, avidità, che rinserrano l’uomo in se stesso. Ma anche che l’elemento che affiora in quei luoghi disperati è il disprezzo dei valori morali, la immensa capacità di oblio. Il Male qui germina sicuramente. Alla più piccola semenza del bene occorre invece, per non essere soffocata, una fortuna straordinaria, prodigiosa.

Ho di nuovo amato Aleppo, e la rivoluzione che mi ha tradito e tenuto in ostaggio per cinque mesi, nelle foto di Bucciarelli: nei suoi ribelli dagli occhi coscienti e il viso estenuato di chi perde la vita da una vena; nei fuggiaschi, uomini pazienti colpiti ingiustamente e di continuo dalla nequizia; nella vecchina che cammina, impavida, in un paesaggio da mondo in sfacelo, dove tutto ciò che cade sotto gli occhi è corroso, sconnesso, sordido, i selciati i muri i legni le stanze. In queste immagini si concentra e diventa quasi un vapore invisibile, sì, lo potete respirare, l’odore che aleggia in una città assassinata, polvere da sparo e sudore, cialde di pane e sangue. putrefazione dei corpi rimasti sotto le rovine, fiato di fogna che sale, acre, da ogni crepa. Forse una fotografia non basta per capire il labirintico intrico politico del dramma siriano. Ma basta per snudarci dalla disumana indifferenza.

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