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La Stampa Rassegna Stampa
17.03.2012 Sudan: bravo George Clooney, così si fa
Cronaca di Paolo Mastrolilli, commento di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 17 marzo 2012
Pagina: 12
Autore: Paolo Mastrolilli-Domenico Quirico
Titolo: «Sit-in per il Sudan,Clooney in manette-Il Paese soffoca mentre Al bashir danza allo stadio»

Un attore famoso in tutto il mondo manifesta davanti all'ambasciata del Sudan a Washington. La legge americana non glielo consente perchè il luogo è di proprietà del Sudan, la polizia lo ammanetta. Ciò che Clooney cercava. Il mondo ha largamente ignorato i massacri del feroce dittatore Omar al Bashir, adesso, grazie al gesto simbolico di George Clooney, quel che accade in Sudan è su tutti i media del mondo.

Incomprensibile la scelta del GIORNALE, che titola " Clooney si fa arrestare per sport, sorrisi e manette contro ilSudan", ancora più pesante il catenaccio sotto al titolo " L'attore inscena una provocazione davanti all'ambasciata di Khartoum, così finisce in cella per tre ore. A favore di telecamera".
Pessimo anche l'articolo di Gaia Cesare.
Clooney non ha certo bisogno di pubblicità, il suo gesto è semmai da lodare, non da ridicolizzare come ha fatto il GIORNALE.
IC invita a scrivere al direttore Alessandro Sallusti segreteria@ilgiornale.it
per protestare, e chiedergli il perchè di una scelta così cinica e anche ignorante.

Dalla STAMPA di oggi, 17/03/2012, a pag.12, riprendiamo la cronaca dì Paolo Mastrolilli e il commento di Domenico Quirico.
Ricordiamo ai lettori che Israele è stato il primo Stato ad avere riconosciuto il Sudan del Sud, dopo la separazione da quello del nord.
Ecco i due articoli:

Paolo Matrolilli: " Sit-in per il Sudan,Clooney in manette"

Dalla cena di gala alla Casa Bianca per la visita del premier britannico Cameron, alle manette, passando per l’Ufficio Ovale col presidente Obama e il Congresso per una testimonianza davanti ai parlamentari. George Clooney le ha provate tutte, questa settimana, per attirare l’attenzione sulla crisi in Sudan, dove il governo del presidente Omar al Bashir continua a perseguitare e affamare i suoi oppositori.

Ieri mattina l’attore premio Oscar è andato davanti all’ambasciata sudanese a Washington con il padre Nick, e altri personaggi come i deputati Jim McGovern, Jim Moran e Al Green, Martin Luther King III e John Prendergast dell’Enough Project. Volevano denunciare l’emergenza umanitaria che sta esplodendo nella regione delle Nuba Mountains e del Blue Nile, dove le forze di Bashir combattono contro i ribelli alleati del Sud Sudan, colpendo anche i civili. Gli agenti del Secret Service hanno informato Clooney che non era autorizzato a protestare sul terreno di proprietà dell’ambasciata, e dopo il terzo avvertimento lo hanno arrestato, perché non aveva rispettato il divieto di accesso posto dalla polizia. Una prassi usuale per questo genere di dimostrazioni, dove i manifestanti puntano ad essere fermati per attirare l’attenzione del pubblico sulla loro causa. Quindi George, vestito con jeans, camicia bianca e maglione blu aperto, ha offerto i polsi agli agenti, che glieli hanno legati dietro la schiena con le manette di plastica.

Verso le due del pomeriggio Clooney e gli altri sono stati rilasciati, e l’attore ha spiegato ai media le ragioni del suo gesto: «Volevamo attirare l’attenzione su una emergenza che ha bisogno di interventi immediati. Bashir, incriminato per reati contro l’umanità, continua a bombardare i civili delle regioni meridionali del Sudan per cacciarli dalle terre dove hanno sempre vissuto. Loro si rifugiano nelle caverne e non possono coltivare i campi. Fra sei settimane comincerà la stagione delle piogge, e i loro villaggi diventeranno irraggiungibili. Circa mezzo milione di persone rischierà la morte, per una carestia provocata dalle azioni degli uomini». Clooney non ha criticato Obama, riconoscendo che ha fatto molto, in particolare per il referendum che ha consentito al Sud Sudan di separarsi da Khartoum. Però le violenze nel Darfur continuano e ora c’è l’emergenza umanitaria, da affrontare mandando subito aiuti alimentari. «Non mi fermerò qua», ha promesso l’attore, lasciando il commissariato.

Domenico Quirico: " Il Paese soffoca mentre Al bashir danza allo stadio "

Omar Al Bashir

Impudenti, arroganti, sguaiati: perché si sentono imprendibili. Il dittatore sudanese Al Bashir e il suo truce ministro della Difesa Hussein sono accusati di genocidio. Vergogne simili dovrebbero pesare nel codice genetico. Invece il tre marzo sono comparsi, in grande uniforme, il torace lardellato di medaglie, allo stadio di Karthoum: adunate febbrili, marce ipnotiche piacciono ai tignosi imputati nient’affatto immalinconiti dalle accuse. Anzi: hanno danzato, al ritmo di una canzone che aduna le «Forze di difesa del popolo», una milizia creata ai tempi della funesta guerra contro il Sud secessionista. I sudisti ora sono indipendenti. Ma la tensione ai confini sale come un barometro in tempesta, la provincia più zeppa di petrolio è ancora contesa. I profughi Doro e Jamam si ammassano, spauriti e dolenti, la neoplasia della catastrofe umanitaria ancora una volta invade l’organismo. Il pandemonio ai tiranni di Karthoum torna sempre utile. E i tiranni non perdonano, insegna Savonarola.

«Mai più». L’avevano promesso, ripetuto, scandito, scritto nei discorsi i signori della pace, i gendarmi del sacrosanto imperialismo umanitario, i componenti del Consiglio di sicurezza: mai più un altro Darfur. Gli anni sono passati nelle chiacchiere, nei rinvii. Le cancellerie hanno cattiva memoria, tracannano qualsiasi ingiuria in nome del bigottismo di una «Realpolitik». Per fortuna, a ricordarci la vergogna e il dovere, restano gli attori; e la gente comune, una volta si sarebbe detto «di buona volontà». Perché un governo che dovrebbe essere sul banco degli imputati della Corte penale internazionale per aver ordinato il massacro di 300 mila persone, le tribù nere dei Four, Massalit e Zaghawa (da aggiungersi a due milioni e mezzo di profughi), continua a organizzare placidamente stermini, violenze provocazioni infamie?

Il ministro della Difesa Mohamed Hussein dovrebbe essere in prigione. C’è un mandato di arresto fitto di 13 capi di imputazione: assassinio, persecuzione, atti inumani, stupro e saccheggio ai danni di popolazioni civili. Ecco: la giustizia. Il pluriomicida del suo genere continua invece a combinare mirabilia. A dicembre ha eliminato il capo dei ribelli, Khalil Ibrahim. Difficile considerarlo un santo: aveva in passato collaborato alla pulizia del Sud ribelle.

E perché un presidente accusato di genocidio danza negli stadi? Non solo: il 21 gennaio è andato a una festa di matrimonio nella capitale del vicino Ciad. Si sposava la figlia di uno dei capi delle milizie Janjawid, gli squadroni della morte al suo servizio nel Darfur: Moussa Hilal, anche lui nell’inutile mirino dell’Onu. Sposava, la ragazza, il presidente Déby, addirittura. Le tirannie dimenticano le antiche inimicizie, si fanno le fusa. Il Ciad ha firmato la convenzione che ha creato il Tribunale internazionale. Avrebbe dovuto arrestarlo, il ricercato Al Bashir. Che invece viaggia, è andato a Tripoli liberata in trionfo: ha fornito armi ai ribelli, lui con Gheddafi era ai ferri corti. Perché il Colonnello nelle sue tortuose ordalie per procura le armi le dava agli opachi ribelli del Darfur. Bashir può essere arrogante: vende petrolio, tanto petrolio. E l’oro nero gli ha procurato un Grande Fratello. Che non è più il defunto Bin Laden, ma la Cina. Gli compra il 25 per cento delle sue forniture; e le paga soprattutto con le armi, e i veti all’Onu.

La ricchezza energetica rende compatibili fiorenti malcostumi, regala buoni motivi ai poltroni giustizieri di Occidente. A Karthoum, davanti alla folla rumorosa e inferocita, Bashir grida slogan terzomondismi, dice che «il mandato di arresto non ha alcuna importanza».

Scendiamo più a Sud, nella provincia del Nilo Blu dove vive l’ennesimo popolo delle tende, 80 mila, che la nuova guerra ha lasciato sulla riva come un detrito. Forse bisognerebbe stabilire una statistica di quante persone sono già morte, da quando in Occidente hanno cominciato a discutere. Senza numeri anche parole terribili come catastrofe umanitaria diventano suoni vuoti.

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