giovedi` 28 marzo 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
10.11.2009 D'Alema ministro degli esteri Ue. Perche non a Beirut ?
Ma le versioni dei quotidiani sono discordanti fra loro

Testata: La Stampa
Data: 10 novembre 2009
Pagina: 7
Autore: Marco Zatterin
Titolo: «Miliband è fuori. Via libera dal Pse»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 10/11/2009, a pag. 7, l'articolo di Marco Zatterin dal titolo "Miliband è fuori. Via libera dal Pse ".

La notizia riguardante la rinuncia di Miliband e la conseguente assai probabile vittoria di D'Alema non è trattata in maniera univoca dai quotidiani italiani.
Sono certi della vittoria di D'Alema LIBERO, Il GIORNALE, Il MANIFESTO. Per il CORRIERE della SERA, La REPUBBLICA, La STAMPA, invece, la partita sarebbe ancora aperta. Per quanto riguarda L'UNITA', si legge in prima pagina la notizia che David Miliband non si è ritirato e che a remare contro D'Alema ci sarebbe Gordon Brown. Da parte nostra, che vediamo volentieri D'Alema fuori dai confini nazionali, suggeriamo sempre il posto di Ministro degli Esteri, ma non a Bruxelles, bensì a Beirut, dove per altro, ha già tanti amici nel governo, potrebbe  entrare facilmente con Hezbollah (visti i trascorsi).
Ecco l'articolo della STAMPA:

 Massimo D'Alema con il suo copricapo preferito

Il gioco delle tre carte lo hanno fatto gli inglesi. Hanno tenuto duro su Tony Blair presidente dell’Europa, hanno finto con determinazione di non volere la poltrona di Mister Pesc, hanno fatto trapelare l’ambizione di appuntarsi le stellette di sceriffo dell’Antitrust Ue nella Commissione Barroso-bis. In serata hanno organizzato l’ultima diversione. Il ministro degli Esteri David Miliband, da giorni considerato in pole position quale futuro capo della diplomazia comunitaria nonostante le sue secche smentite, è arrivato col premier Gordon Brown al castello di Bellevue, residenza del presidente tedesco Horst Köhler. E’ stato allora che tutti hanno cominciato a chiedersi cosa ci facesse veramente lì. E se quella fosse la mossa di chi ha ogni interesse a chiudere la partita al più presto oppure il contrario.
Berlino era comunque in festa, nonostante la pioggia che ha bagnato il ventennale della caduta del Muro. Alle venti e trenta, quando i capi di Stato e di governo dell’Ue si sono seduti a cena nella Cancelleria, il totonomine europeo costituiva la portata più ricca ai margini del vertice. «Si parla delle candidature, ma senza decisioni», ci teneva a tagliar corto il portavoce della padrona di casa, Frau Merkel. Così fra le tante voci, sul tavolo restava l’unica notizia concreta, quella della corsa in apparenza solitaria di Massimo D’Alema verso la nomina a Mister Pesc.
L’investitura l’aveva firmata nel primo pomeriggio il numero uno del gruppo socialista all’Europarlamento, Martin Schulz. All’agenzia France Presse ha detto che la rinuncia di Miliband a una candidatura (mai formalizzata) doveva considerarsi «definitiva». Di conseguenza, precisava il tedesco, la famiglia socialdemocratica poteva sostenere «con forza» il nome autorevole dell’ex premier italiano. Inevitabile il sillogismo: esce il britannico, volano le azioni di D’Alema, tra l’altro ben sostenuto da Palazzo Chigi. Semplice, vero? Macché. «Nulla può essere facile se non si chiarisce la tattica di “John Bull”», confessava una fonte francese.
L’obiettivo di Brown pare un doppio salto mortale. In origine voleva mandare a Bruxelles l’amico Tony Blair, aveva l’assenso di Sarkozy e della Merkel. Partito da lontano, l’ex di Downing Street s’era visto gradualmente sparire il terreno da sotto i piedi: molte capitali si sono convinte che fosse poco opportuno dare il timone a un pezzo troppo grosso. Dodici giorni fa è stato tradito dai suoi. I leader del socialisti europei hanno dichiarato di preferire il Mister Pesc e che Mister Ue andasse pure ai popolari. Con questo hanno sbarrato il cammino all’inglese, sostituito da una lista di nomi in chiave Esteri, i più accreditati dei quali erano D’Alema e Miliband.
Londra ha fatto finta di niente. «Il nostro uomo è Blair», ha ribadito Brown, determinato a non mollare il suo segretario del Foreign Office a pochi mesi dal voto che segnerà probabilmente la fine del ciclo laburista. «Se Miliband lascia è un segno di debolezza in più - spiegano fonti diplomatiche - e poi lui stesso pensa alla successione, a prendere le redini del partito». Buon motivo per restare. Ma anche ottima ragione per andarsene, visto che i conservatori potrebbero governare un paio di mandati. Alla fine se ne sarebbe convinto anche Brown che, nel corso della cena, avrebbe rinunciato a Blair, per scoprire il candidato Miliband e chiudere il primo cerchio senza ascoltare l’appello del Pse. Si attendono conferme.
«Le consultazioni sono a metà del cammino - assicurava ieri sera Fredrik Reinfeldt, presidente di turno dell’Ue e mossiere del palio delle europoltrone - e, vi parrà una cosa ovvia, i leader non indicano tutti le stesse persone». «Non credo che la partita di Miliband sia conclusa», concedeva una fonte britannica, inducendo anche l’ipotesi di un ribaltone, dunque di un ritorno in lizza di Blair per Mister Ue al posto del gettonatissimo premier belga Van Rompuy, con Mister Pesc consegnato ai popolari. Difficile. Pertanto perché Brown insisterebbe in un affondo che vale una sconfitta?
Per avere Miliband agli Esteri. O per spuntare la scrivania di Commissario Ue per la concorrenza, cruciale in quanto centralina di gestione degli aiuti di Stato. O ancora per accumulare un credito per calare la carta (debole) della Baronessa Ashton, ora commissario Ue al Commercio, come Lady Pesc, visto che tutti insistono nell’avere una donna ai piani alti dell’Unione.
Dalla qualità dei nomi che saranno decisi in un vertice europeo da convocare al più presto (per il 19 al massimo) si capirà a cosa punta veramente l’Europa e dove vuole arrivare con le riforme del Trattato di Lisbona in vigore da dicembre. L’Italia si tiene stretta D’Alema, per il quale non mancano apprezzamenti. Le tre carte di Londra potrebbero abbassare l’asticella quando i tempi impongono di non rinunciare all’ambizione. Il rischio è concreto. E, se fosse, non sarebbe certo la prima volta.

Per inviare la propria opinione alla Stampa, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT