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La Stampa Rassegna Stampa
05.12.2011 Letterina di Natale alla Stampa
Domenico Quirico abbandona l'islamicamente corretto e descrive la situazione in Egitto. Un plauso da IC

Testata: La Stampa
Data: 05 dicembre 2011
Pagina: 19
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «All’Università di al Azhar: Non esiste l’islam moderato»

Vorremmo indirizzare una letterina di Natale alla STAMPA, anche se di solito non ne scriviamo, ma l'articolo di Domenico Quirico merita una segnalazione.
Finalmente un analista italiano descrive  che cos'è in realtà la 'Primavera araba',  cioè la deriva islamista di Paesi che, prima, erano laici, anche se autoritari. Non ha nulla a che vedere con la democrazia.
Finalmente gli analisti italiani stanno uscendo dalla loro ottica islamicamente corretta per descrivere ai loro lettori qual è la situazione.
Lo ha fatto Domenico Quirico che, nell'articolo che segue, descrive lucidamente la situazione dell'Egitto. E lo ha fatto il desk esteri della Stampa che ha titolato il pezzo con una frase che ne rispecchia perfettamente il contenuto, 'Non esiste l'islam moderato'.Speriamo continui.
Chissà che presto anche gli altri giornaloni decidano di abbandonare la loro logica islamicamente corretta e  pubblicare articoli che informano come quelli di Domenico Quirico.

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 05/12/2011, a pag. 19, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo "All’Università di al Azhar: Non esiste l’islam moderato".


Domenico Quirico          al Azhar

Ragazzi. Quelli di piazza Tahrir, innanzitutto. Ieri burrascosi e vociferanti. Rivoluzionari stracchi, vinti, delusi, oggi: inebetiti da un voto che scavalca e rende vecchio il loro virtuoso Jhad di slogan, di pietre, di fraternità. Del grande fuoco, dell’irresistibile furor di popolo, restano solo le braci fredde. Misurano l’ombra che accompagna sempre le rivoluzioni, lo scarto antico che corre tra i sogni e il quotidiano, tra la rivolta e la politica. Ora si accorgono che il loro partito, «Rivoluzione continua», ha ottenuto il 3,5%. La «loro» rivoluzione l’hanno annessa gli islamici, 65%, il moderatume paesano dei Fratelli musulmani più i rabbuffati salafiti. Fra tre mesi, quando questa anabasi elettorale finirà, l’Egitto sarà pio per decreto, semplificato brutalmente alla sua identità musulmana. Sparirà o sarà zittito quello laico e liberale. Con i suoi tesori dell’intelligenza, dell’immaginazione e della parola, capaci di negare l’autorità di censori e tabù.

Altri ragazzi, in un altro luogo del Cairo, nelle aule e nei giardini di al Azhar, l’università-vaticano che papeggia da mill’anni sull’Islam sunnita, che sbozza i muftì di tutto il Medio Oriente, con le fatwe che sono giurisprudenza dall’Atlantico alle Malesia, dal Sahel alla via della seta. Qui nessuno si era accorto di nulla. Una settimana prima che i tumulti invadessero piazza Tahrir il grande imam di al Azhar, Ahmed al Tayyeb, spiegava che in Egitto era impossibile si replicasse la Tunisia, ovvero una rivoluzione: perché non c’era l’idra laicista, il popolo aveva conservato la sua semplice fede ed era felice. Merito, diceva, anche dei «saggi» politici del raiss Mubarak, che assicuravano il benessere alla maggioranza degli egiziani.

«Dar el-iftah» è un palazzo moderno simile a un brutto albergo e scruta quella che un tempo era una immensa collina di immondizie, che i dollari dell’Aga Khan hanno trasformato in splendido parco (a pagamento). Qui è la sede del grande imam, qui bisogna salire per proporre i quesiti poi risolti dagli editti religiosi. Dar el-iftah ha compiuto inediti gesti rivoluzionari: Al Tayyeb ha esortato innanzitutto i soldati a non sparare contro «i nostri figli» in piazza e si è offerto di mediare tra i generali e la gioventù rivoluzionaria. Nazionalizzata nel ’62 da Nasser, al Azhar deve farsi perdonare i decenni passati a tessere le lodi del regime, una comoda burocratizzazione che ha trasformato professori e muftì in alti funzionari obbedientissimi a confermare le bugie del regime. Una pratica che ha fatto perdere all’istituzione gran parte della credibilità in Egitto e nel mondo islamico; ingrassando i lunatici stregoni dell’Allah è tutto.

È in corso una grande lotta per l’anima del mondo musulmano; e mentre i fondamentalisti con le loro inescusabili «pruderie» totalitarie crescono in potere e in ferocia, diventa decisivo il ruolo di uomini coraggiosi disposti ad affrontarli in una battaglia di idee e di valori morali, come è accaduto in passato con i dissidenti dell’Est europeo. Siamo venuti ad al Azhar a cercarli. Il portavoce del grande imam per il dialogo, Mahmud Azad, ricorda che «è stato lui il primo a definire martiri i ragazzi uccisi negli scontri di piazza già tre giorni dopo la rivoluzione». E che da al Azhar è uscito un esplosivo documento sulla democrazia, che la definisce «necessaria» e fondamento di uno Stato di diritto. Siamo agli antipodi del pensiero che si regge su due piloni, l’omaggio scrupoloso al potere in carica, e l’ossessiva ricerca della «fitna», l’unità della comunità sotto Dio contro le divisioni e la discordia. Divisione, varietà di idee, discordanza che imam e scabini fulminano ogni venerdì con ammonimenti obituari. E sono proprio i salafiti (il 25% degli elettori) che più danno in escandescenze contro l’Hizb, il partito, la fazione. Tolti i quali, della democrazia resta pochissimo.

Sono dunque ad al Azhar i missi dominici (5000 allievi arrivano dalle madrasse di tutto il mondo musulmano) di quel fantomatico islam moderato, «light», che l’Occidente sogna e si inventa, i paladini in grado di confutare i settatori delle magnifiche sorti e dei fatali progressi del fanatismo?

Forse c’è stato un tempo in cui trovarsi in questo luogo significava davvero incontrare quello che c’è di più bello nella fede religiosa: la sua capacità di offrire consolazione e ispirazione, la tensione verso quelle grandi e splendide vette in cui forza e delicatezza si congiungono. Me se entriamo nelle Facoltà di Teologia e di Diritto incontriamo luoghi di eternità volgarizzata, non c’è il solenne lo scostante il discontinuo, la divinità che si pratica qui e si applica alla realtà per leggerla non è impervia, manca dell’esclamativo. Professori-burocrati che paion conservati sott’aceto, e studentiobbedienti insegnano e apprendono il mondo su libri vecchi di mille anni, sempre quelli, salmodiando sure stantie. Sembra di essere a una scuola quadri dei vecchi partiti comunisti. In questo caso dei Fratelli musulmani. Non faranno mai una rivoluzione modernista. Il loro quietismo subdolo, la loro «machina mundi» affattura migliaia e migliaia di giovani perpetuando la massima definitiva del padre fondatore, Hassan al Banna: «L’islam è la nostra Costituzione». Tutto è vecchio, come le orribili croste che ornano gli uffici del rettorato, le piante ornamentali di plastica coperta di polvere. Nessuno degli insegnanti, come Abdelsabur Fadel che ci ha accolto a piedi nudi, pronto per raggiungere i suoi allievi in preghiera, ci è sembrato un pescatore di uomini. Semmai legulei, strascinafaccende, attenti dosatori diparole: «Sì, abbiamo passato tempi duri, siamo diventati un ente pubblico. Ora dobbiamo riguadagnare autonomia, ovvero il diritto che un tempo avevamo di scegliere noi stessi il grande imam.».

Emoatez è al quarto anno di diritto. «Perché mi chiedi se sono salafita? Non vedi come sono vestito? Puro stile al Azhar. Islam moderato? Islam radicale? L’islam è l’Islam. Quando dominavamo il mondo c’era giustizia e pace. Vedrai: ritorneranno».

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