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La Stampa Rassegna Stampa
30.12.2011 Nessuna primavera araba, solo un inverno islamista e di sharia
E la Turchia è una teocrazia islamica, non un modello democratico. Analisi di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 30 dicembre 2011
Pagina: 12
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Chi comanda ora, al tempo della prosa»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 30/12/2011, a pag. 12, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo " Chi comanda ora, al tempo della prosa ".

Il pezzo di Domenico Quirico descrive con estrema lucidità che cos'è stata la 'primavera araba', e cioè un inverno islamista  che non ha avuto nulla a che vedere con la democrazia.
Quirico scrive, in particolare, che i leader di Ennahda : "
Servono a dar più peso alle promesse islamiche di dimenticare la brusca «sharia» e conservare la Tunisia laica e operosa, che il «cattivo visir» Ben Ali aveva trasformato in mafioso bordello. Gannouchi è stato uno dei pionieri della novella teocrazia islamica; ben prima del turco Erdogan. Teologia baldanzosa e propagandisticamente seducente ". Teocrazia islamica, con queste parole Quirico descrive anche la Turchia di Erdogan. Finalmente su uno dei giornaloni si legge la verità sulla Turchia, sempre esaltata e apprezzata dagli analisti italiani, che la scambiano per un modello di democrazia islamica.
L'analisi di Quirico cozza con l'interpretazione data da Mimmo Càndito in un articolo pubblicato nello stesso servizio e con la prima pagina della Stampa, in cui si legge che "
la primavera araba non è ancora finita". Consigliamo a Càndito e alla redazione che ha scritto questo titolo la lettura attenta del pezzo di Quirico. La primavera araba non è semplicemente 'finita', non è mai continuata. Tunisia, Egitto,  sono passati da dittature laiche a teocrazie islamiche. E il fatto che queste siano state democraticamente elette non significa che siano meno pericolose ed estremiste. Non esiste un islam moderato nè democratico.
Ecco il pezzo:

Bisogna diffidare dei rivoluzionari che si mettono da parte, che si negano al Potere, che fanno i ritrosi e si danno al profetico, al consiglio disinteressato, all’al di sopra delle parti. Lo sfuggente Ottaviano Augusto, si sa, è stato più letale dell’onnipresente Robespierre. Per questo non è opportuno perder di vista il vero padrone della Tunisia: si chiama Rached Gannouchi. Ha piccoli occhi da mago che scintillano sempre dietro le lenti, i gesti raccolti di chi trattiene, a stento, guizzi prepotenti, energia da egocrate. Bisognava vederlo ai comizi dove la gente beveva le sue parole incisive per capire. Come molti islamici ha un certo modo di esser pio che pare quasi sensuale.

Gannouchi non è ufficialmente niente: non presidente della Repubblica, non primo ministro, non dirige nemmeno la Assemblea nazionale, è un anziano rivoluzionario in pensione. Eppure il futuro del Paese che ha inventato la primavera araba, ora che la poesia della rivoluzione è finita e si parla la prosa islamista, gli appartiene. Perché il suo partito, Ennahdha, apostoli del Verbo che noi in occidente chiamiamo moderati e civilini, ha stravinto elezioni finalmente libere e regolari.

È un partito che il successo gonfia a vista d’occhio come la rana nella favola: facce serie, approvatrici, trattenute e ipocrite. Gannouchi non porta mai la cravatta, indumento occidentale, leggermente empio, ma la fa indossare al suo braccio destro, Hamadi Jebali, che ha destinato alla carica di primo ministro; e che incanta tutti, giornalisti e politici occidentali venuti a spiare questa rivoluzione vittoriosa in terra di Islam: lo trovano simpatico, moderno. Gannouchi, uomo pio e generoso, il palazzo di Cartagine lo ha destinato a Moncef Marzouki, laico e perfino un po’ «gauchiste»; i dubbi sull’Islam al potere, se mai li aveva, li ha barattati con la poltrona di presidente. Sa che i voltagabbana che parlano un buon francese ci tranquillizzano, da questa parte del Mediterraneo. Servono a dar più peso alle promesse islamiche di dimenticare la brusca «sharia» e conservare la Tunisia laica e operosa, che il «cattivo visir» Ben Ali aveva trasformato in mafioso bordello.

Gannouchi è stato uno dei pionieri della novella teocrazia islamica; ben prima del turco Erdogan. Teologia baldanzosa e propagandisticamente seducente: grazie alle rivoluzioni (che non ha fatto) vuole impadronirsi degli Stati nella legalità, per poi trasformarli dall’interno giorno dopo giorno, con comodo. Lui è uomo di un altro tempo rispetto al nostro, sfalsato e immanente. Sicuro che il fotogramma edenico di uno Stato divino si compirà.

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